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giovedì 29 luglio 2021

Una coabitazione impossibile

Kwasniewski: Fondato su Menzogne, Quale Legittimazione per TC?

 

Carissimi Stilumcuriali, un caro amico del nostro sito, Vincenzo Fedele, ci offre la sua traduzione di un articolo molto interessante pubblicato su LifeSiteNews dal dott. Peter Kwasniewski, in merito alla validità giuridica del recente, discutibile e discusso Motu Proprio del Pontefice regnante. Grazie a Fedele, e buona lettura.

§§§

Peter Kwasniewski

20 luglio 2021

Dato che è fondata sulle menzogne, la Traditionis Custodes manca di legittimazione giuridica?

La posta in gioco è una pretesa teologica sullo status oggettivo delle fondamenta della tradizione liturgica, cosa che non dipende da una decisione papale, a meno che, adesso, l’autorità papale si ritenga estesa alla riscrittura del passato, cosa che, come sostengono i teologi, nemmeno Dio può fare.

20 luglio 2021 ( LifeSiteNews ) – L’articolo 1 del motu proprio Traditionis Custodes recita: “I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi di rito romano”.

Il papa qui afferma che il Novus Ordo è l’unica legge di preghiera per il rito romano. [N.d.T. Come per l’art. 1 sopra citato, e come anche nel seguito, usiamo la versione originale italiana del Motu Proprio che, curiosamente, non è stata finora edita in lingua latina. Nella versione pubblicata in inglese, invece di “unica”, cioè “unique”, è riportato “only”, cioè “la sola”. Stranezze della Sala Vaticana].

È impossibile non vedere come ciò sia incompatibile con la storia della Chiesa e con la sua riverenza per i venerabili riti dell’antichità e del Medioevo, compendiati nel Missale Romanum del 1570 e nelle sue successive edizioni integrali. Anche loro sono la lex orandi e non può essere altrimenti. Invece, il motu proprio utilizza in modo maldestro la “lex orandi” come fosse un termine giuridico, canonico, applicabile ad libitum, come se fosse un’etichetta estrinseca. In realtà, la lex orandi è l’intero complesso di testi storici di preghiere, cerimonie e musiche che compongono il Rito Romano.

L’unico modo per sostenere l’invenzione dell’articolo 1 è affermare che c’è una continuità così grande, tra il vecchio e il nuovo messale, che il nuovo è semplicemente una versione aggiornata del vecchio – che il Novus Ordo è sostanzialmente lo stesso, come il tradizionale rito romano che lo ha preceduto. La lettera di Francesco ai vescovi fa proprio questa manovra:

Si deve perciò ritenere che il Rito Romano, adattato lungo i secoli alle esigenze dei tempi, non solo sia stato conservato ma rinnovato “in fedele ossequio alla Tradizione”. Chi volesse celebrare con devozione secondo l’antecedente forma liturgica non tstenterà a trovare nel Messale Romano, riformato secondo la mente del Concilio Vaticano II, tutti gli elementi del Rito Romano, in particolare il Canone Romano, che costituisce uno degli elementi più caratterizzanti.

Si può solo guardare con stupore alla flagrante falsità di questa coppia di frasi.

Come ha dimostrato Michael Fiedrowicz (e con lui molti altri) nel suo recente libro “La messa tradizionale: storia, forma e teologia del rito romano classic” , che è rimasto senza risposta, il rito romano ha visto molti cambiamenti nel corso dei secoli, ma il suo sviluppo è stato lento, costante e continuo, un corpo veramente organico di testi, cerimonie e musiche. Non è mai stato “adattato” per un secolo particolare da un super-comitato che trattasse tutto il materiale della liturgia come materia prima a loro disposizione da riorganizzare, riscrivere ed innovare “ad libitum”, con un fiat papale per infondergli un’anima. San Pio V non creò una nuova serie di libri liturgici ma codificò il più accuratamente possibile la prassi storica della Chiesa di Roma, una lex orandi pienamente espressiva della fede cattolica allora attaccata dai protestanti. Egli stabilì solennemente questo rito della Messa come “regula fidei” con la sua Bolla Apostolica Quo Primum del 14 luglio 1570. Questa Bolla fu ripubblicata nelle successive edizioni del messale dai pontefici suoi successori, in segno di continuità nella lex orandi, proprio perchè la lex credendi potesse essere integralmente conservata e tramandata.

In netto contrasto con questo, i libri liturgici promulgati da Paolo VI furono modellati utilizzando frammenti di libri occidentali più antichi e di altre fonti non occidentali, mescolati a nuove composizioni e slegati da un patrimonio linguistico, rubricale e musicale condiviso, pur con variazioni locali, da tutti i cattolici occidentali prima della Riforma. Il suo messale fu il primo, dal 1570, a non essere preceduto da Quo Primum, assenza eloquente che testimonia la sua discontinuità rispetto alla tradizione precedente. Chiamatela come volete, questa interruzione della trasmissione è ciò che ha reso possibile in primo luogo la situazione confusa a cui il Summorum Pontificum ha cercato di dare una risposta pastorale.

Pertanto, quando Francesco afferma che “tutti gli elementi del rito romano” si ritroveranno nel moderno Messale Romano di Paolo VI e Giovanni Paolo II, egli afferma una falsità, e su questo dobbiamo richiamarlo chiararamente e con il più coraggioso impegno possibile. Quanto siano vasti i contrasti e quanto ampiamente divergano i due messali, tradizionale e moderno, è stato oggetto di voluminosi studi accademici. Ho contribuito a questo corpus di lavoro con diverse conferenze che sarebbero una lettura utile mentre ci sforziamo di rispondere al motu proprio malamente argomentato e, di fatto, errato:

Poiché la pretesa di una continuità sostanziale e di revisioni meramente superficiali non può essere sostenuta quando le prove del suo contrario sono evidenti, Papa Benedetto, con uno spirito che si potrebbe chiamare pragmatismo caritatevole, ha deciso di lasciare entrambe queste “tradizioni” – quella secolare e quella recente – realizzati negli anni Sessanta, che coesistono in una situazione senza precedenti. Non poteva pensare ad altro modo per uscire dall’impasse che la decisione di Paolo VI aveva creato, e desiderava essere il più generoso possibile con coloro che continuavano ad aderire alla liturgia tradizionale, cosa che non poteva essere addebitata loro come colpa morale o in alcun modo considerarla contraria alla Fede senza, contestualmente, rimettere in discussione la coerenza interna della Chiesa. Lui stesso aveva avuto molti ripensamenti sulla riforma liturgica e aveva ritenuto necessario lasciare che la forma più antica – davvero, un rito diverso, secondo tutti gli standard, – continuasse a rimanere in vigore.

In armonia con il giudizio di una commissione cardinalizia nominata anni prima da papa Giovanni Paolo II, papa Benedetto XVI ha affermato che il rito tridentino, da lui soprannominato “la forma straordinaria”, non è stato “mai abrogato” (Summorum Pontificum, art. 1; cfr. . con Grande Fiducia “questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso”). La ragione più profonda per cui non è stato abrogato, tuttavia, non è che Paolo VI si sia semplicemente dimenticato di farlo, o abbia sbagliato i passi corretti. Piuttosto: “Ciò che le generazioni precedenti consideravano sacro, rimane sacro e grande anche per noi, e non può essere all’improvviso del tutto proibito o addirittura considerato dannoso. E’ doveroso per tutti noi conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto”(Con Grande Fiducia, enfasi aggiunta).

Sono affermazioni di fatto ecclesiologico: ci dicono come stanno realmente le cose. Quando parla così, papa Benedetto non affronta una questione disciplinare, ma esprime verità sulla natura della liturgia cattolica nella storia e sulla sua intrinseca autorità come monumento della tradizione.

Con questa elegante intransigenza Francesco svuota completamente il motu proprio di Benedetto del suo senso teologico tanto che sembra che il nuovo motu proprio “abbia legiferato sulla base di un argomento incompleto e di informazioni false”, come osserva Christophe Geffroy. La contraddizione di Francesco con il suo predecessore su questo punto è evidente, perché il messaggio fondamentale della Traditionis Custodes è: «Ciò che le generazioni precedenti consideravano sacro “non” rimane sacro e grande anche per noi, e “può” essere improvvisamente del tutto vietato e considerato dannoso . “Non è” doveroso per tutti noi conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, o dare a tutte queste ricchezze il posto che spetta loro.”

Cosa dobbiamo farne di questa contraddizione? Un papa o l’altro ha ragione, e ancora, solo uno può avere ragione, perché queste sono affermazioni di verità universali, non determinazioni prudenziali. Ripetiamolo: non si tratta qui di questa o quella preferenza liturgica, di dare o ritirare particolari permessi. La posta in gioco è una pretesa teologica sullo statuto oggettivo dei monumenti della tradizione liturgica, cosa che non dipende da una decisione papale, a meno che l’autorità papale non si ritenga ora estesa alla riscrittura del passato, cosa che i teologi sostengono non possa fare nemmeno Dio.

Come minimo vi sono almeno tre falsità che giocano un ruolo fondamentale nella Traditionis Custodes:

  1. Come abbiamo appena discusso, la Nuova Messa non è ciò che dice di essere. Valida, certo; ma con nessuna ingegnosità di ragionamento, con nessuna metrica, si può dire che sia solo un altro “adattamento” dello stessoMissale Romanum.
  2. Le motivazioni di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono palesemente travisate nella coppia di documenti di Francesco e le loro premesse teologiche sono direttamente contraddette.
  3. Il mondo tradizionale non è quello che egli dice che sia e i risultati del sondaggio propagandato non sono stati presentati pubblicamente ed in modo onesto. Sappiamo di vescovi, soprattutto degli Stati Uniti, che hanno presentato relazioni positive, cosa che non si potrebbe mai cogliere dal tono severo della lettera papale. Una fonte interna che lavora presso la Congregazione per la Dottrina della Fede ha riassunto per me l’intera indagine definendola: “cautamente positiva”. Non assomiglia per nulla al quadro dipinto da Francesco e dalle conferenze episcopali notoriamente ostili di Francia e Italia. Di chi dobbiamo fidarci? Lo scandalo McCarrick è stato indagato solo a causa di pressioni esterne; l’esame è andato a passo di lumaca; e il rapporto finale è stato inadeguato. La trasparenza o la propensione al dire la verità del Vaticano non ispira fiducia.

Permettetemi di fare un confronto: immaginate che un’autorità civile abbia ordinato la chiusura di un amato zoo cittadino a causa di “frequenti e gravi rapporti” di incidenti con animali che fanno male ai visitatori e perché le uniche persone che vanno agli zoo odiano comunque gli animali. Ma se tali incidenti in realtà non si verificassero con alcuna regolarità, e se l’altra affermazione fosse completamente falsa e calunniosa, in che senso i subordinati sarebbero obbligati a chiudere lo zoo?

Queste pretese fallaci sono le colonne su cui poggiano le direttive disciplinari di Francesco. Ma il buon senso e la logica portano a chiedersi: un documento fondato su falsità può avere valore giuridico? Come può essere preso sul serio come strumento giuridico? Un atto è viziato se è promulgato su base falsa, derivante da mancanza di dovuta conoscenza e predominante prudenza da parte del legislatore. Ragioniamo per logica: “Dato X, si dovrebbe fare Y. Ma X è palesemente falso; quindi ci asteniamo dal fare Y.”

È rilevante un altro principio consacrato dal diritto canonico: una legge dubbia non vincola. Molti vescovi hanno già segnalato la necessità di un attento studio prima di attuare il motu proprio, nonostante il documento sia entrato in vigore da subito. Nel deliberare sul da farsi, tengano presente questo: così com’è, tra errori, contraddizioni e ambiguità, la Traditionis Custodes è così piena di dubbi che è difficile vedere come si possa agire responsabilmente in base ad essa. Date le sue debolezze sistemiche, coloro che non ci riflettono sopra rischiano di commettere peccati di imprudenza e di ingiustizia, peccati contro la carità e la comunione ecclesiale. Non si può non notare con dolore come le nuove disposizioni si inseriscano coerentemente nell’intero schema del pontificato di Francesco, con i suoi frutti di ambiguità e anarchia.

Traduzione : Vincenzo Fedele

Marco Tosatti

https://www.marcotosatti.com/2021/07/29/kwasniewski-fondato-su-menzogne-quale-legittimazione-per-tc/

Per una vera compassione

di Don Jean-Michel Gleize, FSSPX

Pubblicato sul sito francese della Fraternità San Pio X: La Porte Latine

 
La situazione dei riti di San Pio V e di Paolo VI è quella che descrive il recente Motu proprio Traditionis custodes:una coabitazione impossibile, sul piano stesso dei principii liturgici. 

1. Con il recente Motu proprio Traditionis custodes del 16 luglio, Papa Francesco stabilisce che «i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovani Paolo II, conformemente ai decreti del Concilio Vaticano II, sono la sola espressione della lex orandi del Rito romano» (1).

2. Da parte dei movimenti Ecclesia Dei, le diverse reazioni non si son fatte attendere. Senza dubbio, la situazione di tutti quelli che, legati alla liturgia tradizionale, non hanno voluto seguire Mons. Lefebvre e la Fraternità San Pio X in un supposto «scisma» o almeno in una altrettanto supposta «disobbedienza», rischia di diventare problematica. Questo apparirà senza dubbio - e di fatto rimane - molto penoso, agli occhi di tutti coloro la cui considerazione si ferma al bene personale dei membri del detto movimento - o almeno alle immediate conseguenze pratiche. L’esempio del Superiore del Distretto di Francia della Fraternità di San Pietro è caratteristico a questo proposito, quando vede nel Motu proprio di Papa Francesco un testo «offensivo», che ripaga male gli sforzi di «obbedienza» dispiegati fino ad ora, arrivando a dire che «la Fraternità di San Pio X è in definitiva trattata meglio di noi».

3. Per quanto appaia desolante nei suoi effetti e penalizzante per le persone, l’iniziativa del Papa non è tuttavia sorprendente. Essa è perfino logica. E ci si può chiedere se essa non fosse ineluttabile. Poiché la situazione dei due riti, quello di San Pio V e di Paolo VI, è esattamente quella che descrive il recente Motu proprio Traditionis custodes: situazione di una coabitazione impossibile, sul piano stesso dei principii liturgici. Al di là delle situazioni di fatto e dello stato infinitamente variabile, pacifico o conflittuale, che riguardano le persone, vi è fondamentalmente una opposizione formale di dottrina tra la Messa di San Pio V e il nuovo rito di Paolo VI. Poiché la liturgia è un luogo teologico (2). Il divario che oppone le due liturgie corrisponde ad un abisso che separa due concezioni della Chiesa e della fede. D’altronde, si può misurare l’estensione di questo divario vedendo con quale forza la maggior parte degli episcopati, consci della loro adesione al Vaticano II, si sono opposti all’iniziativa del Motu proprio Summorum pontificum: anche se il rito tradizionale della Chiesa non è stato considerato, da Benedetto XVI, per escludere il nuovo rito, la sua espansione è stata spesso fraintesa. E questo perché, al di là di una non-esclusione puramente giuridica, tra le due liturgie rimarrà sempre un’incompatibilità e un’esclusione dottrinale. Le buone intenzioni di un Papa conservatore, come Benedetto XVI, sono simili a quelle di un liberale: entrambi coltivano l’illusione di dare lo stesso diritto di cittadinanza alla verità e all’errore. Ma le intenzioni di un Papa d’avanguardia, com’è Francesco, sono di tutt’altra portata: nella sua concezione, la sola ed unica espressione della lex orandi può essere solo il Novus Ordo Missae, con l’esclusione della Messa tradizionale. E in questo, Francesco è molto più logico di Benedetto XVI, secondo l’adagio che è la legge del credere che sta a fondamento della legge della preghiera: lex orandilex credendi. Se la nuova credenza è quella del concilio Vaticano II, la nuova liturgia che le deve corrispondere può essere solo quella della nuova Messa di Paolo VI, e non quella della Messa antica, che è l’espressione di una dottrina opposta su più di un punto a quella del Vaticano II.

4. Questo significa chiaramente – tra le altre conseguenze – che la Messa tradizionale non potrebbe essere oggetto – né per un vero cattolico legato alla Tradizione, né per un vero conciliare legato al Vaticano II – di una preferenza personale o di una scelta motivata da una sensibilità teologica o estetica particolare. Non si «preferisce» la Messa tradizionale alla nuova Messa, come se la nuova Messa fosse solo meno buona o meno piacevole. Infatti, il rito tradizionale della Messa è l’espressione completa e necessaria della fede della Chiesa, in contrapposizione al nuovo rito che (nelle parole dello stesso Breve esame critico) se ne discosta in modo impressionante sia nell’insieme che nei dettagli.
Il rito tradizionale si impone all’adesione di ogni cattolico, il quale non può accontentarsi di vederlo come oggetto di una preferenza personale, per ragioni che sarebbero estrinseche alla professione della fede cattolica, e che non escluderebbero la legittimità e la bontà intrinseca del nuovo rito di Paolo VI.

5. E’ innegabile che, col Motu proprio del 7 luglio 2007, Benedetto XVI ha voluto concedere la possibilità di celebrare l’antica liturgia, e che tale concessione era senza precedenti dal 1969. Ma questo Papa, dal momento che era solo un conservatore, non è arrivato a fare del rito tradizionale l’espressione necessaria, ordinaria e comune, della legge della preghiera; l’espressione ordinaria di questa legge è rimasta quella del Novus Ordo Missae di Paolo VI. Benedetto XVI ha voluto solo che per la stessa «lex orandi» vi fossero due espressioni, di cui l’una (quella della Messa di San Pio V) fosse straordinaria, rispetto all’altra (quella della nuova Messa di Paolo VI). Dunque, Benedetto XVI ha introdotto nella liturgia della Chiesa l’impossibile dualismo di un bi-ritualismo, dualismo impossibile al livello stesso dei principii della liturgia, ed è per questo che il suo Motu proprio fu in sostanza solo l’atto di un impossibile ed illusorio liberalismo, che non poteva accontentare né la Fraternità San Pio X né il sostenitori del Vaticano II entrambi legati ai loro principii. I conservatori di diverse tendenze, e fra questi i componenti del movimento Ecclesia Dei, vi hanno visto il mezzo provvidenziale di conciliare il loro attaccamento alla liturgia di San Pio V e la loro sottomissione agli insegnamenti del concilio Vaticano II. Ma ecco che la recente iniziativa di Francesco ricorda loro che questa situazione instabile è stata resa possibile solo grazie all’iniziativa personale e in definitiva strategica di un Papa conservatore.

6. Di fronte a tutto ciò, il cattolico degno di questo nome dovrebbe provare una vera compassione: compassione vera, che non è solo rattristata dal fatto che la possibilità per questi conservatori di celebrare la liturgia di San Pio V è seriamente minacciata, ma che è molto più rattristata dalla mortale illusione in cui questi cattolici rischiano di essere intrappolati, quella di credere nella possibilità di conciliare la vecchia liturgia con l’adesione al Concilio Vaticano II - o con una supposta «obbedienza» alla gerarchia attuale. A tutti loro, è importante chiarire soprattutto che con tutta la carità pastorale che deve animarla, la Fraternità San Pio X, più che la Messa di San Pio V, non può rappresentare nello stato attuale della Chiesa un’opzione per difetto - o una preferenza opportuna e provvisoria.

7. L’iniziativa di Francesco dovrebbe quindi aprire i nostri occhi, e non solo i nostri cuori.


NOTE

– Articolo 1.
2 - Cfr. quanto scriveva dom Jean-Pierre Longeat poco prima della pubblicazione del Motu proprio di Benedetto XVI, «L’Unité de la liturgie romaine en question» sul giornale La Croix di lunedì 23 ottobre 2006, p. 25: «L’Ordo missae del 1969 attua in particolare la teologia della costituzione dogmatica sulla Chiesa. La Lumen gentium presenta la Chiesa sia come Corpo Mistico di Cristo sia come Popolo di Dio riunito nel nome di Cristo. [...] Voler incoraggiare nella Chiesa latina un ritorno ad un’altra enfasi teologica con l’estensione dell’Ordo 1962 significa generare un disturbo molto profondo nel popolo di Dio».
 

1 commento:

  1. Sul pezzo di Peter Kwasniewski:

    Quando uno è passato, armi e bagagli, alle rive del Mondo della Rovescia, il MINIMO che farà sarà che spacci per broccato d'oro un semplice scampolo di tessuto di Arlecchino, ossia una ricucitura di cenci colorati. Ovvero un'arlecchinata.

    E che viceversa spregi con disgusto violento il broccato d'oro autentico, calunniandolo per cascame di stracci.

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