ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 21 gennaio 2013

Missing in action


Ecce Bombo”, aspirante ministro degli esteri

riccardi
Indovinello. Chi è quel tizio che “dopo essere stato a lungo tempo candidato praticamente a quasi tutte le cariche disponibili in Italia, dal papato al Quirinale”, all’improvviso si è tirato indietro e ora è un “non candidato” ma di gran lusso?
Troppo difficile? E allora rifacciamo la domanda. Chi è quel tizio che “dopo aver contribuito a convincere Mario Monti a scendere in campo e a rifiutare il ruolo di grande riserva della repubblica, e dopo aver promesso più volte di essere disposto a spendersi in prima persona, e a metterci la faccia, per tentare di realizzare il sogno di un grande centro, si è improvvisamente e misteriosamente smaterializzato, puf”?

La prosa è del notista politico Claudio Cerasa, in un’esauriente e godibilissima rassegna dell’élite dei “non candidati” alle prossime elezioni politiche, su “Il Foglio” di sabato 19 gennaio.
A questo punto è chiaro che la soluzione dell’indovinello è Andrea Riccardi, il fondatore di Sant’Egidio, forse il più morettiano tra i “candidati non candidati” di questa campagna elettorale. Il Nanni Moretti di “Ecce Bombo” che filosofava: “Che dici: vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto, così, vicino a una finestra, di profilo, in controluce. Voi mi fate: dai, vieni di là con noi. E io: andate, andate, vi raggiungo dopo. Vengo, ci vediamo là. No, non vengo”.
Insomma, “dopo lunghe, drammatiche e sofferte valutazioni”, scrive Cerasa, Riccardi è uno di “quei candidati ombra che hanno infine deciso che li si nota molto di più non se vengono e se ne stanno in disparte, ma più semplicemente se in parlamento non ci vengono per niente”.
Tanto, in prima linea, come capolista a Roma alla camera, Riccardi ha spedito il fido Mario Marazziti, suo obbedientissimo doppio da una vita. Per sé, Riccardi ha in mente dell’altro e di più. Ambisce ad avere in dote quello che non riuscì ad ottenere nell’autunno del 2011, quando non il cardinale Tarcisio Bertone, non il cardinale Angelo Bagnasco, ma il presidente Giorgio Napolitano lo impose come ministro di un ministero confezionatogli “ad personam”, quello della cooperazione internazionale.
Quel mini-ministero Riccardi lo accettò obtorto collo, come un modesto premio di consolazione. Perché era agli esteri che lui puntava, dicendolo a destra e a manca.
Ed è agli esteri che adesso vuole finalmente arrivare. E ha calcolato che la chiamata potrà meglio venirgli se si terrà pronto non in parlamento, ma nel più nobile Olimpo degli ottimati.
Peccato che, come aspirante ministro degli esteri, Riccardi ha dato di sé una prova, a fine novembre al Cairo, che se Napolitano e Monti ne prendessero nota lo licenzierebbero sui due piedi, invece di promuoverlo a stratega della geopolitica del nuovo millennio.
Rileggere qui, per credere. E anche qui.
Col suo strampalato discorso al Cairo, Riccardi voleva assurgere a nuovo Obama. È rimasto a Nanni Moretti.


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