Gli occhi di tutto il mondo, non solo dei cattolici, sono rivolti in questo momento a San Pietro, per conoscere chi sarà il nuovo Vicario di Cristo. L’attesa che si manifesta alla vigilia di ogni Conclave è questa volta più accorata ed intensa, per il succedersi di eventi che lasciano sgomenti e confusi.
Massimo Franco scrive sul “Corriere della Sera” del 27 febbraio 2013 che «dentro la Città del Vaticano si sta consumando la fine di un modello di governo e di una concezione del papato» e paragona le difficoltà che oggi attraversa la Chiesa alla fase finale della crisi del Cremlino sovietico. «Il declino dell’Impero vaticano – scrive –accompagna quello degli Usa e di un’Unione Europea in crisi economica e demografica. Mostra un modello di papato e di governo ecclesiastico centralizzato, sfidati da una realtà frammentata e decentrata». La crisi dell’impero vaticano viene presentata come la crisi di un modello di Papato e di governo ecclesiastico inadeguato al mondo del XXI secolo. L’unica via di uscita sarebbe quella di un processo di “autoriformaˮ che salverebbe l’istituzione, snaturandone l’essenza.
In realtà ciò che è in crisi non è il governo “monocraticoˮ, conforme alla Tradizione della Chiesa, ma il sistema di governo nato dalle riforme postconciliari, che, negli ultimi cinquant’anni, hanno espropriato il Papato della sua autorità sovrana, per redistribuire il potere tra le conferenze episcopali e una onnipotente Segreteria di Stato. Ma soprattutto Benedetto XVI e il suo predecessore, pur così diversi di temperamento, sono rimasti vittime del mito della collegialità di governo in cui hanno sinceramente creduto, rinunziando ad assumere molte responsabilità che avrebbero potuto risolvere il problema dell’apparente ingovernabilità della Chiesa. La perenne attualità del Papato sta nel carisma che gli è proprio: il primato di governo sulla Chiesa universale, di cui il Magistero infallibile è decisiva espressione.
Benedetto XVI, dicono alcuni, non ha esercitato con autorità il suo potere di governo, perché è un uomo mite e mansueto, che non ha né il carattere né le forze fisiche per far fronte a questa situazione di grave ingovernabilità. Lo Spirito Santo lo ha infallibilmente illuminato, suggerendogli il supremo sacrificio della rinunzia al pontificato per salvare la Chiesa. Non ci si rende conto però di quanto questo discorso umanizzi e secolarizzi la figura del Sommo Pontefice. Il governo della Chiesa non si regge sul carattere di un uomo, ma sulla sua corrispondenza alla divina assistenza allo Spirito Santo.
Il Papato è stato occupato da uomini dal carattere imperioso e guerriero, come Giulio II, e dal temperamento mite ed amabile come Pio IX. Ma è stato il beato Pio IX, e non Giulio II, a corrispondere più perfettamente alla Grazia, ascendendo ai vertici della santità, proprio nell’esercizio eroico del governo papale. La concezione secondo cui un Papa debole e stanco si dovrebbe dimettere non è soprannaturale, ma naturalistica perché nega l’aiuto decisivo al pontefice di quello Spirito Santo che impropriamente viene invocato. Il naturalismo si trasforma a questo punto nel suo opposto: in un fideismo di impronta pietista, per il quale l’invadenza dello Spirito Santo assorbe la natura umana e diventa il fattore rigenerante della vita della Chiesa. Si tratta di eresie antiche che oggi affiorano proprio negli ambienti più conservatori.
L’errore, sempre più diffuso è quello di voler giustificare qualsiasi decisione venga presa da un Papa, da un Concilio, da una Conferenza episcopale, in nome del principio per cui «lo Spirito Santo assiste sempre la Chiesa». La Chiesa è indefettibile certo, perché, grazie alla assistenza dello Spirito Santo, «Spirito di Verità» (Gv. 14, 17), ha dal suo Fondatore la garanzia di perseverare fino alla fine dei tempi, nella professione della stessa fede, degli stessi sacramenti, della stessa successione apostolica di governo. Indefettibilità tuttavia non significa infallibilità estesa a tutti gli atti di Magistero e di governo, né tantomeno impeccabilità delle supreme gerarchie ecclesiastiche.
Nella storia della Chiesa, spiega Pio XII, «si sono avvicendate vittoria e sconfitta, ascesa e discesa, eroica confessione con sacrificio dei beni e della vita, ma anche in alcuni suoi membri, caduta, tradimento e scissione. Una testimonianza della storia è univocamente chiara: portae inferi non praevalebunt (Mt. 16, 18); ma non manca anche l’altra testimonianza, anche le porte dell’inferno hanno avuto i loro parziali successi» (Discorso Di gran cuore del 14 settembre 1956). Malgrado i successi parziali e apparenti dell’inferno, la Chiesa non rimane scossa né dalle persecuzioni, né dalle eresie o dai peccati dei suoi membri, anzi attinge nuova forza e nuova vitalità dalle gravi crisi che la colpiscono.
Ma se gli errori, le cadute, le defezioni non ci devono scoraggiare, esse, quando accadono, non possono essere negate. Fu, ad esempio, lo Spirito Santo ad ispirare la scelta di Clemente V e dei suoi successori di trasferire la sede del Papato da Roma ad Avignone? Oggi gli storici cattolici concordano nel definirla una decisione gravemente sbagliata, che indebolì il Papato nel XIV secolo, aprendo la strada al Grande Scisma d’Occidente.
Fu lo Spirito Santo a suggerire l’elezione di Alessandro VI, un Papa che tenne una condotta profondamente immorale prima e dopo la sua elezione? Nessun teologo, ma anche nessun cattolico, potrebbe sostenere che i 23 cardinali che elessero Papa Borgia fossero illuminati dallo Spirito Santo. E se ciò non avvenne in quella elezione, si può immaginare che non avvenne in altre elezioni e conclavi, che videro la scelta di Papi deboli, indegni, inadeguati alla loro alta missione, senza che ciò pregiudichi in alcun modo la grandezza del Papato.
La Chiesa è grande proprio perché sopravvive alle piccolezze degli uomini. Può essere eletto dunque un Papa immorale o inadeguato. Può accadere che i Cardinali del conclave rifiutino l’influsso dello Spirito Santo e che lo Spirito Santo che assiste il Papa nel compimento di tutta la sua missione sia rifiutato. Questo non significa che lo Spirito Santo venga sconfitto dagli uomini o dal demonio. Dio, e solo Lui, è capace di trarre il bene dal male e perciò la Provvidenza guida ogni vicenda della storia. Nel caso del Conclave, spiega nel suo trattato sulla Chiesa il cardinale Journet, assistenza dello Spirito Santo significa che se anche l’elezione fosse il risultato di una cattiva scelta, si ha la certezza che lo Spirito Santo, che assiste la Chiesa volgendo al bene anche il male, permette che ciò avvenga per fini superiori e misteriosi. Ma il fatto che Dio tragga il bene dal male compiuto dagli uomini, come accadde per il primo peccato di Adamo, che fu causa dell’Incarnazione del Verbo, non significa che gli uomini possano commettere il male senza colpa. E ogni colpa va pagata, in cielo o in terra.
Ogni uomo, ogni nazione, ogni assemblea ecclesiastica, deve corrispondere alla Grazia, che per divenire efficace ha però bisogno della cooperazione umana. Di fronte al processo di autodemolizione della Chiesa, di cui già parlava Paolo VI, non si può dunque rimanere con le mani conserte, in uno stato di ottimismo pseudo-mistico. Bisogna pregare ed agire, ognuno secondo le proprie possibilità, perché questa crisi abbia fine e la Chiesa possa mostrare visibilmente quella santità e quella bellezza che non ha mai perso, e mai perderà fino alla fine dei tempi. (di Roberto de Mattei)
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