ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 10 maggio 2013

TELEFONATE DALL’OLTRETOMBA:


PARLA IL SUPERTESTIMONE DEL CASO ORLANDI

Marco Fassoni Accetti lega il sequestro di Emanuela alla “spectre” che agiva in Vaticano - Dossieraggi, servizi segreti collegati al Patto di Varsavia e ricatti - L’ “avvertimento” a Marcinkus e quella “parodia” di Macioce al telefono con la famiglia Orlandi… - -

Fabrizio Peronaci per il "Corriere della Sera"
emanuela orlandiEMANUELA ORLANDI
Aveva promesso di non rilasciare dichiarazioni «nel merito dell'inchiesta» finché non saranno concluse le analisi sul flauto che ha fatto ritrovare, ma a denunciare quel che considera un «massacro mediatico» ai suoi danni ci tiene, eccome: «Io sarei l'assassino di Emanuela Orlandi e fors'anche di Mirella Gregori? Ammettiamolo pure. E allora che faccio? Aspetto 30 anni, abbandono il lavoro di fotografo e regista, saluto le persone care e mi presento in tribunale per farmi comminare un ergastolo...».

Il supertestimone Marco Fassoni Accetti aggiunge: «Avevo deciso di raccontare quel che so, compreso il mio ruolo, confidando nel nuovo pontefice e nella coscienza di altre persone che all'epoca parteciparono e che tuttora spero si facciano avanti... Invece vedo che molti partecipano a una manipolazione per non coinvolgere responsabilità ad altri livelli: l'ho già detto ai magistrati, sono tentato di non collaborare più». Sei giorni dopo lo scarto in avanti della Procura, che ha deciso di indagare Fassoni Accetti per sequestro di persona aggravato dalla morte dell'ostaggio, l'inchiesta giudiziaria sulla Vatican connection è tornata di grande attualità.
EMANUELA ORLANDIEMANUELA ORLANDI
Un intrigo complicatissimo. Sul quale il fotografo d'arte, che ha confessato di essere stato uno dei «cinque o sei telefonisti», ha fornito una lettura approfondita. L'indagato ha riferito di aver fatto parte dal 1979 all'83 di un «nucleo di controspionaggio» incaricato di «lavori sporchi» all'ombra del Vaticano, formato da giovani vicini ad ambienti ecclesiali («Io studiai al San Giuseppe De Merode, poi diventai comunista»), da elementi dei servizi (Stasi, deviazioni del Sisde) e da esponenti della Magliana.
EMANUELA ORLANDIEMANUELA ORLANDI
Obiettivo? Condizionare la politica di papa Wojtyla («per tutelare il dialogo con l'Est»), nonché intervenire con attività di dossieraggio («anche su impulso di personalità ecclesiastiche») nell'ambito di contrasti e guerre di potere all'interno delle Mura Leonine.
Due i presunti ricatti emersi finora: premere tramite il sequestro di Emanuela e Mirella per la liberazione di Alì Agca (il quale si sarebbe sdebitato ritrattando le accuse ai bulgari di complicità nell'attentato al papa); sfruttare il clamore planetario della vicenda per mettere all'angolo monsignor Paul Marcinkus, il presidente dello Ior, sulla restituzione dei 400 milioni di dollari del crack Ambrosiano (poi avvenuta nel 1984).
MARCO FASSONI ACCETTIMARCO FASSONI ACCETTI
Fassoni Accetti alcuni riscontri sulla sua conoscenza dei fatti li ha già forniti. Altri sono al vaglio dei magistrati, a partire dalla «materia» che meglio conosce: le telefonate. Il primo uomo misterioso che contattò casa Orlandi il 25 giugno 1983, dicendo di aver incontrato Emanuela a Campo de' Fiori mentre vendeva collanine, «disse di chiamarsi Pierluigi, e non fu un caso - è la versione dell'indagato - Scegliemmo quel nome perché era lo stesso di un alto prelato, oggetto delle nostre attenzioni».
E l'Amerikano, l'uomo che telefonò la prima volta il 5 luglio, promettendo il rilascio di Emanuela in cambio di Agca? La sua voce, registrata dagli Orlandi su suggerimento della polizia, rimbalza da anni anche sul web. E ora Fassoni Accetti rivela: «Quella dell'Amerikano era una parodia di Macioce, un'imitazione».
MARCINKUSMARCINKUS
Così Marcinkus era avvertito. Thomas Macioce, avvocato, presidente della Allied Stores Corporation di New York, nonché Supremo cavaliere di Colombo, la più grande organizzazione cattolica di beneficenza negli Stati Uniti: perché tirarlo in ballo? Che peso e poteri aveva nel torrione dentro le Sacre mura? Ricostruire il contesto non sarà facile. Di certo Macioce diventò consigliere d'amministrazione della banca vaticana nel 1989, quando si chiuse l'era Marcinkus. Ma restò poco ai vertici: morì di leucemia l'anno seguente.
«Cultura anglosassone; livello intellettuale elevatissimo; conoscitore della lingua latina; appartenente, o inserito, nel mondo ecclesiale»: questo è l'identikit che dell'Amerikano fece Vincenzo Parisi, il vicecapo del Sisde. Coincidenze? Quella voce, da 30 anni, rappresenta uno dei misteri più inquietanti, l'inafferrabile enigma, lo snodo principale del giallo. Soluzione vicina?


Emanuela Orlandi: mistero Chi l’ha Visto? Marco Fassoni Accetti ora alla gogna

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di Pino Nicotri

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Il mistero di Emanuela Orlandi si infittisce in modo imprevisto. Non solo di polemiche, accuse e contraoaccuse, ma forse anche di querele e controquerele. Il trionfo del 3 aprile dopo poco più di un mese è già diventato un boomerang. Quel giorno c’è stata la grande esibizione del flauto ritrovato, quello “di Emanuela”, procurato da Marco Fassoni Accetti e portato in processione prima per Roma e poi nello studio di “Chi l’ha visto?” e nelle case dei telespettatori. Con tanto di corredo di formella in ceramica di una stazione della Via Crucis a suggellare la sacralità del ritrovamento.
Forse però l’avere scelto come stazione della Via Crucis quella della fustigazione di Gesù non è stata un bella idea, oppure è stata un’idea indovinata perché prefigurava che la faccenda sarebbe finita male. ConMarco Fassoni Accetti, ormai per tutti più familiarmente MFA, ricambiato da “Chi l’ha visto?” con la puntata dell’8 maggio che gli ha cucito su misura addosso – davanti a qualche milione di telespettatori – due abiti, anzi tre, uno più infame dell’altro. E con lo stesso MFA che per reazione minaccia fulmini e saette giudiziarie contro chi prima lo ha portato in trionfo, il 3 aprile, poi man mano gettato nella polvere e l’8 maggio scaricato nella spazzatura.
1. Il primo abito è quello dell’adescatore di bambine: è bastata una “testimonianza” anonima telefonica et voilà, les jeux sont faits: ecco il nuovo Girolimoni sbattuto in prima pagina, pardòn, in prima serata e affini. Come se fosse cosa criminale che un fotografo facesse il suo mestiere di fotografo fotografando anche ragazzine.
Per giunta in un Paese come l’Italia dove la pubblicità di qualunque griffe e maitre coutourier usa come oggetti sessuali anche le bambine in età da scuola elementare. Con questo criterio, che dire di Modigliani, Soutine, Goya e altre migliaia di pittori, scultori, fotografi, registi e artisti vari che hanno immortalato bambine e bambini riprendendolo per ore e giorni dal vivo? Ma ormai MFA è visto o fatto vedere come il probabile rapitore e magari pure killer sia di Emanuela Orlandi sia della sua coetanea Mirella Gregori.
2. Il secondo abito è quello proprio dell’orco, quello che i bambini li divora a decine e magari li procura a dozzine come carne fresca per luridi traffici pedofili. La vicenda del ragazzino travolto dall’auto di MFA anni or sono e purtroppo morto, con tanto di processo che ha però escluso lati loschi o anche solo cinici, nella testa di una miriade di telespettatori è diventato “la punta di un iceberg”, come mi hanno messaggiato in molti.
Dove l’iceberg è per l’appunto chissà quale laido traffico per rifornire di minorenni altri orchi. Mi si perdoni la seguente domanda imbarazzante e irriverente: come mai nessuno si scandalizzava, anzi, perlomeno a sinistra, quando era Pier Paolo Pasolini che si procurava i ragazzini specie quando andava in viaggio nei Paesi dell’allora Terzo Mondo?
Dacia Maraini raccontò sui giornali di quelle pasoliniane “discese all’inferno” che spesso mettevano nei guai il famoso scrittore, tanto che i suoi compagni di viaggio dovevano fare intervenire le autorità diplomatiche italiane per evitare guai seri e scandali rovinosi. Capisco bene che MFA non è certo un Pasolini, ma si dovrebbe anche capire che l’ipocrisia e i due pesi e due misure non sono propriamente una pratica onesta e accettabile, anche se fa il solletico ai lati malsani che ognuno di noi si porta dentro.
3. Il terzo è forse più ambizioso abito, congeniale al tormentone dell’ Emanuela Orlandi Show che ha fatto la fortuna di “Chi l’ha visto?” negli ultimi ormai quasi otto anni, è quello del cosiddetto Americano. Vale a dire, del tizio che spacciandosi per il portavoce dei “rapitori” di Emanuela Orlandi telefonava a casa Orlandi, alla Segreteria di Stato del Vaticano, all’avvocato Gennaro Egidio legale degli Orlandi e dei Gregori, a casa di tre amiche di Emanuela, all’Ansa e a qualche giornale, per prendere in giro tutti. Seminando come “prove” solo ed esclusivamente fotocopie di tre pezzi di carta che certamente erano in possesso non solo della scuola di musica frequentata da Emanuela Orlandi, ma anche di più di un suo amico e conoscente, compresi quelli del Vaticano.
Molto suggestiva la comparazione della voce di MFA in una intervista con quella della telefonata dell’Americano a casa Orlandi il giorno 8 luglio ’83. La suggestione è tale che in un passaggio della telefonata a casa Orlandi, laddove l’Americano parla di “funzionari” vaticani che si sarebbero messi in contatto con gli Orlandi, la voce può forse parere la stessa. Forse. Anche se a dire il vero MFA parla più lentamente dell’ Americano, con pause tra le parole e tra le varie frasi, e con una leggerissima inflessione toscana, mentre l’autore di quella telefonata a casa Orlandi parlava invece in modo concitato e con un accento che a me pare polacco. Mi ricorda infatti quello di un mio amico, Jacek, amico anche di Papa Wojtyla, suo compatriota e compagno in almeno un viaggio in Polonia.
All’epoca di quella telefonata MFA aveva 27 anni (secondo alcuni 23). Il profilo tracciato dagli specialisti dei servizi segreti civili, allora chiamati Sisde, tra i quali il criminologo Francesco Bruno, individuavano invece nell’Americano una persona meno giovane, di professione sacerdote o ex sacerdote, che prima di imparare l’italiano aveva imparato il latino. Insomma, tutti fuorché MFA. Al quale ho immediatamente telefonato non appena mi hanno avvertito che a “Chi l’ha visto?” stavano chiedendo ai telespettatori se non pareva loro la stessa voce quella di MFA e quella dell’Americano trasmesse entrambe a bella posta per questo giudizio di massa.
“Mi scusi, Marco Fassoni Accetti, ma se lei è l’Americano doveva dirlo prima a me!”.
“Ma chi è che sostiene questa idiozia?”, mi ha ribattuto MFA.
Lo stanno dicendo o facendo capire a “Chi l’ha visto?”.
“Non ci posso credere! Io non ne so nulla, non ho mai detto né a loro né ai magistrati che io ero l’ Americano. E’ una balla bell’e buona”.
Come che sia, tempo fa – alle ore 22:15 del 22 giugno 2011 – è stato proprio “Chi l’ha visto?” a mandare in onda la telefonata di una donna – Angela Struwe – che indicava in quella di un gesuita polacco la voce dell’Americano. Ecco il sunto di cosa è stato detto esattamente (come si può leggere a questo link):
“Ore 22:15
E’ stata fatta riascoltare la telefonata che un uomo (definito “L’ Americano” per l’accento) aveva fatto alla famiglia Orlandi molti anni fa. Una spettatrice ha chiamato la redazione affermando di aver individuato la voce dell’americano. Angela Struwe ha detto: “E’ un polacco che parla inglese e mi è sembrato di riconoscere la voce di Padre Kasimiro, un padre gesuita che lavorava con un’associazione di polacchi sparsi nel mondo che si aiutano a vicenda moralmente ed economicamente. E’ una persona solare e alla mano”. La redazione di Chi l’ha visto ha contattato Padre Kasimiro Przidatek che ha negato di assere l’americano della telefonata”.
Ecco che dopo meno di due anni l’ Americano gesuita polacco, peraltro più simile al ritratto tracciato da Bruno&C, viene trasformato nel fotografo d’arte e operatore cinematografico romano Marco Fassoni Accetti.
Insomma, lo spartito suonato dal flauto fatto ritrovare il 3 aprile non pare buona musica. Però sono in molti, fuori dalla Procura della Repubblica, a parlare di “svolta decisiva”. Purtroppo però non è la prima volta, siamo infatti alla decima o dodicesima “svolta decisiva”.
Non è detto che “la” svolta ci sia davvero neppure nel caso che il Dna eventualmente estratto dal beccuccio del flauto somigli molto a quello degli Orlandi. La fotografa romana Roberta Hidalgo ha già ampiamente dimostrato, e raccontato nel suo libro “L’affaire Emanuela Orlandi“, come sia facile procurarsi capelli e perfino tamponi mestruali di casa Orlandi, cioè materiale organico utile a contaminare un oggetto con il Dna di persone che con quell’oggetto non hanno nulla a che vedere.
Chiunque può seguire Pietro o Natalina Orlandi o uno dei loro familiari in un bar, pizzeria, ecc. e procurarsi un tovagliolino o un bicchiere usato da loro e contaminare il flauto. Inoltre quando gli Orlandi sono ospiti di “Chi l’ha visto?” o di altri programmi, della Rai e non, per trasmettere la loro voce viene applicato loro un microfono sulla giacca o sulla camicia. Il microfono è rivestito di spugna sintetica. Che ovviamente raccoglie un po’ del fiato di chi parla. Utilizzare quella piccola spugna sintetica per contaminare un flauto o altro è un gioco da ragazzi. Specie se si tratta di ragazzi opportunamente interessati o sollecitati.
Alla polizia scientifica di più di una città del Nord Italia mi fanno notare che figli e nipoti degli Orlandi hanno spesso la passione per la musica e suonano la chitarra in gruppetti musicali, e gli strumenti a fiato a volte non mancano. A farne provare uno per gioco o per prova a una ragazzina Orlandi è capace chiunque. Ne sarei capace anch’io. E lo si può fare senza che il buon MFA ne sappia niente, incastrandolo in un gioco più grande di lui.
Insomma, anche se con trucchi simili non si può produrre un Dna specifico attribuibile senza fallo alla povera Emanuela, ce ne sarebbe abbastanza per coltivare l’arte del dubbio. Utile per altre decine di puntate e inchiestedi “approfondimento”.
Lo spettacolo continua. Alla prossima.

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