ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 4 maggio 2021

“Contagiati” dal virus dello spirito del concilio

Rinuncia, Dimissioni, Abdicazione: Che Cosa ha Fatto Davvero Benedetto?

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, l’amico Andrea Cionci ci ha inviato il testo completo dell’articolo che ha pubblicato – in sintesi – oggi su Libero, in cui tratta ancora della rinuncia-dimissioni di Benedetto XVI, esplorando questa volta il tema dal punto di vista dell’abdicazione del Pontefice. Come ben sapete Stilum ha ospitato nel recente passato altri articoli sull’argomento; anche se a noi sembra che  da un punto di vista pratico – dal momento che non appare un’autorità che possa far valere queste tesi – la situazione rimane quella che viviamo; e cioè, ahimè, una situazione di estrema confusione. Buona lettura. 

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Benedetto XVI inequivocabile: “Mi sono dimesso, ma non ho abdicato”

Caro Tosatti,

in merito alla dibattuta questione sulle dimissioni di Benedetto XVI, in molti si chiedono, spazientiti: “Se è ancora lui il papa, perché non lo dice chiaramente?”.

Dopo un confronto con autorevoli studiosi, ecco un documento dove papa Ratzinger spiega in modo inequivocabile che, sebbene con la Declaratio del 2013 si sia “dimesso” rinunciando al “ministerium”,  alle funzioni pratiche, di converso non ha affatto “abdicato” al “munus”, il titolo divino di papa. (Le parole sono importanti: dimettersi è rinunciare a delle funzioni, abdicare è rinunciare al titolo di sovrano).

Noiosi “legalismi clericali”, come dice Bergoglio? No. Si tratta di un problema enorme – che viene accuratamente evitato nel pubblico dibattito – perché, come tutti sanno, se un papa vivente non abdica al munus decadendo completamente, non si può indire un altro conclave. Anche dal punto di vista teologico, lo Spirito Santo non orienta l’elezione del papa in un conclave illegittimo, né lo assiste. Il “papa Francesco” quindi, non sarebbe mai esistito, sarebbe solo un “vescovo vestito di bianco”, come nel Terzo segreto di Fatima e nessuno più, nella sua linea successoria, sarebbe un vero papa. Ecco perché, prima di criticare Francesco, o di fare dietrologie, varrebbe molto più la pena applicarsi alla questione che precede e presuppone la validità del conclave del 2013. Si spiegherebbe tutto.

Ma veniamo al documento in questione: a pag. 26 di “Ultime conversazioni” (Garzanti 2016), libro-intervista di Peter Seewald, il giornalista chiede a Benedetto XVI:  “Con lei, per la prima volta nella storia della Chiesa, un pontefice nel pieno ed effettivo esercizio delle sue funzioni si è dimesso dal suo “ufficio”. C’è stato un conflitto interiore per la decisione?”. 

Risposta: Non è così semplice, naturalmente. Nessun papa si è dimesso per mille anni e anche nel primo millennio ciò ha costituito un’eccezioneperciò una decisione simile la si deve ponderare a lungo. Per me, tuttavia, è apparsa talmente evidente che non c’è stato un doloroso conflitto interiore”. 

Un’affermazione assurda, per come immaginiamo comunemente  la parola “dimissioni”: negli ultimi mille anni (1016-2016) ci sono stati ben quattro papi che hanno rinunciato al trono, (tra cui il famoso Celestino V, nel 1294) e, nel primo millennio del papato (33-1033), ce ne sono stati altri sei. Forse papa Ratzinger, oltre ad avere difficoltà con il latino (visti gli inspiegabili errori nella Declaratio)  non conosce bene neanche la storia della Chiesa?

 La sua frase ha, invece, un senso perfettamente logico e coerente se comprendiamo che “dimettersi“ dal ministerium – come ha fatto papa Ratzinger – non comporta affatto “abdicare” al munus. Semmai può essere il contrario. La distinzione – vagamente (e forse intenzionalmente) ipnotica – fra munus e ministerium è stata formalizzata a livello canonico nel 1983, ma è utile a Benedetto XVI per far passare un messaggio chiarissimo: egli, infatti,  non ci sta parlando dei papi che hanno abdicato, ma di quelli che si sono dimessi come lui, cioè i pontefici che hanno perso solo il ministerium, senza abdicare.

Tutto torna:   l’”eccezione” del primo millennio di cui parla Ratzinger è quella di Benedetto VIII, Teofilatto dei conti di Tuscolo che, spodestato nel 1012 dall’antipapa Gregorio VI, in fuga, dovette rinunciare per alcuni mesi al ministerium,  ma non perse affatto il munus di papa, tanto che fu poi reinsediato sul trono dall’imperatore santo Enrico II. Nel secondo millennio, invece, nessun papa ha mai rinunciato al solo ministerium, mentre ben quattro pontefici hanno, invece, abdicato, rinunciando al munus (e, di conseguenza, anche al ministerium).

Consultato in merito alla sola questione storica, il Prof. Francesco Mores, docente di Storia della Chiesa all’Università degli Studi di Milano conferma: “Esiste effettivamente questa differenza tra il primo e il secondo millennio. Lo snodo decisivo è la riforma dell’XI secolo, che chiamiamo anche “gregoriana” (1073). Per quanto in conflitto con i poteri secolari, i papi mantennero sempre un minimo di esercizio pratico del loro potere, a differenza di pochissimi casi nel primo millennio, Ponziano, Silverio (che persero per alcuni mesi il ministerium, ma poi abdicarono esplicitamente n.d.r.) e Benedetto VIII (che, perso temporaneamente il ministerium, fu reinsediato sul trono papale dall’imperatore Enrico II n.d.r.) il quale si colloca, non per caso, sulla soglia della trasformazione dell’istituzione papale avvenuta tra il  primo e il secondo millennio”.

Benedetto XVI ci sta dicendo chiaramente che lui ha rinunciato al ministerium come quel suo antico, omonimo predecessore, ma che nessuno di loro due ha mai abdicato al munus.

Se non fosse così, Ratzinger  come potrebbe dire che dimettendosi come lui, nessun papa si è dimesso nel II millennio e che nel I millennio è stata un’eccezione”? Non si scappa.

Ulteriore conferma viene dall’altro libro intervista di Seewald, “Ein Leben”, dove,  a pag. 1204, Benedetto XVI prende le distanze da Celestino V, che abdicò legalmente nel II millennio (1294): “La situazione di Celestino V era estremamente peculiare e non poteva in alcun modo essere invocata come (mio) precedente”.

Sempre in Ein Leben,  la parola “abdicazione” compare otto volte – nove  nell’edizione tedesca (“Abdankung”) – e mai riferita a Ratzinger, ma solo a papi che abdicarono per davvero, come Celestino, o che volevano farlo sul serio, come Pio XII per sfuggire ai nazisti. Per Ratzinger, invece, si parla solo di dimissioni (“Ruecktritt”).

Del resto, Benedetto XVI lo ha ripetuto anche nell’ultima udienza del 27 febbraio 2013: “La gravità della decisione è stata proprio nel fatto che da quel momento (l’elezione del 2005 n.d.r.) in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore. […] La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. […] Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro”.

Oggi, quindi, non avremmo “due papi”, bensì “mezzo” papa: solo Benedetto XVI,  privo del potere pratico. Per questo, egli continua  a vestire di bianco (pur senza mantelletta e fascia), a firmarsi P.P. (Pontifex Pontificum), a vivere in Vaticano e a godere inspiegabilmente di altre prerogative pontificie. Ci sono altre spiegazioni?

La questione non può passare in cavalleria: un miliardo e 285 milioni di cattolici hanno diritto di sapere chi è il papa. Forse una conferenza stampa di papa Benedetto, per esempio, oppure , come già accennato, un sinodo con discussione pubblica fra vescovi e cardinali nominati prima del 2013: fare chiarezza – in modo assolutamente trasparente – non è più differibile. 

Approfondimento

Rispondendo a Seewald, circa le dimissioni dal suo ufficio, subito Ratzinger specifica, infatti: “Non è così «semplice»”, cioè “, l’ufficio papale non è “in un solo pezzo” perché nel 1983 si operò la distinzione, nel diritto canonico, fra munus e ministerium, ovvero tra titolo divino ed esercizio pratico. Alcuni canonisti bergogliani sostengono che Benedetto XVI si sia dimesso perché il ministerium e il munus sono inscindibili. Certo: questi sono inscindibili solo come “diritto iniziale” del pontefice, nel senso che un papa neoeletto ha, oltre al titolo, per forza di cose, il diritto di esercitare anche il ministerium, il potere pratico. Tuttavia, i due enti non sono equivalenti, né inseparabili dato che un papa se rinunciando al munus perde ovviamente anche il ministerium, viceversa può benissimo rinunciare al ministerium mantenendo il munus e restando papa.

Un esempio? Un neo-padre ha certamente l’inscindibile diritto di educare il figlioletto, ma se non può farlo per vari motivi, può delegare ad altri questo compito. Ma egli resta sempre il padre.

Lo stesso Ratzinger in “Ultime conversazioni” a pag. 33 cita l’esempio: “Anche un padre smette di fare il padre. Non cessa di esserlo, ma lascia le responsabilità concrete. Continua a essere padre in un senso più profondo, più intimo, con un rapporto e una responsabilità particolari, ma senza i compiti del padre”.

Torniamo al riferimento storico e vedremo che  i conti tornano.

Ratzinger ha quindi sintetizzato nella sua frase come nessun papa abbia abbandonato il ministerium (quindi restando papa  a tutti gli effetti) in mille anni (tra 1016 e 2016) mentre, nel primo millennio (33-1033) ciò ha costituito un’eccezioneE’ vero. Lui rinuncia al solo ministerium come quei pochi papi del I millennio, con la differenza che lo fa volontariamente. Lo specifica la stessa domanda di Seewald: “Con lei, per la prima volta nella storia della Chiesa, un pontefice nel pieno ed effettivo esercizio delle sue funzioni si è dimesso dal suo ufficio”.

Ed ecco la spiegazione completa del Prof. Francesco Mores, docente di Storia della Chiesa all’Università degli Studi di Milano: «Esiste effettivamente questa differenza tra il primo e il secondo millennio circa il funzionamento dell’istituzione papale. Lo snodo decisivo è la riforma dell’XI secolo, che chiamiamo anche “gregoriana” (da papa Gregorio VII, vescovo della Chiesa di Roma dal 1073 al 1085): un rafforzamento in senso ierocratico del ruolo del papa. Con l’istituzione di una prima forma di “clero cardinale”, dal 1059, i pontefici riuscirono a strutturare e controllare determinati uffici, anche grazie alla creazione di una gerarchia funzionariale. Per quanto in conflitto con i poteri secolari, i vescovi della Chiesa di Roma mantennero sempre un minimo di esercizio pratico del loro potere, a differenza di pochissimi casi nel primo millennio: quelli dei papi Ponziano e Silverio –che furono forse deposti per iniziativa del potere imperiale–e di papa Benedetto VIII, chefu appoggiato da Enrico IIcontro l’“antipapa” Gregorio, sostenuto dalla famiglia romana dei Crescenzi. Eletto forse nel 1012, Benedetto VIII si colloca non per caso sulla soglia della trasformazione dell’istituzione papale avvenuta tra il primo e il secondo millennio».

A ulteriore conferma, scrive il medievista Roberto Rusconi, nel suo volume “Il Gran rifiuto” (Morcelliana 2013): “Nei primi secoli le rinunce dei papi erano state causate in modo forzoso nel contesto delle persecuzioni imperiali […] A volte si era trattato di rinunce esplicite, a volte di rimozioni di fatto”.

Aggiunge il Prof. Agostino Paravicini Baragliani, tra i massimi studiosi del papato: “[Per i papi dal 1016 in poi] non mi sembra che si possa porre il problema della perdita della loro funzione, non certo per i papi che sono risultati vincenti”.

Quindi l’affermazione di Benedetto XVI è perfettamente corretta solo se si intendono le sue ”dimissioni” come rinuncia al ministerium, senza abdicazione al munus, come infatti ha scritto nella Declaratio.

E veniamo a quelle “eccezioni” di papi che si sono “dimessi” come Benedetto XVI:  Papa Ponziano (?-235), che fu deportato in Sardegna e per qualche mese rinunciò al ministerium prima di abdicare spontaneamente e legalmente, abbandonando l’ufficio. Papa Silverio, (480-537), deportato nell’isola di Patara che fu privato del ministerium dall’11 marzo all’11 novembre del 537, finché abdicò  volontariamente. Il caso più significativo riguarda invece un altro Benedetto, l’VIII, nato Teofilatto II dei conti di Tuscolo. 

Nel 1012, fu spodestato dall’antipapa Gregorio VI e costretto a fuggire da Roma lasciando per alcuni mesi il ministerium nelle mani dell’avversario, finché l’imperatore santo Enrico II fece giustizia cacciando l’antipapa Gregorio e reinsediandolo sul trono di Pietro. Benedetto VIII rimase quindi SEMPRE IL PAPA e, anche se per alcuni mesi fu costretto a rinunciare al ministerium, mai abdicò. 

In conclusione

Con la sua risposta a Seewald, Benedetto XVI ha messo nero su bianco, con un inequivocabile riferimento storico, sebbene legato a una distinctio del 1983, che lui ha annunciato di  rinunciare al solo ministerium e che, non avendo abdicato, egli è ancora l’unico e solo papa. Per questo continua a dire che il papa è uno solo senza spiegare quale.

Se si fosse dimesso nel senso di “abdicare”, Ratzinger non avrebbe mai potuto affermare che “negli ultimi mille anni nessun papa si è dimesso”, dato che c’è il notissimo caso del rifiuto di Celestino V (1294). Ed ecco, infatti, a ulteriore prova, cosa dichiara Ratzinger nel libro intervista “Ein Leben” di Peter Seewald (2020).

Domanda di Seewald: “Nel 2009 visitò la tomba di papa Celestino V, l’unico papa prima di lei a rassegnare le dimissioni; ancora oggi ci s’interroga sul significato di quella visita. Che cosa c’era dietro?” 

Risposta di Benedetto XVI: “La visita alla tomba di papa Celestino V fu in realtà un evento casuale; in ogni caso ero ben consapevole del fatto che la situazione di Celestino V era estremamente peculiare e che quindi non poteva in alcun modo essere invocata come precedente”.

Celestino infatti abdicò scrivendo: “…abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all’onere e all’onore che esso comporta”.

Ratzinger ha invece dichiarato “di rinunciare al minister(ium)o di Vescovo di Roma”. Così, mantiene veste bianca e varie altre prerogative pontificie perché non ha mai abdicato.

Un’ultima considerazione

A margine, una nota da prendere col beneficio di inventario sempre necessario quando si parla di profezie, anche di santi e mistici riconosciuti dalla Chiesa. Il linguaggio immaginifico di questi messaggi non è suscettibile di interpretazioni letterali, tuttavia non possiamo non registrare come nelle profezie della mistica Katharina Emmerick, beatificata da Giovanni Paolo II, vi siano dei riferimenti che si possono adattare alla storia e alla figura del pontefice Benedetto VIII di Tuscolo, la cui “riscoperta”, come abbiamo visto, potrebbe avere conseguenze dirompenti. 

La Emmerick annota: “Ebbi una visione del santo Imperatore Enrico II. Lo vidi di notte, da solo, in ginocchio ai piedi dell’altare principale in una grande e bellissima chiesa… e vidi la Beata Vergine venire giù da sola. Ella stese sull’altare un panno rosso coperto con lino bianco, vi pose un libro intarsiato con pietre preziose e accese le candele e la lampada perpetua”.

La mistica fa inoltre riferimento a una sorta di grande pontefice che verrà a rimettere le cose a posto nella Chiesa: “Vidi un nuovo Papa che sarà molto rigoroso. Egli si alienerà i vescovi freddi e tiepidi. Non è un romano, ma è italiano. Proviene da un luogo che non è lontano da Roma, e credo che venga da una famiglia devota e di sangue reale. Ma per qualche tempo dovranno esserci ancora molte lotte e agitazioni”. (27 gennaio 1822).

La figura di un papa forte e salvifico si ritrova anche nel messaggio della Madonna del Buon Successo, riconosciuta dalla Chiesa, (apparizione del 1594 a Quito). “Molti saranno i fattori che cooperano alla rivincita di Maria e alla restaurazione della Chiesa e della Cristianità, ma uno solo, determinante, viene enunciato dalla Madonna: il ruolo che avrà un uomo privilegiato, un “gran prelato”.

Ora, l’imperatore Enrico II fu colui che rimise sul trono il vero papa Benedetto VIII, Teofilatto dei conti di Tuscolo, feudatari di Tusculum, a pochi km da Roma.

Teofilatto era discendente di un altro papa, Giovanni XII di Tuscolo ed era imparentato con Ugo di Provenza re d’Italia dal 926 al 947: quindi forse di sangue “reale”?

Benedetto VIII fu un papa molto fermo: si impegnò nel Tirreno contro i saraceni, sostenne le rivolte antibizantine in Italia meridionale, condannò la simonia e… riaffermò il celibato del clero. Vi ricorda qualcuno?

Si potrebbe anche fantasticare sul fatto che la Madonna che giunge “nella notte della Chiesa” a esaudire le preghiere di Enrico II voglia mostrare un cardinale abusivamente vestito di bianco, (il panno rosso coperto dal lino bianco) e che il libro prezioso sia il Codice di Diritto Canonico e la lampada, la luce della ragione o la devozione per un papa defunto.

L’”arrivo” di questo “grande prelato salvifico” potrebbe essere, dunque, nella riscoperta di questo riferimento nodale a Benedetto VIII? Altre profezie fanno riferimento a una chiesa che, come un’aquila bendata e legata aspetta di essere sciolta in volo. E nello stemma di Benedetto VIII figura giusto un’aquila (animale di S. Giovanni) nera in campo d’oro.

Del resto, vi sembra realistico che nei prossimi anni spunti fuori un vescovo di sangue reale da Bracciano, da Marino, da Monteporzio o da qualche altro paese nei dintorni di Roma?

Ovviamente, sono solo supposizioni, e non potrebbe essere altrimenti trattandosi di profezie. Certo, la riscoperta del caso eccezionale di papa Benedetto VIII citato da Ratzinger potrebbe ingenerare una serie di fenomeni a catena. Se il grande prelato è Teofilatto, ce lo dirà la storia.

Marco Tosatti

https://www.marcotosatti.com/2021/05/04/rinuncia-dimissioni-abdicazione-che-cosa-ha-fatto-davvero-benedetto/

Né romano, né burino…


Con il termine burino, in dialetto romanesco, viene designato il contadino, il campagnolo e, in senso più esteso e moderno, una persona con forma e modi da provinciale. Un’altra accezione, in senso lato, è quella di una persona rozza e volgare, che in dialetto romanesco è però definita soprattutto dal termine “coatto”. Il coatto non deve essere confuso con il “burino”…
Insomma, “secondo un’etimologia spesso attribuitale popolarmente, essa sarebbe da far risalire ad un modo con cui venivano ipoteticamente chiamati i pastori venditori di burro – per l’appunto buro secondo la dizione romanesca – in attività per le strade dell’Urbe, provenienti dalle campagne fuori città e quindi associati col passare del tempo alla figura del rozzo zoticone.
Un’ipotesi alternativa avanzata per l’origine del termine, senz’altro fondata quantomeno sulla scorta di fonti documentali che ne consentirebbero una ricostruzione etimologica meno aleatoria, sarebbe quella che invece la farebbe derivare dal termine bure, ossia al manico dell’aratro, utilizzato nei secoli addietro per indicare sineddoticamente i braccianti della Romagna, regione per svariati secoli facente parte proprio dei dominii dello Stato Pontificio, ingaggiati di frequente come lavoratori stagionali nell’Agro romano. Infatti, lo stesso telaio dell’aratro era chiamato spesso e volentieri burino nell’Italia del passato”.
Dulcis in fundus, ma chi è il vero romano? Ci vuole il bollino di romano doc. Quello spetta a pochi, pochissimi. Per essere un romano doc, si dice, bisogna essere de Roma da sette generazioni, sia da parte di madre che di padre. Sennò nulla da fare. E dunque, non è questo il genere che ci interessa per essere “romano doc”. Il senso è assai più antico di sette generazioni, è qualcosa di più spirituale e per la quale appartenenza non basta neppure il Battesimo per mezzo del quale – rigenerati – siamo membra ROMANE della Chiesa una, santa cattolica, apostolica e romana. Per essere romani doc occorre vedere e amare Roma come l’ha vista e amata Gesù Cristo.

Sapete che per i non cristiani dire cattolico oppure romano significa la stessa cosa?

L’universalità (ovvero la cattolicità) della Chiesa di Cristo consiste anche nell’aver fatto proprio il concetto di universalità dell’impero romano: Roma non solo capitale, ma come città-mondo (urbi et orbi).

Il Divin Verbo infatti s’incarnò quando lo stato del popolo d’Israele faceva parte dell’impero romano (cfr. Lc 2, 1-2).

Gli israeliti erano convinti che il Messia promesso avrebbe liberato il loro popolo dell’oppressione romana. Ma il Cristo invece, quando venne, fece qualcosa di meglio: fece del nuovo – del vero – Israele, cioè la Chiesa, anche il nuovo impero romano, stabilendo la cattedra episcopale del suo Vicario in terra a Roma.

Per questo ogni battezzato, che viva nella stessa città di Roma oppure alla fine del mondo, deve essere romano. Deve cioè essere permeato da quella romanità spirituale che non solo lo identifica, ma che pure lo guida. Tutti coloro che lo hanno rifiutato, si sono ritrovati, prima o poi, a dividersi dalla Chiesa.

Le più grandi eresie, infatti, non mai arrivate da Roma, cuore della cristianità, ma dall’Oriente e da quelle terre nord-europee che furono evangelizzate dagli eretici. La prima grande rottura con Roma ci fu con lo scisma d’Oriente poco dopo l’anno 1000, la seconda nel 1500 anni con la protesta del nord-europeo Martin Lutero. Alla fine del 1700 arrivò anche il tradimento della Francia, la figlia primogenita della Chiesa, con la rivoluzione illuminista. Tutti si sono ribellati all’autorità di Roma.

La Chiesa romana è stata sempre combattuta, mai abbattuta. Così dal 1800 i suoi nemici hanno deciso di cambiare strategia: non più cercare di distruggerla dall’esterno, ma provare a cambiarla dall’interno.

«Fino ad oggi si voluto riformare Roma senza Roma, o magari contro Roma», spiegò il “grande vecchio” del modernismo italiano, il prete apostata Ernesto Buonaiuti (1881-1946). «Bisogna riformare Roma con Roma; fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro i quali devono essere riformati». Ed è quello che è accaduto.

Lo spirito antiromano ha lentamente, ma inesorabilmente, preso il sopravvento diventando anche lo “spirito del Vaticano II”. Ed è stato forse questo il “peccato originale” dei cosiddetti “papi conciliari”: l’aver perduto o rifiutato, in tutto o in parte, la romanità spirituale.

Giovanni XXIII, prima di diventare papa, fu travolto – o si fece travolgere – dalla mentalità ecumenista – non ecumenica – che il modernismo aveva diffuso nella Chiesa.

Paolo VI, anche lui prima di diventare papa, si entusiasmò al progetto di nuova cristianità lanciata dal modernismo francese.

Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II, giovani padri conciliari, furono “contagiati” dagli “infetti” periti neomodernisti franco-tedeschi.

Quanto a Benedetto XVI, egli stesso ha raccontato, nella sua autobiografica, che c’è sempre stata in lui, giovane teologo, una certa diffidenza, se non proprio antipatia nei confronti di Roma.

Francesco? Questo Papa, – a differenza dei suoi predecessori, i quali, nonostante tutto, ben erano coscienti dell’importanza della romanità, – pur privilegiando il titolo di Vescovo di Roma, si sente vescovo di questa città come di qualsiasi altra città. Per lui che il Successore di Pietro – ruolo da lui declassato a mero “titolo storico” nell’annuario pontificio – sia vescovo di Roma o di un’altra città è la stessa cosa. Egli non vuole diventare romano e non intende neppure provarci.

In otto anni di pontificato ne abbiamo avuto varie prove, l’ultima delle quali la sua decisione di non far entrare i canonici nella basilica di San Pietro durante la recita del Santo Rosario sabato 1° maggio. «Purtroppo il presente Papa non è romano, e non ha intenzione di diventarlo. È così e basta», ha così commentato la notizia CantualeAntonianum.

Lo scorso 20 febbraio fece scalpore un editoriale di Aldo Maria Valli, il cui titolo – preso in prestito dal romanzo di Guido Morselli – era Roma senza Papa. L’ex vaticanista non metteva affatto in discussione la legittimità dell’elezione di papa Francesco, ma sosteneva che egli era rimasto Jorge Mario Bergoglio nella testa e nel cuore. Simone, insomma, non vuole diventare Pietro.

E Simone non vuole diventare Pietro quando non vuole essere romano. Per questo oggi a Roma c’è il Papa, ma nel Papa non c’è Roma, perché non vuole la romanità spirituale che contraddistingue ogni battezzato.

E quelli che si meravigliano di ciò hanno poco da meravigliarsi, perché eravamo stati avvisati.

San Giovanni Bosco, in uno dei suoi sogni, vide il Papa, che egli chiama il “grande vegliardo del Lazio”, spogliarsi delle vesti pontificie e lasciare (spiritualmente) Roma. E il 19 settembre del 1846, a La Salette, tra le lacrime la Beata Vergine Maria disse: «Roma perderà la fede e diventerà la sede dell’Anticristo».

A scanso di equivoci, Francesco non è l’anticristo, ma neppure lo sta combattendo. Diciamo che ne è l’utile idiota, per usare un linguaggio di sinistra a lui tanto caro.

Tuttavia, in fondo in fondo, chi non è stato un utile idiota dal diavolo negli ultimi 50-60 anni? Tutti siamo stati “contagiati” dal virus dello spirito del concilio, alcuni con i sintomi, altri senza. Eppure abbiamo sia una cura che un vaccino: la conversione e lo spirito romano.

https://cronicasdepapafrancisco.com/2021/05/03/ne-romano-ne-burino/

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