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lunedì 4 ottobre 2021

“Guerre di comunione”

I vescovi moderni? Più manager e politici che pastori


Negli ultimi mesi, alcuni cattolici americani hanno espresso la loro esasperazione nei confronti dell’arcivescovo Salvatore Cordileone, a detta di tutti uno dei migliori vescovi americani, perché nel podcast di Crisis Point ha ammesso di non sentirsi pronto a negare la Santa Comunione a Nancy Pelosi, nonostante la speaker della Camera difenda in modo rabbioso e da lunga tempo l’aborto. Dunque, se perfino uno dei nostri vescovi migliori non agisce in un caso evidente di “incoerenza eucaristica”, che speranza possiamo avere nell’episcopato?

Queste “guerre di comunione” evidenziano il grande divario che esiste oggi tra i vescovi e i fedeli laici. I vescovi non sono convincenti nelle loro argomentazioni che legittimano il non fare nulla, mentre i laici non ottengono nulla nel tentativo di spingere la gerarchia a una posizione più solida. È come se i due gruppi non parlassero la stessa lingua, perché non hanno la stessa lingua, in effetti.

Quando un vescovo considera questo problema sul piano pratico – cosa fare quando un Joe Biden o una Nancy Pelosi si presentano per la Comunione – prenderà in considerazione molti fattori (ammesso che si preoccupi anche di riservare l’Eucaristia ai cattolici in stato di grazia): in che modo negare la Comunione al politico avrà un impatto sulla diocesi? Provocherà una rivolta tra il clero? Prosciugherà le donazioni per opere di beneficenza? Provocherà una frenesia mediatica? In definitiva, come sarà influenzato il lavoro della diocesi?

Il cattolico medio, invece, si preoccupa poco di questi fattori di opportunità. Le sue domande si pongono su un altro livello: l’anima del politico sarà danneggiata? Più donne prenderanno in considerazione l’aborto? Questo farà perdere alle persone la fede nella Presenza Reale? Mio cugino cattolico penserà che questo gli dia supporto per continuare a votare per i politici pro-aborto? Alla fine, come saranno influenzate le anime?

I vescovi, insomma, guardano anzitutto al bene dell’organizzazione; i laici cattolici guardano al bene delle persone. I vescovi si sforzano di essere amministratori forti; i laici vogliono leader apostolici fedeli. I vescovi si concentrano sugli elementi umani e politici  della Chiesa; i loro critici all’interno della Chiesa si concentrano sugli elementi soprannaturali.

Questo non vuol dire che i vescovi abbiano completamente torto nella loro visione e che i laici cattolici abbiano completamente ragione. Un vescovo veramente efficace dovrebbe fondere gli elementi di cui sopra nell’esercizio dell’episcopato. Ma in quasi tutti i vescovi moderni alla fine ciò che vediamo è uno squilibrio: sono manager focalizzati sull’organizzazione, l’amministrazione e la politica.

Come ha sottolineato un recente articolo su Crisis, nel secolo scorso i funzionari della Chiesa nel selezionare i nuovi vescovi hanno guardato sempre di più alle capacità manageriali rispetto allo zelo apostolico. Posso confermarlo con alcune prove aneddotiche. Un mio ex parroco, che era noto per le sue capacità amministrative ma non per il suo zelo nel convertire le anime, alla fine divenne vescovo, mentre un altro pastore, che era disposto a mettersi in gioco per salvare le anime, rimase un semplice prete.

Puntare più sull’amministrazione che sull’evangelizzazione ha condotto a una grande crisi nella Chiesa. Ha portato a pastori che hanno paura di correggere le pecore ribelli per non offendere il gregge. Ha creato un branco di quadri intermedi invece di un esercito di apostoli.

Con tutto ciò, ripeto, non vogliamo negare le preoccupazioni di un vescovo. Egli nella sua diocesi ha la responsabilità di tutto il lavoro della Chiesa, dalla vita parrocchiale ai programmi di beneficenza per raggiungere i non cattolici. Se è costantemente nel mirino sia dei media al di fuori della Chiesa sia degli elementi liberali al suo interno, avrà poco tempo per fare il lavoro pastorale. Inoltre, è chiaro che è molto più probabile che i superiori di un vescovo, ovvero i funzionari vaticani, diano la priorità alla gestione efficiente di una diocesi rispetto a quelle che saranno viste come posizioni controverse. È difficile prendere una posizione se sai che il tuo capo, dopo, potrebbe buttarti sotto l’autobus per questo.

Inoltre, tutti i cattolici dovrebbero desiderare diocesi ben gestite. Tuttavia, vorremmo che l’opera della Chiesa si realizzasse efficacemente, per raggiungere il maggior numero di anime con il messaggio di Gesù Cristo. Un’amministrazione forte non è male. Eppure, è facile vedere che le priorità dei nostri vescovi sono diventate gravemente squilibrate: abbiamo l’organizzazione senza missione. Invece di esistere per la salvezza delle anime, la maggior parte delle diocesi esiste semplicemente per mantenere in vita le diocesi stesse. Quindi, nel momento in cui i nostri vescovi, per mantenere efficiente la diocesi, intraprendono azioni che danneggiano le singole anime, la loro azione è controproducente. Che importa far arrivare i treni in orario se vanno tutti verso la destinazione sbagliata?

I vescovi di oggi riducono troppo spesso la Chiesa al livello di un’organizzazione puramente umana, senza alcun mandato divino, e che ignora le parole di Gesù: «Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20).

Sì, i cattolici laici dovrebbero comprendere meglio la difficoltà di essere vescovo. Ho lavorato direttamente per un vescovo per cinque anni, e sarò onesto: essere vescovo è un lavoro terribile, che non augurerei al mio peggior nemico. È un gioco costante di “colpisci la talpa”, poiché un vescovo deve affrontare una lamentela dopo l’altra, da tutta la diocesi.

Eppure, alla loro consacrazione i vescovi sono chiamati a essere successori degli apostoli e a guidare la loro Chiesa locale, parte di un’istituzione fondata da Gesù Cristo per portare la salvezza eterna alle anime perdute. Ciò significa che devono mettere il soprannaturale al di sopra del naturale, ponendo la salvezza delle anime, e non un’organizzazione efficiente, come priorità assoluta.

Le nostre aspettative sono alte perché devono essere alte. Anche se si è tentati di cadere in una costante critica del vescovo o, al contrario, di mostrare servile deferenza verso l’ufficio, dovremmo sempre sfidare i nostri leader religiosi ad avere una visione soprannaturale. Dobbiamo esortarli ad anteporre il bene delle anime individuali al bene dell’organizzazione e a dare priorità alla fedeltà a nostro Signore rispetto alle stregonerie amministrative. Non stiamo chiedendo a ogni vescovo di essere una combinazione di evangelista, martire e insegnante (san Giovanni Crisostomo, sant’Ignazio di Antiochia e sant’Agostino riuniti in uno), ma li invitiamo a cambiare radicalmente le loro priorità.

I cattolici giustamente non seguono più ciecamente il modello “prega, paga e obbedisci” del primo Novecento (un modello, va detto, che non è mai stato storicamente la norma nella Chiesa). Questo non significa che dobbiamo ignorare o mancare di rispetto ai nostri vescovi, ma dobbiamo ritenerli responsabili. Se da un lato dobbiamo essere consapevoli della miriade di responsabilità di un vescovo, non possiamo permettergli di dimenticare che la salvezza delle anime, non l’amministrazione dell’organizzazione, è la missione primaria della Chiesa.

di Eric Sammons

Fonte: crisismagazine.com

https://www.aldomariavalli.it/2021/10/04/i-vescovi-moderni-piu-manager-e-politici-che-pastori/

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