Esiste una teoria di cattolici, prestigiosi e no, laici e prelati,
numerosa e assordante, che ha solo l’obiettivo di perseguire il male
minore. Di fatto, così, cooperano con il male. E su questo, non ci può
essere discussione, perché questa cinica “strategia” ha già prodotto
danni immensi nel nostro paese.
Su “Il Timone” n. 26 del luglio/agosto 2003, Mario Palmaro scriveva:
“Pochi ricordano che la 194 è l’unica legge sull’aborto al mondo che
porti la firma esclusivamente di uomini politici cattolici. Quando viene
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 22 maggio del 1978, essa porta
in calce la firma di cinque politici dello Scudo crociato: il Presidente
del Consiglio Giulio Andreotti e i ministri Tina Anselmi, Francesco
Bonifacio, Tommaso Morlino, Filippo Maria Pandolfi. I membri
dell’esecutivo della Dc avrebbero potuto dimettersi piuttosto che
firmare una legge assolutamente inaccettabile, ma rimasero alloro posto
‘per il bene del Paese’. Il Capo dello Stato, anch’egli democristiano,
Giovanni Leone, avrebbe potuto rimandare la legge 194 alle Camere per
sospetta incostituzionalità, senza nemmeno dover rassegnare le
dimissioni, in base all’articolo 74 della Costituzione. Invece, dopo
soli quattro giorni firmò. Purtroppo non fu solo la paura, o
l’attaccamento al potere, a portare al tradimento gli uomini della Dc.
Da anni era in atto una trasformazione del partito, che gettava le basi
per un disimpegno progressivo sulle questioni più scomode e cruciali. Il
20 luglio del 1975, al Consiglio nazionale della Democrazia cristiana,
il premier in carica Aldo Moro prende la parola: ‘La ritrovata natura
popolare del partito induce a chiudere nel riserbo delle coscienze
alcune valutazioni rigorose, alcune posizioni di principio che sono
proprie della nostra esperienza in una fase diversa della vita sociale,
ma che fanno ostacolo alla facilità di contatto con le masse e alla
cooperazione politica. Vi sono cose che, appunto, la moderna coscienza
pubblica attribuisce alla sfera privata e rifiuta siano regolate dalla
legislazione e oggetto di intervento dello Stato. Prevarranno dunque la
duttilità e la tolleranza’. La linea politica era dunque tracciata, nel
segno della resa e del rinnegamento dell’identità sulle ‘cose che
contano’”.
Nei decenni successivi e soprattutto negli ultimi anni – diciamo
dall’iniziativa del Family Day del 2007 in poi – la “strategia”
eterodiretta dei cattolici impegnati in politica, è stata ancora quella,
spiace dirlo, indicata da Moro: cercare il dialogo, la tolleranza, la
duttilità, raggiungere il compromesso, anche con coloro che palesemente
avevano ed hanno altri fini, consoni alla necessità di eliminare ed
annientare i principi dell’ordine naturale. È accaduto sulla legge 40,
sulla discussione sul testamento biologico, sull’introduzione in varie
regioni della RU486 e sul dibattito sulla pillola del giorno dopo e dei
cinque giorni dopo. Accadrà sul matrimonio omosessuale, sull’adozione di
bambini per le coppie omosessuali, sull’eutanasia, sul disegno di legge
che prevede il riconoscimento di figli naturali a causa d’incesto e
prima o poi anche sulla pedofilia.
Le “cose che contano” per questo tipo di cattolici, non sono i principi,
altrimenti si guarderebbero bene dal raggiungere compromessi, che poi
puntualmente si ritorcono sempre contro li persegue. Quello che conta è
affermare il proprio potere, nell’ambito politico o della
rappresentatività e visibilità sociale. Perseguono il male minore e
difendono ad oltranza la legge sull’interruzione di gravidanza, ad
esempio o pensano di opporre alla richiesta omicidiaria degli eutanasici
le risibili e suicide norme sul testamento biologico o boicottano,
esplicitamente o con il silenzio, la Marcia per la Vita, che riunisce a
Roma decine di migliaia di preti, suore, medici, infermieri, bambini con
le loro famiglie, difendendo persino l’applicazione della 194. Lo fanno
per mediocrità, per pavidità e per conservare il loro ruolo. Sono
“vuoti dentro”, sembrano non possedere anima che si fa coraggio, non
vogliono affrontare il male per quello che è. Sono militanti –
consapevoli o no, in buona fede o no – del “male minore”, che per un
battezzato non esiste. Come il Vangelo non chiede di essere un “poco
buoni”, ma solo “buoni”, timorosi di Dio e dei Suoi comandamenti, così
non chiede di considerare l’esistenza di un male che possa definirsi
“minore”. Se c’è un male, tale è. Da esso occorre preservarsi, non
cooperare, non coltivarlo, non fare compromessi. Combatterlo con
nettezza e chiarezza di pensiero e posizioni.
Tant’è. Il relativismo produce queste derive. Ammorbati dalla logica del
“bene comune” su questa terra, che non si comprende in realtà cosa
voglia dire, molti cattolici pensano che il Paradiso riguardi “tutti”,
anche coloro che praticano il male e non si pentono. Se invece si
ragionasse sul “per molti”, molte cose cambierebbero. A cominciare – e
non sarebbe cosa di poco conto – dalla Verità da testimoniare e da
affermare. Con l’obiettivo – e per i cattolici non vi dovrebbe essere
altro obiettivo da tentare di perseguire – di conquistare la vita eterna
attraverso il passaggio sofferente e insieme gioioso su questa terra.
Fonte: www.lavocedidoncamillo.com
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