Arcivescovo Cordileone: “Il nostro obiettivo deve essere sempre la salvezza delle anime, sia quella della persona errante che della più ampia comunità cattolica”
Ritorniamo sul caso della Lettera pastorale sulla dignità richiesta per ricevere la Santa Comunione – Prima di formarti nel grembo materno ti conoscevo – pubblicato il 1° maggio 2021 da Mons. Salvatore Joseph Cordileone, Arcivescovo metropolita di San Francisco, in cui insiste che qualsiasi cattolico che coopera con il male dell’aborto, dovrebbe astenersi dal ricevere l’Eucaristia [L’Arcivescovo di San Francisco: cattolici che sostengono l’aborto non dovrebbero presentarsi per la Santa Comunione – 2 maggio 2021].
Mons. Cordileone è stato attento a sottolineare, che “l’aborto non è mai solo un atto della madre. Altri, in misura maggiore o minore, condividono la colpevolezza ogni volta che questo male viene perpetrato”. “È fondamentalmente una questione di integrità: ricevere il Santissimo Sacramento nella liturgia cattolica significa sposare pubblicamente la fede e gli insegnamenti morali della Chiesa Cattolica e desiderare di vivere di conseguenza”, ha scritto Mons. Cordileone. “Non siamo tutti all’altezza in vari modi, ma c’è una grande differenza tra lottare per vivere secondo gli insegnamenti della Chiesa e rifiutare quegli insegnamenti”. La Lettera, emessa in occasione della festa di San Giuseppe Lavoratore e all’inizio del mese in onore della Beata Vergine Maria, arriva sulla scia della crescente copertura mediatica sull’ammissione del Presidente Biden alla Santa Comunione all’interno della Chiesa Cattolica Romana. Il Presidente Biden non può affermare di essere sia un cattolico devoto, sia un sostenitore dell’aborto. Non può averlo in entrambi i modi.
Insieme alla sua Lettera pastorale, l’Arcivescovo Cordileone ha rilasciato un’utilissima sezione Domande risposte [QUI], che spiega in modo conciso e in termini chiari alcuni aspetti del documento. L’Arcivescovo Cordileone ha ribadito e sottolineato gli argomenti a favore della coerenza eucaristica. Ancora più importante, ha reso pubblico le sue osservazioni, spiegando la strada che segue, prima di compiere quel passo cruciale successivo. Riportiamo questo ultimo documento dell’Arcivescovo Cordileone, che non è solo valido e utile per un pubblico statunitense, ma in modo generale anche per noi in Italia. E per i vescovi italiani, con conservano al riguardo un assordante silenzio (eccetto qualche rarissima pecora nera).
Per capire il titolo dell’articolo di Phil Lawler su Catholicculture.org di ieri 3 maggio 2021 – che riportiamo di seguito, in una nostra traduzione italiana di lavoro dall’inglese – La Lettera pastorale dell’Arcivescovo Cordileone: l’ultimo avvertimento di Pelosi?, va ricordato la Dichiarazione del 21 gennaio 2021 di Mons. Cordileone in risposta ai commenti del Presidente della Camera de rappresentanti degli Stati Uniti, Nancy Pelosi (Partito Democratico, California, residente nell’Arcidiocesi di San Francisco) , che abbiamo riportato in una nostra traduzione di lavoro italiana dall’inglese [Arcivescovo Salvatore Cordileone di San Francisco risponde a Nancy Pelosi: “Nessun cattolico in buona coscienza può favorire l’aborto”, che è un “spregevole male” – 22 gennaio 2021].
L’Arcivescovo Cordileone con la sua Dichiarazione del 21 gennaio 2021 ha risposto a Pelosi, che aveva definito gli elettori pro vita di Trump dei venduti. In un podcast del 18 gennaio 2021 con l’ex Senatore e Candidato alla Presidenza Hillary Clinton, il Presidente della Camera aveva affermato che il sostegno degli elettori pro vita per l’ex Presidente Donald Trump era una questione che le causava “grande dolore come cattolica”. “Penso che Donald Trump sia stato Presidente a causa della questione del diritto di scelta di una donna”, ha detto dell’aborto, implicando che gli elettori pro vita hanno portato Trump alla vittoria nel 2016. Aveva aggiunto che questi elettori “erano disposti a tradire l’intera democrazia per quell’unica questione”. L’Arcivescovo della Pelosi aveva replicato ai suoi commenti sull’aborto e sul voto.
La Lettera pastorale dell’Arcivescovo Cordileone: l’ultimo avvertimento di Pelosi?
di Phil Lawler
Catholicculture.org, 3 maggio 2021
Con la sua Lettera pastorale, che riafferma con forza l’importanza dell’insegnamento della Chiesa sulla dignità della vita umana, l’Arcivescovo metropolita di San Francisco, Mons. Salvatore Cordileone ha lanciato una seria sfida: a tutti i cattolici, certo, ma ai suoi fratelli vescovi in particolare, e in particolare ai prominenti politici cattolici, che sostengono l’aborto legale, in particolare il Presidente della Camera dei rappresentanti, Nancy Pelosi, che ha residenza nell’Arcidiocesi di San Francisco.
“Temo che se non sfido apertamente i cattolici sotto la mia cura pastorale che sostengono l’aborto, sia loro che io dovremo rispondere a Dio per sangue innocente”, scrive l’Arcivescovo Cordileone. Non fa nomi e sottolinea che un vescovo dovrebbe ammonire un peccatore in privato prima di intraprendere qualsiasi azione pubblica. Ma la sua Lettera pastorale non può essere opera di un uomo che ha intenzione di rilasciare un’altra dichiarazione pubblica e lasciarla così. Qualsiasi lettore ragionevole conclude che l’arcivescovo ha già ammonito Pelosi (e altri, meno importanti, nella stessa posizione) e ora sta contemplando il passo successivo.
“L’aborto è l’ascia posta alle radici dell’albero dei diritti umani”, scrive l’Arcivescovo Cordileone; “Quando la nostra cultura incoraggia la violazione della vita nella sua condizione più giovane e vulnerabile, altre norme etiche non possono resistere a lungo”. Quindi la questione dell’aborto non è solo una questione di un lungo elenco di considerazioni; è – come hanno ripetutamente affermato i vescovi degli Stati Uniti d’America – la questione pubblica preminente dei nostri giorni.
Il dibattito pubblico sull’aborto è diventato confuso, riconosce l’Arcivescovo Cordileone. “L’argomento è avvolto in sofismi dai suoi sostenitori e la discussione su di esso è vietata in molti luoghi”. Continua suggerendo che “questa cospirazione di disinformazione e silenzio è alimentata dalla paura di ciò che significherebbe riconoscere la realtà con cui abbiamo a che fare”.
La tesi dell’Arcivescovo metropolita di San Francisco contro l’aborto, sebbene forte, non è unica. Ripete l’argomento – ben noto ai sostenitori della vita, ma raramente sentito sulla pubblica piazza – che la questione di quando inizia la vita umana è una questione medica o scientifica, non teologica o filosofica. E la risposta medica/scientifica è abbastanza chiara: la vita umana inizia al concepimento. L’Arcivescovo Cordileone sa anche che l’argomento della “scelta” è uno stratagemma retorico a buon mercato, perché i sostenitori dell’aborto non sono interessati a dare alle donne alcuna “scelta”, se non l’aborto.
Ma ancora una volta, questi argomenti sono (o dovrebbero essere) familiari. La pastorale fa notizia soprattutto perché l’arcivescovo affronta direttamente “un’altra fonte di scandalo che riguarda specificamente i cattolici nella vita pubblica: se la loro partecipazione al male dell’aborto non è affrontata in modo schietto dai loro pastori, ciò può portare i cattolici (e altri) a presumere che l’insegnamento morale della Chiesa Cattolica sulla santità inviolata della vita umana non è tenuto in considerazione seriamente”.
Qui l’Arcivescovo Cordileone si sta unendo ad un dibattito che ha sconvolto la gerarchia della Chiesa Cattolica Romana negli USA per anni, e che quest’anno è giunto al culmine con l’elezione del presidente Joe Biden, un altro cattolico che su richiesta promuove in modo aggressivo l’aborto senza restrizioni. L’Arcivescovo metropolita di Denver, Mons. Samuel Aquila ha affrontato la questione sulla rivista dei gesuiti America, sostenendo che la Chiesa “deve essere disposta a sfidare i cattolici che persistono nel peccato grave”. Quell’articolo ha suscitato una protesta immediata – ti pareva – dall’Arcivescovo metropolita di Chicago, il Cardinale Blase Cupich, che ha chiesto un “chiarimento pubblico”. Si è così rinnovato un vecchio dibattito, tra i gerarchi statunitensi, che desiderano adempiere al loro dovere di proteggere la santità dell’Eucaristia e la coerenza dell’insegnamento della Chiesa, e coloro che suggeriscono che qualsiasi azione disciplinare “politicizzerebbe” l’Eucaristia.
Il punto, come ha osservato Padre Thomas G. Weinandy, OFM Cap, è che l’Eucaristia è già stata politicizzata, dai personaggi pubblici che professano il loro cattolicesimo “devoto” mentre difendono e promuovono il massacro dei bambini non nati. I leader della Chiesa Cattolica Romana non possono eludere la sfida dicendo che nessun politico è perfetto. Come afferma l’Arcivescovo Cordileone, “tutti falliamo in vari modi, ma c’è una grande differenza tra lottare per vivere secondo gli insegnamenti della Chiesa e rifiutare quegli insegnamenti”.
Insieme alla sua Lettera pastorale, l’Arcivescovo Cordileone ha rilasciato un’utilissima sezione “Domande risposte” che spiega alcuni aspetti del documento. Ha rivelato che la sua Lettera pastorale è maturato non oggi: “Lavoro a questa Lettera pastorale da molto tempo, ma non ho voluto pubblicarla durante l’anno delle elezioni, proprio per evitare ulteriore confusione tra coloro che la avrebbero percepita male come ‘politicizzare’ la questione”. Ma alla fine la questione doveva essere affrontata, ha spiegato, sottolineando che se un vescovo ha membri del suo gregge che sbagliano e inducono altri a deviare dalla verità, ha l’obbligo morale di chiamarli a rendere conto. Questo dovrebbe essere fatto privatamente all’inizio e con grande pazienza. Tuttavia, se ogni altra medicina fallisce, può essere necessario che si astengano dal ricevere la Santa Eucaristia fino a quando non si pentono.
La questione principale davanti alla gerarchia statunitense – la questione che l’Arcivescovo Aquila di Denver e il Cardinale Cupich di Chicago stanno discutendo quest’anno, la stessa domanda che l’allora Arcivescovo Burke di Saint Louis e l’allora Cardinale McCarrick di Washington discutevano vent’anni fa – è se i politici cattolici che promuovono l’aborto debbano essere esclusi dalla Comunione. Tuttavia è degno di nota il fatto che l’Arcivescovo Cordileone citi un’altra opzione disciplinare, con una nota a margine su “La medicina della scomunica”.
I vescovi cattolici statunitensi rilasciano dichiarazioni da decenni ormai, insistendo sull’importanza cruciale della questione dell’aborto. Ma fino ad oggi, la maggior parte ha rifiutato di fare il passo successivo, di imporre una qualche forma di disciplina ai cattolici di spicco che hanno regolarmente ignorato l’insegnamento della Chiesa e che ora aggravano la loro offesa minacciando di mettere a tacere o di punire chiunque sostenga quell’insegnamento.
L’Arcivescovo Cordileone ha ribadito e sottolineato gli argomenti a favore della coerenza eucaristica. Ancora più importante, ha reso pubblico il caso per compiere il passo successivo cruciale. Quindi ora, mentre si spera e si prega che il Presidenti Biden, il Presidente Pelosi e i lori colleghi riconoscano la forza degli argomenti, ci resta da chiederci se e quando l’Arcivescovo Cordileone farà il passo successivo.
Prima di formarti nel grembo materno ti conoscevo
Domande risposte
di Mons. Salvatore Joseph Cordileone
Arcivescovo di San Francisco
Perché questa Lettera Pastorale, e perché adesso?
L’aborto e le questioni che lo circondano sono con noi da moltissimi anni e continueranno ad esserlo. Da tempo sento il bisogno di fare una dichiarazione chiara sulla gravità morale dell’aborto e sui principi di base che dovrebbero guidare i cattolici, sia i privati cittadini che coloro che hanno un ruolo nella vita pubblica. Sto lavorando a questa Lettera Pastorale da molto tempo, ma non ho voluto pubblicarla durante l’anno elettorale, proprio per evitare ulteriore confusione tra coloro che la percepiscono erroneamente come “politicizzante” la questione. Indipendentemente da quale partito politico sia al potere in un dato momento, dobbiamo tutti rivedere alcune verità fondamentali e principi morali.
Sulla scia delle recenti elezioni i sostenitori dell’aborto hanno avanzato
la loro causa. Questa lettera è diretta a persone in particolare?
Ho avuto grande cura di limitare la mia Lettera all’affermazione di verità generali e principi morali. La mia speranza è che questa Lettera sia utile a tutte le persone nella vita pubblica, specialmente ai cattolici, per capire come promuovere al meglio la giustizia per tutti.
L’aborto è una questione complessa e controversa, sia qui che nel mondo. Quale aiuto può fornire questa breve Lettera Pastorale?
La questione dell’aborto in sé e per sé è semplice: è la fine di una vita umana innocente. Certamente, in ogni caso particolare le circostanze che lo circondano sono spesso davvero molte e complesse. La Chiesa Cattolica si occupa della condizione umana da 2.000 anni, e quindi ha una grande saggezza nell’aiutare le persone a discernere la volontà di Dio per loro in situazioni concrete. Ma la verità fondamentale che l’aborto implica la presa di una vita umana innocente non deve mai essere persa di vista. Qualsiasi opzione presa in considerazione non deve mai perdere di vista per un momento quella realtà.
Ma la questione se questa sia la stessa vita umana non è forse oggetto di dibattito?
Non è questione di dibattito; è oggetto di molti offuscamenti. I sostenitori dell’aborto parlano di “il prodotto del concepimento” o “un potenziale essere umano”. Non so esattamente cosa significano, quindi non so se sono entrati nel mondo dell’etica, della metafisica o della psicologia. Ma hanno lasciato il mondo della scienza. Un organismo vivente, in crescita e in via di sviluppo con il DNA, la composizione cellulare e la struttura corporea di un essere umano è un essere umano. Anche slogan fuorvianti confondono la questione: “Il diritto di una donna di scegliere …” non completa mai la frase. Se il resto della frase è “… togliere la vita a un essere umano innocente”, la risposta deve essere: “No, non lo fa”.
Alcuni politici affermano che in quanto cattolici sono “personalmente contrari” all’aborto, ma non ritengono di dover imporre agli altri le proprie convinzioni religiose. Come rispondi?
A volte si sentono dei cattolici importanti affermare di credere personalmente che la vita umana inizi al concepimento, e accettano che questo sia un insegnamento “de fide” della Chiesa Cattolica. Non lo è. La Chiesa definisce le questioni di dottrina religiosa, ma il fatto che la vita umana inizi al concepimento non è una dottrina religiosa. Come indicato sopra, è ciò che dimostra la scienza della biologia. Ci opponiamo alla soppressione di vite umane innocenti non solo perché siamo cattolici, ma perché la ragione stessa proclama che questo è un valore morale fondamentale, forse il fondamentale, che tutte le persone dovrebbero sostenere. È vero che come credenti abbiamo motivazioni aggiuntive, le stesse motivazioni che rendono la Chiesa Cattolica il più grande singolo fornitore di servizi sociali in tutto il mondo. E molti dei nostri politici cattolici traggono luce e forza da questa visione religiosa mentre cercano di combattere molte ingiustizie sociali. Possiamo essere orgogliosi dei loro sforzi eroici. Ma è quantomeno incoerente cercare di alleviare questi altri mali morali sostenendo l’uccisione di esseri umani innocenti.
Perché tanta attenzione a questo problema e ad altri temi considerati cause dei conservatori sociali, come la famiglia e la libertà religiosa? I vescovi non dovrebbero concentrarsi su bisogni più immediatamente urgenti, come aiutare i poveri?
La Chiesa dovrebbe assolutamente concentrarsi sull’aiutare i poveri, come ha fatto la Chiesa dal primo giorno fino ai giorni nostri. In realtà, la Chiesa investe molte più risorse in programmi pensati immediatamente per aiutare i poveri rispetto a queste altre importanti cause. Ogni diocesi ha un’agenzia di Catholic Charities per svolgere questo compito, e i vescovi statunitensi sponsorizzano i Catholic Relief Services per fornire questo stesso tipo di servizio straordinario all’estero, solo per fare due esempi. E poi c’è l’incalcolabile generosità dei singoli cattolici, parrocchie e organizzazioni nel condividere il loro tempo, talento e tesoro per servire i più bisognosi tra loro. Ordini cattolici come i Francescani, le Missionarie della Carità, l’Ordine di Malta e altri si danno ogni giorno per servire i poveri. Le parrocchie cattoliche organizzano raccolte fondi e servizi per i bisognosi. Innumerevoli singoli cattolici si offrono generosamente volontari per servire i loro vicini nelle scuole, negli hospidali, mense, cliniche e per le strade. È tipico che si investano molte più risorse in queste agenzie e sforzi meritevoli che in programmi per il matrimonio e la vita familiare o il rispetto per la vita umana. Questo è certamente vero qui a San Francisco.
Ma c’è un altro motivo per cui i vescovi insistono a non perdere di vista questioni che la politica considererebbe “conservatrici”. Questo è già un problema: un cattolico non vede queste questioni politicamente, perché sono intimamente interconnesse. In effetti, per decenni gli studi di scienze sociali hanno dimostrato il legame tra povertà e disgregazione familiare, e soprattutto senza padre (per non parlare di tutta una serie di altri mali sociali come la violenza giovanile, alti tassi di incarcerazione, tassi di abbandono scolastico, dipendenza, ecc.). Gli scienziati sociali indicano la “sequenza del successo”: diplomarsi a scuola, assicurarsi un lavoro stabile, sposarsi e poi avere figli. Il tasso di povertà delle persone che seguono questa sequenza nella loro vita è di circa il 3% [QUI].
Ciò sottolinea quanto sia di fondamentale importanza per una società instillare nei suoi cittadini il senso di vivere secondo abitudini virtuose. I fondatori del nostro Paese lo hanno capito, motivo per cui hanno riconosciuto che questo esperimento di democrazia avrebbe funzionato solo con una cittadinanza virtuosa e quindi abbracciato una solida libertà religiosa, poiché i solidi valori religiosi aiutano a formare cittadini virtuosi. Quindi dovremmo evitare di fare false dicotomie e invece affrontare le cause profonde dei nostri problemi sociali, fornendo allo stesso tempo sollievo a coloro che si trovano in povertà o in qualsiasi altro tipo di disagio.
Ma che dire di altre questioni che sono molto più attuali e che i vescovi hanno anche identificato come questioni di vita, come il razzismo e la pena capitale?
Il razzismo è certamente una cicatrice molto brutta che ha segnato la nostra nazione nel corso della sua storia. Ma come ho detto nella Lettera, il razzismo è un atteggiamento che può manifestarsi in una miriade di modi, dal pronunciare un insulto razziale ai linciaggi pubblici. È ancora difficile per noi accettare che i linciaggi siano stati un comportamento accettato per un bel po’ di tempo nella nostra storia. Nessuno ora mette in dubbio il male del linciaggio, ma se qualcuno lo facesse, sarebbe necessario intraprendere un’azione correttiva simile.
Per quanto riguarda la pena capitale, sono d’accordo con tutti i nostri recenti Papi e con i vescovi del nostro paese e del mondo che è riprovevole e dovrebbe essere eliminata. Tuttavia, la pena capitale non costituisce quello che nella filosofia morale è chiamato un “male intrinseco”, cioè qualcosa che è sempre sbagliato in sé e per sé, almeno in teoria (“almeno” perché, uno dei problemi più seri con la pena capitale è l’irrecuperabilità dell’errore di giustiziare una persona innocente). La Chiesa riconosce che ai nostri giorni questo ricorso più estremo non è necessario per la nostra società per proteggersi da coloro che vorrebbero togliere la vita a persone innocenti. Ma togliere la vita a una persona innocente è sempre e ovunque sbagliato.
La tua descrizione del male morale dell’aborto è chiara e diretta. Perché la presentazione piuttosto complessa dei gradi di cooperazione nel male morale?
Da venti secoli di guida spirituale la Chiesa Cattolica ha sviluppato attente distinzioni per aiutare a comprendere la colpevolezza umana nelle azioni sbagliate. Un principio morale in sé può essere semplice (p.es. uccidere un essere umano innocente è gravemente sbagliato), ma il grado di colpa personale è influenzato da molti fattori, soprattutto la consapevolezza che qualcosa non va e la libera decisione di fare il male. Questi fattori non cambiano la realtà oggettiva, ma mitigano la colpa soggettiva. Questo è il motivo per cui la guida spirituale e la confessione svolgono un ruolo così importante nella nostra tradizione morale.
La distinzione fondamentale tra cooperazione formale e materiale tocca l’importanza della volontà: se so che qualcosa non va e scelgo ancora liberamente di farlo, intendo e commetto un male morale. Questa è cooperazione formale. La cooperazione materiale, d’altra parte, può essere alterata dalla gravità dell’atto e dalla vicinanza di ciò che faccio in relazione a quell’atto. Se credo che l’aborto sia sbagliato ma contribuisca ad abortire, questa è una cooperazione materiale immediata. Molto chiaramente: la cooperazione formale e la cooperazione materiale immediata in un atto malvagio non possono mai essere condonate. Ma, data l’interconnessione del mondo in cui viviamo, è molto difficile evitare almeno una cooperazione molto remota nei mali morali (ad esempio, l’acquisto di beni da imprese che impiegano lavoratori sottopagati che lavorano in condizioni disumane). Questo approccio sfumato può essere utile ai cattolici nella vita pubblica per determinare dove e come schierarsi in difesa dei valori morali umani.
Come si applica questa comprensione della cooperazione al male morale alla questione della ricezione della Santa Eucaristia?
Il punto cruciale, ovviamente, è che nessuno di noi è mai veramente degno di ricevere l’Eucaristia, che è il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di Gesù Cristo. Cristo ci ha donato questo prezioso Sacramento proprio perché possiamo progredire sulla via della santità e crescere sempre più profondamente nella nostra unione con Lui. Tuttavia, ricevere l’Eucaristia è un atto pubblico mediante il quale il destinatario afferma di credere a ciò che la Chiesa insegna in materia di fede e di morale, e sta regolando la sua vita di conseguenza. Nel caso di un personaggio pubblico cattolico che promuove attivamente l’aborto, c’è un fondamentale scollamento: affermare la fede cattolica e allo stesso tempo opporsi attivamente a uno degli insegnamenti morali più fondamentali della Chiesa (la santità della vita umana) è una contraddizione. Non si tratta del proprio stato spirituale soggettivo, ma del rifiuto persistente, ostinato e pubblico dell’insegnamento cattolico.
A una persona del genere dovrebbe essere rifiutata la Santa Comunione?
Ancora una volta, voglio sottolineare che lo scopo della mia Lettera Pastorale è di stabilire alcuni principi generali, non di trattare con persone specifici. Fare il passo che la tua domanda propone, dovrebbe arrivare alla fine di un processo, quando tutte le altre strade hanno fallito, e ciò implica soppesare una serie molto complessa di considerazioni. Dovrebbe essere fatto sia per il bene dell’individuo errante, perché abbiamo a che fare con niente di meno che il destino eterno di quell’individuo, sia per il bene dei fedeli, molti dei quali sono confusi e scandalizzati da eminenti cattolici che professano pubblicamente la loro fede e tuttavia agire contro una delle norme morali cattoliche più basilari. Si deve anche prendere in seria considerazione ciò che muoverà veramente l’individuo nella direzione della conversione, e l’effetto che una tale decisione può avere sull’unità, o sulla sua interruzione, della Chiesa. Certamente, c’è un ampio precedente nella storia della Chiesa per questo, anche nella storia recente, e mentre il principio morale è molto chiaro, la decisione a livello pastorale è molto complessa, che deve pesare un ampio spettro di fattori. Il nostro obiettivo deve essere sempre la salvezza delle anime, sia quella della persona errante che della più ampia comunità cattolica.
Qual è l’autorità del vescovo in questa materia?
L’Eucaristia e il Vescovo sono intimamente uniti, perché dai tempi del Nuovo Testamento ai nostri giorni la comunione della Chiesa ha trovato la sua più piena espressione nella comunità dei credenti che condividono l’Eucaristia con il suo vescovo, che è il successore degli Apostoli. Già all’inizio del II secolo Sant’Ignazio di Antiochia scriveva alla Chiesa di Smirne: “Nessuno deve fare nulla che abbia a che fare con la Chiesa senza l’approvazione del vescovo. Dovresti considerare valida quell’Eucaristia che viene celebrata o dal vescovo o da qualcuno da lui autorizzato. Dove è presente il vescovo, là si raduni la congregazione, proprio come dove è Gesù Cristo, lì c’è la Chiesa cattolica”. Se un vescovo ha membri del suo gregge che sbagliano e inducono altri a deviare dalla verità, ha l’obbligo morale di chiamarli a rendere conto. Questo dovrebbe essere fatto in privato all’inizio e con grande pazienza. Tuttavia, se ogni altra medicina fallisce, può essere necessario che si astengano dal ricevere la Santa Eucaristia fino a quando non si pentono.
Quindi, tali funzionari cattolici sono scomunicati?
La scomunica, nel suo significato canonico, è davvero l’ultima risorsa, e un passo che dovrebbe essere fatto solo quando tutto il resto fallisce. Un cattolico le cui azioni pubbliche contraddicono l’insegnamento della Chiesa dovrebbe astenersi volontariamente dal ricevere la Santa Eucaristia fino a quando non accetta l’insegnamento della Chiesa. Ed è accaduto che i pastori dei cattolici in questa situazione abbiano pubblicamente dichiarato che non dovrebbe ricevere la Santa Comunione. Questa, tuttavia, non è una sanzione canonica, che coinvolge il proprio insieme di motivazioni e procedure legali nella legge della Chiesa. È piuttosto una dichiarazione di fatto: la persona persevera ostinatamente nel peccato grave e manifesto, e un vescovo determina che deve istruire i ministri della Comunione nella sua diocesi a non permettere alla persona di ricevere l’Eucaristia. Questa non è una decisione che nessun vescovo prenderebbe alla leggera, né troverebbe facile da prendere, ma si tratta del più fondamentale dei diritti umani, il diritto alla vita stessa.
Piccolo catechismo della Comunione sulla mano
ripreso dal sito francese della Fraternità
La Porte Latine
Di contro, si diffondono molte pubblicazioni che pretendono di provare che la Comunione è sempre stata ricevuta sulla lingua, anche nei primi secoli della Chiesa.
Che pensarne?
Su internet si trovano molti documenti che per difendere la Comunione sulla lingua usano argomenti fasulli.
E’ necessario, dunque, esaminare la questione in profondità, senza tuttavia scartare lo stile semplice di un catechismo. Così, abbiamo deciso di includere solo le conclusioni principali nel testo, relegando l’intero apparato critico delle prove alle note finali.
1 – Cos’è oggi la Comunione sulla mano?
La Comunione sulla mano è una pratica della liturgia romana riformata dopo il concilio Vaticano II. Il prete (o un altro ministro dell’Eucarestia che nella nuova liturgia può anche essere un laico (1)), depone l’Ostia sul palmo della mano sinistra del fedele, il quale dopo la prende con la mano destra e la porta in bocca.
2 - Quando è stata introdotta questa pratica?
La pratica attuale della Comunione sulla mano è stata introdotta ufficialmente il 29 maggio 1969 con l’Istruzione Memoriale Domini della Sacra Congregazione per il Culto Divino (2). Questo documento, pur esprimendo una preferenza per la Comunione sulla lingua, affida alle Conferenze Episcopali il potere di autorizzare la Comunione sulla mano, dopo aver consultato il Vaticano.
3 – Si tratta di una semplice tolleranza o di una vera autorizzazione?
Certi autori, sulla base dell’Istruzione Memoriale Domini, vedono nella Comunione sulla mano un male che il Vaticano avrebbe tollerato solo a causa delle circostanze. In effetti, in certi paesi (soprattutto in Belgio, in Olanda, in Francia e in Germania) la Comunione sulla mano era già stata introdotta abusivamente. Piuttosto che dare adito ad una sperimentazione anarchica, il Vaticano avrebbe preferito accettarla e regolamentarla.
Questa benevola interpretazione è tuttavia contraddetta dai fatti. In effetti, se si fosse trattato di una semplice tolleranza, il Vaticano avrebbe dovuto scoraggiare la Comunione sulla mano in quei paesi ove si era diffusa. E’ accaduto il contrario. Per esempio, la Comunione sulla mano è stata autorizzata in Italia nel 1989, in Argentina nel 1996, in Polonia nel 2005. D’altronde, Mons. Annibale Bugnini, Segretario della Congregazione per il Culto Divino, ha precisato le intenzioni del Vaticano in un articolo pubblicato il 15 maggio 1973 su L’Osservatore Romano, e rivisto dallo stesso Paolo VI (3): non mortificare «un numero importante di vescovi che si riferiscono all’uso [la Comunione sulla mano] ugualmente valido nella storia della Chiesa e che in certe circostanze può rivelarsi utile anche oggi». Ora, «valido» e «utile» si dicono non per un male che si tollera, ma per un bene che si autorizza. La conclusione che si impone è che non si è trattato di semplice tolleranza, ma di una vera autorizzazione, anche se in modo limitato.
4 – La Comunione sulla mano è stata praticata altre volte nella storia della Chiesa?
Sì, la Comunione sulla mano è stata praticata altre volte nella storia della Chiesa. Come vedremo, essa è anche stata la maniera più comune di ricevere l’Eucarestia nei primi secoli. Tuttavia, nella Chiesa antica, la Comunione sulla mano si praticava in maniera molto diversa rispetto ad oggi. In più, il passaggio dalla Comunione sulla mano alla Comunione sulla lingua è stato generale e si fondava su delle ragioni decisive, così che non c’è alcun motivo valido per tornare indietro.
5 – Come si sa che nei primi secoli della Chiesa la Comunione era ricevuta normalmente sulla mano?
Noi sappiamo che nei primi secoli della Chiesa la Comunione era ricevuta normalmente sulla mano grazie alla testimonianza di diversi Padri e scrittori ecclesiastici. Per esempio, San Cirillo di Gerusalemme (313-387) scrive: «Quando ti avvicini alla Santa Tavola, non farlo con le palme delle mani distese né con le dita disgiunte, ma fai della tua mano sinistra un trono per la mano destra, poiché essa deve ricevere il Re, e nel cavo della tua mano ricevi il Corpo di Cristo dicendo “Amen”». Questo testo è estratto dalla sua quinta Catechesi mistagogica, che risale all’anno 348 (4).
In Occidente, Tertulliano (155-230) (5) il Papa San Cornelio (180-253) (6), una iscrizione dell’inizio del III secolo (7), San Cipriano di Cartagine (210-258) (8) e Sant’Agostino (354-430) (9), attestano lo stesso uso. «Le antiche testimonianze, scritte o archeologiche, sono unanimi su questo punto» ( 10).
6 - Non ci sono autori della stessa epoca che parlano della Comunione sulla lingua?
Si sono fatti i nomi di San Basilio (329-379), di Papa Leone I (390-461) e di Papa San Gregorio Magno (540-604). Tuttavia, le loro testimonianze non sembrano contraddire la pratica generale della Comunione sulla mano (11).
7 – Il rito della Comunione sulla mano nei primi secoli era lo stesso di quello di oggi?
No. Il rito della Comunione sulla mano nei primi secoli non era lo stesso di quello di oggi. Anticamente, i laici dovevano lavarsi le mani giusto prima di comunicarsi (12). In più, le donne, almeno in Gallia, potevano toccare l’ostia con la mano coperta da un piccolo lino bianco (13). Si faceva molta attenzione che nessun frammento cadesse a terra, cosa che all’epoca era più facile poiché il Pane eucaristico veniva alzato. San Cirillo di Gerusalemme (cfr, n° 5) dice esplicitamente: «Stai attento a non fare cadere niente, poiché quello che ti scapperebbe sarebbe come qualcosa delle tue stesse membra che si perderebbe» (14).
Tutte disposizioni che non sono previste dal nuovo rito della Comunione sulla mano.
8 – Quando si è passati dalla Comunione sulla mano alla Comunione sulla lingua?
Si è passati dalla Comunione sulla mano alla Comunione sulla lingua nel corso del IX secolo (15). E’ possibile che quest’uso sia cominciato un po’ prima, ma le testimonianze che possediamo non sono decisive e probabilmente riguardano dei casi particolari, come la Comunione ai malati (16).
9 – Perché si è sostituita la Comunione sulla mano con la Comunione sulla lingua?
Primariamente, perché più o meno alla stessa epoca in Occidente si è cominciato ad utilizzare per l’Eucarestia il pane azzimo, cioè senza lievito (17). Ora, se da un lato questo pane è più facile da maneggiare e si attacca più facilmente alla lingua, dall’altro lato è suscettibile di produrre più frammenti. A questo bisogna aggiungere che il fervore delle origini era diminuito e il cristianesimo era diventato una religione di massa: è tra il V e il IX secolo che la Chiesa «generalizza l’ammissione dei bambini al battesimo, la loro perseveranza non suscitava più alcuna inquietudine» (18). Il rischio di dispersione dei frammenti era dunque aumentato. E’ per questo che la Chiesa, sia in Occidente, sia in Oriente era passata molto rapidamente alla Comunione sulla lingua, che evitava questo pericolo (19).
Secondariamente perché nel corso del IX secolo si assistette ad un aumento del rispetto e della venerazione per il Santo Sacramento. Questo fenomeno è anche testimoniato dall’introduzione, un po’ più tardi, del costume di ricevere la Comunione in ginocchio (20). La Comunione sulla lingua si inscrive in questo movimento di fervore eucaristico. Si riteneva che essa esprimesse in maniera diretta e più esplicita il mistero della Presenza Reale, che i fedeli ricevevano per mano del prete o del diacono, soli ministri per questo Sacramento.
10 – Visto che la Chiesa ha autorizzato la Comunione sulla mano fino al IX secolo, non sarebbe legittimo oggi ritornare a quest’uso?
No. E questo per due ragioni.
Primariamente perché questo equivarrebbe a fare dell’archeologismo. L’archeologismo è l’attitudine di «colui che vorrebbe ritornare agli antichi riti e costumi, rigettando le norme introdotte sotto l’azione della Provvidenza, in ragione del cambiamento delle circostanze». Queste sono parole di Pio XII nella sua enciclica Mediator Dei (20 novembre 1947). Il Papa condanna questa mentalità paragonandola a quella di chi vorrebbe ritornare alle formule dei primi Concilii, scartando le espressioni più recenti della dottrina cattolica. «Un antico uso – precisa il Papa – non è, a motivo soltanto della sua antichità, il migliore sia in se stesso sia in relazione ai tempi posteriori ed alle nuove condizioni verificatesi. Anche i riti liturgici più recenti sono rispettabili, poiché sono sorti per influsso dello Spirito Santo che è con la Chiesa fino alla consumazione dei secoli, e sono mezzi dei quali l’inclita Sposa di Gesù Cristo si serve per stimolare e procurare la santità degli uomini (21).
Secondariamente perché il passaggio da un rito che esprime più rispetto per l’Eucaristia a uno che ne esprime meno indebolisce la fede nella Presenza Reale e apre la porta agli abusi e ai sacrilegi attraverso la dispersione dei frammenti e il furto di Ostie. L’esperienza quotidiana della liturgia post-conciliare lo dimostra fin troppo bene. Per fare solo un esempio, nel 1994 negli Stati Uniti solo il 30% dei cattolici sotto i 45 anni credeva nella Presenza Reale (22).
11 – Non sarebbe possibile accordare la Comunione nella mano almeno in circostanze molto particolari, come nel caso di un’epidemia?
Occorre subito precisare che non esiste alcuna prova scientifica che dimostri che la Comunione sulla lingua esponga alla contaminazione più che la Comunione sulla mano. Anche se fosse così non sarebbe ugualmente legittimo distribuire la Comunione sulla mano. Le ragioni che abbiamo esposte al n° 10 sono più importanti di ogni considerazione sanitaria, poiché evitare la dispersione dei frammenti, i sacrilegi, il pericolo di indebolire la fede nella Presenza Reale è un bene più grande della salute del corpo. Solo nel caso in cui fosse scientificamente dimostrato che la Comunione sulla lingua aumenti considerevolmente il rischio di contaminazione di una malattia molto grave, l’autorità ecclesiastica potrebbe considerare una soluzione alternativa, senza mai permettere, tuttavia, l’uso della Comunione sulla mano.
NOTE
1 – Ordinamento generale del Messale Romano, nn° 98 e 100.
2 – Traduzione francese, commento e storia del documento: cfr. La communion sur la main, supplemento a « Itinéraires », n. 163, maggio 1972.
3 – Cfr. «Si si, no no» 30 novembre1989, p. 3.
4 – Benché la maggior parte degli studiosi pensano che l’autore delle Catechesi mistagogiche sia San Cirillo, certi preferiscono attribuirle al suo successore sulla sede di Gerusalemme, Giovanni († 417). Recentemente su dei siti internet si pretende che l’ortodossia di questi sia sospetta e il rito della Comunione sulla mano da lui descritto sarebbe una sua personale innovazione. Certo, Giovanni di Gerusalemme ha avuto delle simpatie per Origene e ha protetto Pelagio, ma è per lo meno dubbio che abbia aderito alle dottrine eretiche di costoro. D’altronde, nessuno degli errori che gli attribuiscono i suoi contemporanei riguarda l’Eucarestia. Di conseguenza, anche se si considera che l’autore delle Catechesi mistagogiche sia Giovanni, niente prova che il rito di ricevere la Comunione sulla mano sia stato introdotto da lui in opposizione con la pratica liturgica comune. Un tale cambiamento non avrebbe mancato di suscitare le critiche dei suoi avversari, specialmente di quelli, come San Gerolamo, che si sono opposti a lui nella controversia origenista. Si è fatto notare che nel rito della Comunione descritto nella quinta Catechesi mistagogica si è di fronte ad una pratica bizzarra. Cosa che sarebbe la prova che questo testo non descrive la pratica normale della Chiesa. Ecco il passo in questione: «Dopo aver prudentemente santificato i tuoi occhi con il contatto col Corpo sacro, mangialo». Tuttavia, l’argomento non vale granché, poiché questo costume, per strano che possa apparire, è menzionato anche da San Clemente d’Alessandria (150-215)
e da Aphraate di Siria (280-345). Cfr. M. RIGHETTI, Manuale di storia liturgica, vol. III, Milano, Ancora, 1949, p. 423; J.-A. JUNGMANN, Missarum sollemnia, t. III, Paris, Aubier, 1958, p. 312, nota 35. – Su tutta questa questione cfr. J. QUASTEN, Initiation aux Pères de l’Eglise, tr. fr., t. III, Paris, Cerf, 1963, pp. 512-517 ; B. ALTANER, Patrologia, tr. it, Torino, Marietti, 1981, pp. 321-322 ; A. FLICHE-V. MARTIN (dir.), Histoire de l’Eglise, t. IV, Paris, Bloud et Gay, 1937, pp. 31-46 et 94-98.
5 – […] gemendo nel vedere un cristiano [...] avvicinarsi al corpo di nostro Signore con mani che danno corpi ai demoni» (De idolatria, VII). Tertulliano parla qui dei fabbricanti di idoli che diventano cristiani senza abbandonare il loro mestiere.
6 - «Infatti, quando [l’eretico Novat] ha fatto le offerte eucaristiche e distribuisce la porzione a ciascuno e gliela consegna, costringe gli sventurati a giurare invece di rendere grazie; prende in entrambe le mani quelle di chi ha ricevuto la sua porzione, e non li lascia andare finché non abbiano giurato con queste parole - uso le sue parole -: “Giurami, sul sangue e sul corpo di nostro Signore Gesù Cristo, che non mi abbandonerai mai, né tornerai da Cornelio”. E lo sventurato non può gustare [il Santissimo Sacramento] se prima non si è maledetto, e invece di dire “Amen”, nel ricevere questo pane, dice: “Non tornerò da Cornelio”» (in EUSEBIO, Historia ecclesiastica, VI, 43, 18).
7 – Si tratta dell’iscrizione di Pretorius, scritta in greco e ritrovata nel 1839 in un antico cimitero di Autun. Vi si legge: « Ricevi questo cibo dolce come il miele dal Salvatore dei santi, mangia con gioia tenendo l’Ichtus nelle tue mani». Ichtus è un termine greco che significa «veleno», ma che era utilizzato dai cristiani come l’acronimo di «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore». Cfr. H. LECLERCQ, Autun (archéologie), in Dictionnaire d’archéologie chrétienne et de liturgie, t. I/2, Paris, Letouzey et Ané, 1907, col. 3194-3198.
8 - « Un cristiano, che ha lasciato i sacrifici idolatrici, viene all’altare del Signore; osa, con gli altri, ricevere l’Eucaristia; ma non può portarla alla bocca e aprendo le sue mani vi trova solo della cenere» (De lapsis, 26).
9 - «Ma allora, perché si è avvicinato per fare la sua offerta al Signore? Perché i presenti ricevono a mani giunte ciò che egli ha offerto nonostante i suoi vizi e le sue contaminazioni?» (Contra epistulam Parmeniani, II, 7, 13).
10 - M. RIGHETTI, Manuale di storia liturgica, vol. III, Milano, Ancora, 1949, p. 422.
11 – Il passo di San Basilio richiamato a favore della Comunione sulla lingua è il seguente: «Non è grave se, fuori dai tempi di persecuzione, in assenza di un sacerdote o di un diacono, qualcuno è obbligato a comunicarsi con le proprie mani» (Epist. 93). Queste parole non fanno che attestare l’uso, ancora vigente all’epoca, di comunicarsi da se stessi in assenza di un ministro sacro. Esse non suggeriscono in alcun modo che in presenza del prete o del diacono la Comunione veniva data sulla lingua. Il seguito della lettera afferma l’esatto contrario: «Anche in chiesa, quando il sacerdote dà a ciascuno la sua parte, colui che la riceve la tiene con pieno potere su di essa, e così se la porta alla bocca con la sua mano» - San Leone si limita a dire: «quello che noi crediamo per la fede, lo riceviamo per la bocca» (De ieiunio septimi mensis, 3). Chi non vede la debolezza dell’argomento? Anche nel rito attuale della Messa il celebrante dice: «Che conserviamo con spirito puro, o Signore, ciò che abbiamo ricevuto con la bocca» E tuttavia egli ha toccato il Santo Sacramento con le sue mani! – Di contro, il testo di San Gregorio è più pertinente. Egli parla di un miracolo compiuto da Sant’Agapeto I (535-536). Gli si presenta un uomo zoppo e muto. Dopo aver celebrato la Messa, il Papa «lascia l’altare, prende la mano dello zoppo e davanti a tutti i presenti lo solleva da terra e lo fa tenere in piedi con le sue gambe. Poi gli mette in bocca il Corpo del Signore e la sua lingua, muta per tanto tempo, si scioglie, pronta ad articolare delle parole» (Dialoghi, III, 3). Tuttavia, questo episodio è troppo particolare per testimoniare una pratica comune. Poiché lo zoppo non poteva stare in piedi, sarebbe stato impossibile dargli la Comunione sulla mano. L’unica soluzione era di mettergliela direttamente nella bocca. Questo doveva essere l’uso abituale per i malati. Ma niente prova che lo stesso valeva per i sani.
- Più di due secoli e mezzo dopo, Giovanni Diacono (825-880) afferma che San Gregorio rifiutò la Comunione ad una signora romana a causa del suo atteggiamento irriverente «togliendo la mano dalla sua bocca (Vita S. Gregorii, II, 41). Ma la formula impiegata per dare la Comunione, che non risale a prima del IX secolo, dimostra che l’autore ha probabilmente proiettato all’epoca di San Gregorio gli usi liturgici del suo tempo. Certi pensano anche che tutto il racconto sia leggendario. Cfr. J.-A. JUNGMANN, Missarum sollemnia, t. II, Paris, Aubier, 1952, p. 305, note 2.
12 - Cfr. J.-A. JUNGMANN, Missarum sollemnia, t. III, Paris, Aubier, 1958, p. 313, in cui si menzionano, in nota (n. 43), le testimonianze di Sant’Attanasio (295-373), San Giovanni Crisostomo († 407) e San Cesario d’Arles (470-543).
13 - Cfr. J.-A. JUNGMANN, Missarum sollemnia, t. III, Paris, Aubier, 1958, p. 313, in cui si menzionano, in nota (n. 47), le testimonianze di San Cesario d’Arles (470-543) e del sinodo di Auxerre (578 o 585).
14 – Catechesi mistagogiche, V, 21 – Questo è l’insegnamento comune dei Padri della Chiesa. Per dei riferimenti precisi cfr. A. SCHNEIDER, Dominus est, Perpignan, Artège, 2008, II, ch. IV.
15 – Raccontando la vita di San Caedmon, frate laico (attivo fra il 657 e il 684), San Beda il Venerabile (673-735) parla della Comunione sulla mano come di una pratica ancora normale alla sua epoca: «Egli dice [San Caedmon]: “portatemi l’Eucarestia”. Dopo averla ricevuta sulla mano egli interroga i presenti se fossero tutti in pace con lui […] – I primi attestati sicuri di un uso generalizzato della Comunione sulla lingua risalgono ai primi decenni del IX secolo. « Un sinodo di Cordova (839) condannò la setta dei Cassianiti che rifiutavano di ammettere che l’Eucaristia fosse messa sulle labbra dei comunicanti (J.-A. JUNGMANN, Missarum sollemnia, t. III, Paris, Aubier, 1958, p. 314, note 52). A Rouen un concilio celebrato intorno all’878 stabilì che il sacerdote «deve distribuire l’Eucarestia ai laici e alle donne, non sulla mano, ma solo sulle labbra» (Cfr. ibidem, testo).
16 - Cf. J.-A. JUNGMANN, Missarum sollemnia, t. III, Paris, Aubier, 1958, p. 314, nota 51. – Si allega in senso contrario il canone 2 di un concilio celebrato, si dice, à Rouen verso il 650 (testo in G. D. MANSI, Sacrorum Conciliorum nova amplissima collectio, t. X, Firenze, Zatta, 1764, col. 1199-1200 ; cfr. col. 1204-1206). Tuttavia la datazione è molto dubbia e la maggior parte degli studiosi recenti pensano che l’assemblea in questione ebbe luogo solo nel IX secolo. Cfr. M. AUGÉ, A proposito della comunione sulla mano, in « Ecclesia orans » 8 (1991) 293-304.
17 - Cfr. J.-A. JUNGMANN, Missarum sollemnia, t. II, Paris, Aubier, 1952, p. 306-307.
18 - R. BÉRAUDY, L’initiation chrétienne, in A.-G. MARTIMORT (dir.), L’Eglise en prière, Tournai, Desclée et Cie, 1961, p. 594.
19 – Tale è anche il pensiero di J.-A. JUNGMANN, Missarum sollemnia, t. III, Paris, Aubier, 1958, p. 315.
20 - Cfr. M. RIGHETTI, Manuale di storia liturgica, vol. III, Milan, Ancora, 1949, p. 425; J.-A. JUNGMANN, Missarum sollemnia, t. III, Paris, Aubier, 1958, p. 308-309.
21 – Non si deve confondere l’archeologismo con l’attaccamento alla tradizione. L’archeologista rifiuta lo sviluppo omogeneo della dottrina e della liturgia cattoliche, cioè il processo per cui la fede e il culto, pur rimanendo gli stessi nella sostanza, sono espresse in modo sempre più chiaro, più esplicito, più definito. Di contro, colui che è attaccato alla tradizione rifiuta lo sviluppo non omogeneo della dottrina e del culto, sviluppo col quale si modificano la fede e il culto nella loro sostanza o le si fa passare dal più chiaro al meno chiaro, dal più esplicito al meno esplicito, dal più definito al meno definito: è il caso delle dottrine e della liturgia del Vaticano II.
22 - K.C. JONES, Index of Leading Catholic Indicators, Roman Catholic Books, 2003.
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