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lunedì 13 settembre 2021

L’uomo che ha deciso di chiamarsi con il nome del poverello d’Assisi

La bomba di Monsignor Viganò:” Bergoglio ha firmato l’atto d’acquisto dell’immobile di Londra”



Nel corso del suo ultimo intervento per denunciare la natura esoterica e massonica del piano del Grande Reset, monsignor Viganò ha sganciato una vera e propria bomba che è passata del tutto inosservata.

L’ex nunzio apostolico presso gli Stati Uniti ha infatti fatto una rivelazione clamorosa.

Viganò ha annunciato, dopo aver avuto un colloquio con una fonte che ha definito “sicura”, che il vero regista dell’operazione dell’acquisto da parte del Vaticano dell’ormai famigerato immobile di Londra non sarebbe stato Becciu o gli altri sottoposti della segreteria di Stato.

Il vero regista non sarebbe stato altro che Bergoglio che non solo avrebbe monitorato fin dal primo momento tutti i complessi passaggi di quella che è stata una operazione speculativa che è costata milioni di euro alle casse del Vaticano, ma al tempo stesso avrebbe anche apposto direttamente la sua firma sulle carte decisive per la transazione.

Questa rilevazione cambia completamente la storia che fino ad ora gli inquirenti Vaticani e i media ufficiali hanno raccontato al grande pubblico italiano e internazionale.

La storia che è stata raccontata all’opinione pubblica vuole quella di un Bergoglio raggirato dai suoi più stretti collaboratori che avrebbero in qualche modo approfittato della sua buonafede.

La prima testata a veicolare l’immagine di un Bergoglio che vuole condurre una operazione di trasparenza nelle finanze del Vaticano è stata “L’Espresso” che sin da subito ha diffuso questa versione ufficiale dei fatti, secondo la quale, il pontefice avrebbe avuto soltanto la colpa sostanzialmente di affidarsi agli uomini sbagliati.

Sul banco degli imputati finì sin dal principio il cardinale di origini sarde, Angelo Becciu che venne accusato di aver prelevato la carità dal fondo del papa per destinare poi questi fondi in operazioni finanziare a leva rischiosissime.

Sempre nell’ambito della stessa inchiesta dell’Espresso, l’ex Sostituto della segreteria di Stato che ha esercitato il suo mandato dal 2011 al 2018, avrebbe anche utilizzato questi fondi a favore delle attività che vedevano coinvolti alcuni dei suoi fratelli.

A questo proposito, uno degli esempi più eclatanti è quello che vede il fratello del porporato, Tonino Becciu, ricevere i fondi dell’Obolo di San Pietro a sostegno della sua cooperativa, la SPES.

Almeno 600mila euro vengono destinati a fondo perduto alla SPES per ammodernare un forno prima e per riparare successivamente un capannone incendiato, nonostante l’assicurazione della cooperativa avesse coperto i danni subiti.

Questo non sarebbe stato un caso isolato di enorme e rilevante conflitto d’interessi che vede direttamente coinvolto il cardinal Becciu.

In un’altra occasione, il professor Mario Becciu, professore di psicologia presso l’università Salesiana di Roma, e titolare della Angel’s Srl, una società attiva nel settore alimentare e delle bevande, avrebbe beneficiato del rapporto con il fratello cardinale per vendere i prodotti della sua azienda.

Secondo questa ricostruzione dunque esisteva un vero e proprio “sistema Becciu” che da anni procedeva in Vaticano indisturbato.

Ora però quello che i media non si sono chiesti, e non hanno probabilmente alcuna intenzione di farlo, è come fosse possibile che il pontefice che dichiara di aver fatto della trasparenza e della condivisione la linea guida del suo papato non si sia accorto di tutto questo.

Anche se si volesse restare nel filone della storia del Bergoglio che subirebbe macchinazioni alle sue spalle, Francesco sarebbe comunque colpevole di una grossolana negligenza.

Il pontefice infatti dispone di tutti gli strumenti a disposizione per poter fare luce sulle finanze del Vaticano.

Appare assurdo che la Santa Sede, se avesse veramente voluto, non sia stata in grado di fare pulizia così come appare assurdo che il monarca dello Stato più piccolo al mondo non sappia quello che avviene tra le mura del suo Regno.

In realtà, questo quadro è puramente fittizio. Non è null’altro che una invenzione mediatica per coprire le responsabilità di Bergoglio.

A questo proposito, negli anni passati, fonti vaticane avevano già fatto emergere alla luce il vero volto del papa gesuita. Non quello di un uomo dotato di misericordia e comprensione, ma piuttosto quello di un uomo che ha fatto della tirannia e della violenza verbale nei confronti dei suoi sottoposti il marchio del suo dicastero.

Il ritratto presentato da Marcantonio Colonna, autore del libro “Il Papa dittatore”, coincide perfettamente con quanto hanno rivelato queste fonti.

Bergoglio sarebbe un vero e proprio despota che governa arbitrariamente e allontana anche coloro che sono minimamente sospettati di essere contrari al suo papato.

In Vaticano da anni ci sarebbe un clima di caccia alle streghe staliniano dove sono ovunque disseminate spie che riferiscono a Francesco i comportamenti o anche i colloqui casuali riportati tra i dipendenti che non vengono giudicati ortodossi alla linea del pontefice.

Appare pertanto impensabile che Francesco che ha occhi e orecchie dappertutto in Vaticano non sappia cosa sia accaduto veramente sull’immobile di Londra.

La storia di questa compravendita è complessa e per poterla comprendere appieno è necessario ricostruire alcuni passaggi.

Saranno questi passaggi a far comprendere come da questa operazione abbia tratto soprattutto beneficio un manipolo di finanzieri senza scrupoli che per poter aver successo nelle loro speculazioni non hanno potuto non avere “complicità interne” come vengono definite dagli inquirenti vaticani.

Su queste complicità interne però gli investigatori di Bergoglio talvolta sorvolano e non approfondiscono.

Soprattutto è chiaro il mandato ricevuto dai magistrati del papa. Non si deve sfiorare minimamente Francesco nell’inchiesta.

L’idea di fondo deve essere quella di mettere sul banco degli imputati solamente alcuni personaggi che rivestono il ruolo dei classici capri espiatori necessari per poter coprire e nascondere le responsabilità dei vertici.

La rischiosa speculazione finanziaria dell’immobile di Londra

La storia dell’operazione dell’immobile di Londra inizia tra il giugno 2013 e il febbraio 2014.

Enrico Crasso che ha gestito per molti anni i fondi della Segreteria di Stato introduce in Vaticano il finanziere Raffaele Mincione.

La Segreteria all’epoca stava valutando le opzioni migliori per alcuni investimenti e all’inizio considera anche la possibilità di spendere denaro su alcuni fondi petroliferi in Angola.

L’opzione angolana viene però scartata e si decide di investire 200 milioni di dollari ricevuti in prestito dalla banca Credit Suisse nel fondo Athena gestito dallo stesso Mincione.

I fondi vengono suddivisi in 100 milioni nella parte mobiliare e altri 100 nella parte immobiliare che riguardavano appunto l’edificio di Sloane Avenue a Londra.

Il pontificato di Bergoglio era iniziato da poco e già si lanciava in una operazione finanziaria a leva rischiosissima che produrrà perdite consistenti nel corso degli anni.

Il valore dell’immobile di Londra risulta pesantemente gonfiato e Mincione utilizza i fondi ricevuti dalla Segreteria di Stato per saldare i suoi debiti con l’ENASARCO.

In pratica, sin dai primi istanti il Vaticano ha rivestito il ruolo di bancomat di una camarilla di speculatori finanziari.

Secondo la versione ufficiale, il responsabile della Segreteria per gli investimenti è monsignor Perlasca che come si vedrà successivamente sarà poi considerato come uno dei principali responsabili dell’investimento andato a male.

Nel corso degli anni emerge che la decisione di mettere i soldi sul fondo di Mincione è stata quanto mai scellerata.

La Santa Sede ancora non è entrata in possesso del palazzo di Londra che risulta essere ancora nelle mani di Mincione.

Per poter entrare in possesso dell’immobile, allora la Segreteria di Stato decide di affidarsi a un altro finanziere, di nome Gianluigi Torzi.

Anche questa scelta però si rileva essere un errore madornale perché una parte dei 15 milioni di euro che il Vaticano affida a Torzi per cercare di riscattare definitivamente il palazzo di Sloane Avenue, finiscono direttamente nelle tasche di Mincione.

Torzi e Mincione in pratica erano d’accordo sin dal principio per continuare a gestire assieme l’immobile londinese.

Quello che appare surreale in questa storia è come si possa far credere che dei finanzieri esterni riescano puntualmente a raggirare il Vaticano senza che i vertici della Segreteria di Stato, quali il cardinale Parolin, e il pontefice stesso fossero all’oscuro di tutto.

I raggiri non sono comunque finiti perché successivamente viene fuori che nell’ottobre del 2018 Torzi riesce ancora una volta “magicamente” a beffare la Santa Sede.

Il finanziere elabora un accordo che nel gergo della finanza è noto come “Share Purchase Agreement” che è un accordo tra acquirente e venditore per regolare le condizioni del passaggio delle azioni di una determinata società.

In questo caso, lo schema che mette su Torzi è questo. Assegna a sé stesso 1000 azioni della appena costituita società GUTT SA che ora detiene la proprietà dell’immobile di Londra, e assegna altre 30mila azioni alla Segreteria di Stato.

Il raggiro sta nel fatto che il Vaticano nonostante il numero prevalente di azioni non ha diritto di voto a differenza di Torzi che in questo modo dispone del controllo assoluto del palazzo in questione.

La Santa Sede quindi dopo aver sborsato altri 40 milioni di euro in precedenza a Mincione per rientrare in possesso dell’immobile e a distanza di cinque anni dall’investimento iniziale non è ancora entrata in possesso definitivo dell’edificio di Londra.

A firmare ufficialmente questo accordo di acquisto sarebbe stato monsignor Perlasca, citato in precedenza, e né monsignor Peña Parra, il Sostituto della Segreteria che nel frattempo ha rimpiazzato Becciu, né il Segretario di Stato in persona, Pietro Parolin, si sarebbero accorti dei termini previsti dal contratto.

Secondo la versione ufficiale fornita dai magistrati vaticani, sia Peña Parra che Parolin avrebbero ricevuto un memorandum nel quale si presentavano in termini sommari i dettagli della transazione.

Quello che suscita perplessità è il fatto che né il Sostituto né il Segretario di Stato abbiano chiesto di vederci chiaro per comprendere davvero cosa stava accadendo su una storia che ormai si protraeva da anni, e che vedeva puntualmente passare all’incasso finanzieri senza scrupoli che riuscivano sempre “incredibilmente” ad avere la meglio sulla Santa Sede.

A quanto pare, secondo questa improbabile ricostruzione, la Santa Sede sarebbe un luogo popolato da ingenui dove nessuno si accorge di nulla e dove i superiori sarebbero sempre e comunque dei benevoli sprovveduti in buonafede che finiscono raggirati da speculatori professionisti esterni.

Se anche si volesse credere a tutto questo, la domanda più naturale che andava posta in questo senso è perché nessuno abbia mai pensato di chiedere conto della negligenza dei vertici della Segreteria nel fare le opportune verifiche.

La fonte di monsignor Viganò:”Bergoglio ha autorizzato e firmato l’acquisto del palazzo”

Ora però tutta questa versione dei fatti già poco credibile sin dal principio, e concepita evidentemente per coprire le responsabilità dei prelati più influenti del Vaticano, andrebbe definitivamente in frantumi di fronte alle rivelazioni fatte da monsignor Carlo Maria Viganò.

La fonte vaticana citata dal monsignore dichiara di sapere come sono andate esattamente le cose.

Secondo questa fonte, il vero regista di tutta questa enorme speculazione finanziaria che ha visto dissanguare pesantemente nel corso degli anni le casse della Santa Sede non sarebbe stato altro che Bergoglio.

Uno dei contratti d’acquisto dell’immobile di Sloane Avenue sarebbe stato firmato da papa Francesco in persona.

Pertanto, se questa clamorosa rivelazione fornita da una fonte altamente affidabile a Viganò, fosse confermata, colui che ha permesso a questi finanzieri di arricchirsi e colui che ha destinato i soldi della carità in una operazione finanziaria rischiosissima sarebbe stato proprio lui: il pontefice.

L’uomo che ha deciso di chiamarsi con il nome del poverello d’Assisi per predicare il messaggio della rinuncia alle ricchezze materiali sarebbe lo stesso uomo che sarebbe coinvolto in speculazioni spericolate che piuttosto che tra le Mura Vaticane sono generalmente intraprese all’ombra della city di Londra o tra i palazzi di Wall Street, a New York.

Francesco tempo fa disse che una cosa corrotta “è una cosa sporca e un cristiano che fa entrare dentro di sé la corruzione non è un cristiano, puzza.”

Alla fine di questa storia, sembra proprio che l’unico che si porta addosso questo fetore che ha infangato la sua vesta bianca è proprio lui: Jorge Mario Bergoglio.

di Cesare Sacchetti


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