No, il Concilio di Nicea non ammise ai Sacramenti i risposati. Seconde nozze, evidenze storiche e teologiche travisate ed un errore madornale.
del Prof. John Lamont (traduzione a curadel Dott. Massimo Micaletti - Radio Spada)
Sandro Magister, l'autorevole vaticanista del giornale italiano “L'Espresso”, ha pubblicato recentemente un articolo dal titolo eclatante: “Quando la Chiesa di Roma perdonò i secondi matrimoni”. Magister descrive l'attuale spinta ad abbandonare il rigore della Chiesa e permettere a coloro che hanno divorziato e si sono risposati civilmente di ricevere la comunione nelle Chiese cattoliche.
Il fondamento del suo titolo è il suo assunto per cui una nuova ricerca storica ha dimostrato che questa pratica fu approvata nella Chiesa più antica. Ecco il brano saliente del suo articolo:
“I fautori del cambiamento, quando esplicitano la loro posizione, fanno affidamento da ultimo sulla coscienza dei singoli. Ma è la coscienza l'unica via di soluzione al problema dei divorziati risposati? Stando a quanto accadeva nei primi secoli del cristianesimo, no. La soluzione era allora un'altra. A richiamare recentemente l'attenzione su come la Chiesa dei primi secoli affrontò la questione dei divorziati risposati è un sacerdote di Genova, Giovanni Cereti, studioso di patristica e di ecumenismo, (...) La chiave di volta di questo studio – ricchissimo di riferimenti ai Padri della Chiesa alle prese col problema delle seconde nozze – è il canone 8 del concilio di Nicea del 325, il primo dei grandi concili ecumenici della Chiesa, la cui autorità è stata sempre riconosciuta da tutti i cristiani.
Il canone 8 del concilio di Nicea dice: "A proposito di quelli che si definiscono puri, qualora vogliono entrare nella Chiesa cattolica, questo santo e grande concilio stabilisce […] prima di ogni altra cosa che essi dichiarino apertamente, per iscritto, di accettare e seguire gli insegnamenti della Chiesa cattolica: e cioè essi entreranno in comunione sia con coloro che sono passati a seconde nozze, sia con coloro che hanno ceduto nella persecuzione, per i quali sono stabiliti il tempo e le circostanze della penitenza, così da seguire in ogni cosa le decisioni della Chiesa cattolica e apostolica".
I "puri" al quale il canone si riferisce sono i novaziani, i rigoristi dell'epoca, intransigenti fino alla definitiva rottura sia con gli adulteri risposati sia con chi aveva apostatato per aver salva la vita, anche se si erano poi pentiti, erano stati sottoposti alla penitenza ed erano stati assolti dal loro peccato.
Esigendo dai novaziani, per essere riammessi nella Chiesa, di "entrare in comunione" con queste categorie di persone, il concilio di Nicea ribadiva dunque il potere della Chiesa di perdonare qualsiasi peccato e di riaccogliere nella piena comunione anche i "digami", cioè gli adulteri risposati, e gli apostati” (Sandro Amgister, Quando la Chiesa di Roma perdonò i secondi matrimoni”.
La prima reazione di qualunque teologo che si interessi di questa questione è chiaramente di estrema sorpresa. Il Primo Concilio di Nicea fu il più importante e venerato concilio nella storia della Chiesa Cattolica, dato che in quella sede fu dichiarata solennemente la piena divinità di Cristo. Come avrebbe potuto passare inosservata sia all'epoca che nei secoli successivi la riammissione, da parte del Concilio di Nicea, dei risposati alla comunione – atteso che la regola della Chiesa prima, durante e dopo questo Concilio prevede che coloro che si sposino dopo aver lasciato la precedente moglie siano condannati come adulteri ed esclusi dalla comunione?
La sorpresa svanisce presto se si esamina più attentamente il caso di Cereti. Magister sostiene che l'attenzione è stata recentemente richiamata su questa problematica dallo studio di Cereti – mentre ammette che l'opera di Cereti è semplicemente una ripubblicazione di un libro originariamente pubblicato nel 1977. Persino un profano potrebbe chiedere perché la tesi di Cereti non ha trovato generale accoglimento, sebbene sia stata chiaramente formulata ed in circolazione già dal 1977. La risposta a questa domanda può essere trovata se si ha riguardo alla critica al libro di Cereti del grande allievo della patristica Henri Crouzel SJ. Frate Crouzel era l'autore del testo di riferimento sulla posizione della Chiesa recente sul divorzio[1]; va rilevato che egli stesso sosteneva l'idea di un allentamento dei precetti della Chiesa con riferimento all'ammissione dei divorziati e dei “risposati” (notare le virgolette, n.d.T.) ai sacramenti[2], quindi non stava certo cercando di costruire un caso storico per fondare la propria posizione teologica. In due articoli di rassegna sulla rivistaAugustinianum, Crouzel dimostrò che la tesi di Cereti era un travisamento dei fatti[3].
Come sostiene Magister, l'architrave dello studio di Cereti è il canone n. 8 del Concilio di Nicea, che fu rivolto contro i Novazionisti, e pretendeva che essi accettassero nella comunione quelli che avevano contratto seconde nozze. L'intera questione di Cereti in relazione con questo canone è nell'intenderlo come riferito a coloro che si sposano di nuovo mentre il loro primo coniuge è ancora vivo. In realtà, però, il canone parla di coloro che asseriscono che il nuovo matrimonio, dopo la morte del primo sposo di uno dei coniugi, è proibito. Questa posizione fu concepita dagli eretici Montanisti e persino da alcuni rigoristi tra i Padri della Chiesa, come Atenagora, Crouzel dimostra che i Novazionisti avevano sostenuto esattamente questo assunto, il che significa che la condanna di cui al canone 8 deve essere intesa come rivolta contro la scomunica di coloro che si risposano dopo essere rimasti vedovi.
Persino questa condanna deve essere rivista se il suo contesto viene esaminato: era chiaro nella prima Chiesa che i preti che erano vedovi non potevano risposarsi, perciò la condanna è solo contro quelli che scomunicavano il laico che si sposa nuovamente dopo la morte del coniuge. Questa interpretazione del canone è invero l'unica che può avere un senso, alla luce della condanna universale delle seconde nozze dopo il divorzio formulata da tutti gli altri Padri e canoni della Chiesa primitiva. Vediamo dunque una via di mezzo tra rigore e lassismo nei precetti della Chiesa più antica, come asserisce Magister, ma non è una via di mezzo tra ritenere che il matrimonio sia indissolubile o permettere che si sciolga ricorrendo semplici condizioni. É piuttosto una via di mezzo tra il rigore di sostenere che nella vita è permesso un solo matrimonio, indipendentemente dalla circostanza che il primo coniuge si ancora vivo, ed il lassismo di acconsentire alle nuove nozze mentre lo sposo o la sposa sono ancora vivi.
Magister menziona Crouzel come rivale di Cereti, ma non dà rilievo alla confutazione di Druezel della tesi di Cereti sul Concilio di Nicea. Crouzel dimostra inoltre la falsità di molti altri assunti di Cereti, mentre sottolinea che per lui è impossibile evidenziare tutti gli errori di Cereti, giacché ce ne sono diversi in ogni pagina della sua opera di oltre 400 pagine. L'errore circa il Concilio di Nicea – un errore facilmente verificabile, che frange il suo più forte argomento – è una adeguata prova dell'accuratezza della condanna di Cereti da parte di Crouzel quale storico. In un articolo più recente nel 1976[4], Crouzel considerò altri storici che avevano provato a formulare una tesi analoga a quella di Cereti.
Individuò così otto errori metodologici che ricorrevano in quegli allievi, rilevando che pure Cereti aveva commessi quegli stessi errori. Tali errori sono i seguenti:
1) Iniziare la trattazione da zero, senza tenere in alcuna considerazione il lavoro che è già stato svolto sul tema;
2) Giungere a conclusioni che mancano di supporto;
3) Ragionare in circolo vizioso;
4) Adoperare ipotesi di lavoro che guidano alla ricerca ma che poi vengono rappresentate quali esiti della ricerca stessa;
5) Trarre argomenti dal silenzio;
6) Preferire oscure allusioni piuttosto che chiarire gli assunti nella ricerca scientifica;
7) Sbagliata lettura di testi;
8) Analisi storica inadeguata.
Val la pena che chiunque esamini un dibattito storico implicante questioni teologiche, tenga bene a mente questi otto difetti; sono caratteristiche di ogni autore che tenti di prostituire l'evidenza storica al fine di sostenere la tesi preferita.
Il rilancio del libro di Cereti è un interessante segno dei tempi. In certo qual modo è un dato caratteristico del corrente pontificato: vecchi radicali dagli Anni Settanta pensano che alla fine è giunto il loro momento, e tornano alla carica. Tuttavia, il fatto che le loro tesi siano tanto risalenti può essere per loro un vantaggio, perché gli argomenti offerti a confutazione delle loro posizioni quando si sono fatti avanti sono stati da tempo dimenticati – chi sa nulla di Crouzel e delle sue critiche? Ma la loro ottica non è solo il revival di un'epoca ormai trascorsa. La loro riuscita è stata infatti preparata da una lunga campagna tesa ad ammorbidire i loro oppositori, condotta coi metodi classici della propaganda e di un inquadramento vincente del problema. La stessa introduzione nel dibattito del termine “seconde nozze (orig. “rimatrimonio”, n.d.T.)” è stata per loro una vittoria fondamentale. Nel caso delle persone che si sposano civilmente quando hanno ancora un precedente coniuge vivo, non si tratta di seconde nozze ma di bigamia. Una volta che i cattolici saranno resi coscienti del fatto che l'attuale dibattito è se ammettere i bigami alla comunione, allora si potrà sperare nell'opportuna risposta a questo problema. Tuttavia, finché ciò non accadrà saremo destinati a sopportare ulteriori riproposizioni di vecchi falsi accademici quale quello di Cereti.
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