Di sovietica
memoria (o attualità?)
Prima o poi doveva succedere – ed è successo. No,
l’autore di questo irriverente sito di
invettive (come è stato qualificato da un giornalista dell’autorevole
quotidiano Avvenire) non è stato
ancora scoperto; si è solo fatto cacciare dalla diocesi che lo aveva accolto
per motivi apparentemente ben più banali. I crimini irremissibili di cui si è
macchiato sono legati alla sua fede nei Sacramenti: dare l’Eucaristia soltanto
sulla lingua, dichiararsi pronto a negarla a chi fosse in stato di peccato
mortale manifesto nonché – e qui Caifa si strappi le vesti – dir Messa in
privato (si badi bene: in privato) secondo il rito di san Pio V! Ebbene sì: celebrare
il Sacrificio redentore nella forma
straordinaria è per certi Vescovi, a quanto pare, l’atto più nefando ed
esecrabile che un sacerdote possa commettere. In confronto, l’immoralità
diffusa in ampi strati del clero è una bazzecola: basta andare avanti come se
non ci fosse – purché non ci si mettan di mezzo i Carabinieri o i giornalisti…
Si direbbe che il motu proprio
di papa Benedetto XVI – sempre che non sia una leggenda inventata dai
tradizionalisti – non fosse altro che un lontanissimo ricordo, un imbarazzante
incidente legato a un passato ormai irraggiungibile, un’imprevedibile anomalia
nell’inarrestabile processo, avviato dal Vaticano II, delle magnifiche sorti e progressive… Il
medesimo Vescovo di cui sopra, redarguendo un suo sacerdote in procinto di passare
alla Fraternità San Pio X, ha bloccato qualsiasi obiezione possibile sentenziando
che «il problema della Tradizione, certo, c’è stato fino a qualche anno fa, ma
oggi non sussiste più». Tanta spudoratezza è appena velata dall’ipocrita
sottinteso che, regnante il Papa precedente, i presuli modernisti han dovuto mordere
il freno con stizzosa impazienza, mentre con quello attuale han potuto
abbandonare ogni remora.
Il fatto è che il Summorum Pontificum
è sempre in vigore e che bisognerebbe abrogarlo per renderlo inefficace (cosa
assolutamente improbabile da parte di qualcuno che vuol piacere a tutti…).
Allora si procede ignorandolo ed evitando di rispondere in proposito – come del
resto si fa da decenni con tutte le leggi ecclesiastiche a cui non si vuole
obbedire. Poi però si pretende obbedienza assoluta e incondizionata ad una
norma inesistente, secondo la quale i fedeli avrebbero il diritto inalienabile di ricevere la Comunione sulla mano. Basta una
rapida ricerca per rendersi conto che non esiste alcun documento che fondi tale
presunto diritto; ci sono soltanto dei rescritti con i quali il dicastero
competente della Curia Romana ha concesso
come un’eccezione, alle conferenze episcopali che ne hanno fatto richiesta, la
possibilità di distribuire la santissima Eucaristia deponendola sulle mani dei
fedeli. Peraltro nessuno degli ultimi Papi canonicamente eletti ha mai
approvato questa prassi; anzi, l’hanno costantemente e manifestamente scoraggiata.
Se è ancora lecito ragionare, una concessione non
stabilisce alcun diritto, né tanto meno costituisce un obbligo per il sacerdote
che – ut aiunt – presiede
l’assemblea. Secondo il vocabolario Treccani della lingua italiana, presiedere significa «essere a capo in
qualità di presidente o di preside, e più genericamente esercitare funzioni
direttive, sovraintendere». Tralasciamo il fatto che il sacerdote, quando
celebra la Messa, non si limita a dirigere un gruppo di convenuti, ma
ripresenta il Sacrificio della Nuova Alleanza in persona Christi.
In ogni caso, per un minimo di coerenza, gli accaniti difensori del Novus
Ordo
dovrebbero almeno rispettare il loro proprio linguaggio: se è vero che il
sacerdote presiede la Messa, non può farsi dettar legge dal primo venuto, ma
sarà libero di scegliere tra le possibilità che gli sono consentite.
Ma la logica e il diritto non sono più di casa nelle
parrocchie e nelle curie diocesane: valgono unicamente l’arbitrio, l’abuso,
l’imposizione e la pretesa. Così, con la logica e il diritto, se n’è andata
anche la fede. Chi si accosta all’Eucaristia dovrebbe pensare non alla maniera
pratica in cui gli è porta, ma ben più a ciò che riceve, cioè a Chi si dona a
lui gratuitamente in corpo, sangue, anima e divinità; per questo ha l’obbligo
di esaminarsi se è in stato di grazia (per poterlo ricevere degnamente piuttosto
che a propria condanna) e se possiede le disposizioni interiori necessarie per
poterlo ricevere con frutto. Se, al momento della santa Comunione, il non
essere accontentato dal sacerdote in un dettaglio del tutto secondario fa
sentire un fedele respinto e giudicato, ciò è segno che la sua mente è ormai
annebbiata da quel soggettivismo morboso che tiene le persone ripiegate su sé
stesse e sulle proprie fisime, impedendo loro di lasciarsi afferrare
dall’esultante e riverente stupore che prova chi, al contrario, è concentrato
sulla realtà oggettiva del dono immenso che gli viene offerto senza merito
alcuno.
Non parliamo poi della caduta – inevitabile con la
nuova prassi – di frammenti che finiscono sotto i piedi dei fedeli o del
rischio, tutt’altro che trascurabile, di trafugamento delle sacre specie a
scopo di profanazione. Più ancora, l’abitudine di distribuire l’Eucaristia come
una caramella o un biscottino ha provocato una crisi generalizzata della fede
nella Presenza reale. Se la Comunione, allora, è un mero segno di appartenenza,
posto al termine di una semplice rievocazione protestante dell’Ultima Cena,
perché non ammettervi indistintamente chiunque capiti? Alla fine hanno ragione
i vescovi tedeschi – tolto il fatto che non sono più cattolici… A forza di
andare con lo zoppo luterano, hanno imparato a zoppicare e, quel che è peggio,
sono finiti completamente fuori strada trascinando dietro di sé il loro gregge
– almeno quello che ancora paga l’esosa Kirchensteuer
per finanziare le diocesi più ricche del mondo. Noi non vogliamo finire come
loro: vogliamo la fede, la grazia, la santità… e – se lo avremo meritato – il
Paradiso.
Ma di tutto questo, ai nostri Vescovi, sembra che non
importi nulla. Per tale motivo lo scrivente, accogliendo dalle mani della
Provvidenza la disposizione gerarchica, ha offerto il giorno stesso una santa
Messa di ringraziamento in rito antico. Con tanti altri sacerdoti e fedeli, non
si riconosce più nell’assetto odierno della Chiesa terrena, che sotto molti
aspetti non milita più per Cristo, ma per qualcun altro. Per quanto indegno – ciò
che il Messale di san Pio V gli ricorda continuamente – egli è convinto di aver
ricevuto il dono inestimabile e la temibile missione del sacerdozio per portare
le anime in cielo, non per aiutarle a dannarsi. Per questo, continuando
gioiosamente sulla via di sempre (l’unica che conduca lui e gli altri alla vita
eterna), si sente finalmente liberato da un sistema perverso nel quale, tra
“formazione” e “ministero”, ha boccheggiato per trent’anni cercando di
sopravvivere allo scempio. Nei primi tempi si chiedeva perplesso come mai gli
attuali metodi della gerarchia cattolica assomigliassero tanto a quelli propri
del totalitarismo sovietico. Ora l’ha capito: i Pastori formatisi negli anni
’70 hanno le stesse idee e gli stessi obiettivi; lo dichiarano essi stessi.
Concludendo, vi propongo di unirvi alla mia gioia
(temperata dal dolore, di un’intensità mai provata prima, per le lacrime dei
buoni parrocchiani che patiscono il distacco), chiedendovi in pari tempo
preghiere perché il Signore mi mostri come vuole servirsi di me d’ora innanzi.
Una cosa è certa: potrò dedicare più tempo alla parrocchia virtuale, i cui
fedeli, grazie agli incontri avvenuti nel corso dell’estate, stanno diventando
reali. Con un po’ d’aiuto materiale, sono pronto a muovermi in Italia e nel
mondo: potremo rinfrancarci a vicenda in vista della dura battaglia che ci
attende. Ma niente paura: il nostro Signore ha già vinto il mondo; il santissimo
nome della Madre nostra ha già sbaragliato più volte i nemici della vera fede e
della santa Chiesa.
P.S.: a proposito delle questioni liturgiche cui
sopra si accenna, date un’occhiata ai piani della massoneria pubblicati qui
accanto nei Documenti; verificate le coincidenze e traetene le vostre
conclusioni.
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