ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 8 novembre 2015

Dal triregno al tripapa


PIO X E CATTOLICI PROGRESSISTI                                                                                                                                 Per i cattolici progressisti Pio X colpì il modernismo per un meschino calcolo politico. La Chiesa oggi può permettersi il lusso di avere 3 papi: uno costretto alle dimissioni l’altro eletto a furor di vescovi progressisti e Scalfari di F. Lamendola  


Pio X combatté duramente il modernismo soltanto, o principalmente, per un meschino calcolo di natura politica, vale a dire per farsi amica la classe dirigente liberale e fare argine così, grazie ad essa, contro la montante marea socialista, che avrebbe sottratto alla Chiesa la direzione di una larga parte del mondo cattolico, almeno al livello delle classi inferiori?

Detta così, sembrerebbe poco più di una semplice “boutade” dal sapore fortemente complottista, e non nel senso migliore di quest’ultimo termine; eppure è proprio questo il nocciolo della tesi avanzata da non pochi di quei cattolici che si autodefiniscono progressisti (come a sottintendere che quelli che non la pensano come loro sono dei conservatori o, peggio, dei reazionari): per loro, infatti, la lotta antimodernista di Pio X ha avuto il torto di rimandare di quasi un secolo il temuto avvicinamento fra le masse cattoliche e quelle marxiste.
Che, poi, quell’incontro, che si è “felicemente” realizzato ai nostri giorni, sia un bene per il mondo cattolico, e per il cristianesimo stesso, questa è, evidentemente, un’altra questione: che essi non si pongono neppure, convinti, come sono, di avere da sempre la verità in tasca e che la risposta, se proprio qualcuno fosse così duro di comprendonio da porre una simile domanda, non può essere che affermativa. Nemmeno la caduta ingloriosa dell’ideologia comunista è riuscita a scalfire le loro rocciose certezze, a indurli a mettere in discussione la bontà del loro assunto fondamentale: che fra il Vangelo di Gesù Cristo e quello di Karl Marx non vi siano differenze sostanziali, ma solo di tattica, di linguaggio, di contingenze storiche. Anzi, ora che il comunismo è (ingloriosamente) caduto dall’alto del suo piedistallo d’argilla, essi hanno allargato generosamente le braccia per accogliere, con spirito fraterno, i transfughi da quella ideologia: i quali, infatti, si riempiono la bocca con frasi come: «Anche papa Francesco la pensa così», «Anche papa Francesco ha detto che…», ripetute con l’insistenza delle giaculatorie. Laddove, se vi fosse bisogno di spiegarlo, quegli “anche” stanno per la locuzione sottintesa: «come Eugenio Scalfari». Infatti, per chi ancora non lo sapesse, noi viviamo un tempo particolarmente felice, nel quale la Chiesa può permettersi il lusso di avere tre papi: uno costretto alle dimissioni, Ratzinger; l’altro eletto a furor di vescovi progressisti, Bergoglioun terzo, infine, che rilascia le sue omelie domenicali con ecumenica amorevolezza e che, fin dai primissimi giorni dell’era Bergoglio, si è fatto portavoce ed unico interprete legittimo del pensiero cattolico: Eugenio Scalfari, il gran papa massonico, laicista e fondatore del partito progressista per antonomasia, quello di «Repubblica». Quasi superfluo aggiungere che la generosità fraterna con cui i cattolici progressisti arruolano nelle loro file i nipotini orfani e disorientati di Marx, Lenin e Stalin, è inversamente proporzionale al fastidio, al disprezzo e alla ripulsa che essi riservano agli altri cattolici, i quali hanno anch’essi la pretesa (assurda, secondo loro) di rifarsi al Vangelo, ma che lo leggono con un imperdonabile spirito di conservatorismo e con inspiegabile chiusura alle meraviglie del mondo moderno.
Un buon esempio della succitata teoria sulle “vere” ragioni della lotta antimodernista di Pio X, ridotta all’essenziale e sfrondata degli elementi secondari, è contenuto nel libro di un famoso vaticanista, Giancarlo Zizola, dedicato alla biografia di Giovanni XXIII, un papa che invece, nella prospettiva di costoro (il che è, in larga misura, una vera e propria forzatura storiografica), ha avuto il merito imperituro di portare a coronamento le istanze moderniste e, quindi, anche i presupposti della convergenza catto-socialista, già vagheggiata da Romolo Murri e Luigi Sturzo e, in seguito, portata avanti da uomini come Giuseppe Dossetti e Aldo Moro, per realizzarsi, infine, come concreta  prassi di governo, dapprima con Romano Prodi, indi con Matteo Renzi.
Cediamo dunque la parola a questo giornalista, per renderci conto della sua ricostruzione di quegli eventi dell’Italia del primo Novecento (da: G. Zizola, «L'utopia di papa Giovanni», Assisi, Cittadella Editrice, 1974, pp. 401-3):

[Il vescovo di Bergamo Radini-Tedeschi, di cui Angelo Roncalli fu segretario personale, dal 1905 al 1914] era senz'altro una delle figure di maggiore rilievo della Chiesa in Italia. Lo stesso Benedetto XV, all'indomani della sua elezione, a chi gli parlava di Radini Tedeschi, morto da soli quindici giorni, faceva osservare: "Se fosse rimasto in vita, , non l'avrei lasciato un giorno di più a Bergamo: l'avrei voluto al mio fianco". Pio XI, ancora più chiaramente: "Quello era un uomo degno di sedere sulla cattedra di Pietro".
Non la pensava evidentemente così Pio X, i cui rapporti con Radini Tedeschi, negli ultimi anni, si erano fatti tesi, come ha riferito il Roncalli nella biografia del vescovo di Bergamo:
"Vi fu per altro una tribolazione, una spina acuta che mons. Radini si teneva confitta nel cuore, e lo faceva sanguinare; un sanguinare silenzioso, e nascosto, ma non meno vivo e doloroso. Questo prelato che aveva sempre avuto Roma ed il papa al centro dei suoi pensieri più puri (...), questo vescovo di cui difficilmente potrà trovarsi l'eguale nel seguire e nel voler seguiti, talora perfino imponendosi colla violenza morale di tutte le sue energie, gli indirizzi della Apostolica Sede, si trovò talora, specie in questi ultimi anni, nell'incertezza, nel dubbio angoscioso di non meritare più intera la fiducia del santo Padre. Fu questa la massima prova della sua virtù". Ma sotto Pio X, in un momento critico per il cattolicesimo italiano, sembrava che la preoccupazione maggiore fosse quella di assicurare l'avvicinamento delle masse popolari cattoliche ai liberali, che detenevano il potere politico e che un tempo erano condannati e reietti per la loro politica anticlericale e antireligiosa. Questo obiettivo, che era funzionale all'intesa al vertice fra chiesa e stato in Italia, e alla preparazione dei Trattai che si sarebbero conclusi sotto Pio X, postulava la stroncatura dei fermenti innovativi generati dalla "Rerum Novarum", fermenti che avevano introdotto nella polemica contro il liberalismo motivi diversi da quelli consueti: nella coscienza cattolica italiana il liberalismo cominciava ad essere combattuto non solo perché oppressore del papato, ma soprattutto perché oppressore delle masse popolari. A un intransigentismo clericale, di segno conservatore, si accoppiava un intransigentismo sociale che si opponeva ai conservatori per ragioni politiche e non solo per ragioni ecclesiastiche, per difendere i diritti dell'uomo e non solo i diritti del papato e della chiesa.
Inoltre si era diffusa l'idea, per la prima volta, di una possibile intesa fra cattolici e socialisti; già si ipotizzava, da parte di preti, in conferenze, un  "socialismo cristiano". E questo interesse per la "questione sociale"  era ben vivo nei circoli cattolici lombardi, principalmente in quello di Bergamo; don Luigi Sturzo  diceva anzi che Bergamo era il solo luogo in Italia in cui si facesse "sul serio" azione sociale e politica.
Le recenti esperienze avevano insomma convinto che la lotta per l'egemonia sulle classi popolari fosse ormai ristretta a cattolici e socialisti; e ben presto era venuto dall'alto il monito ai cattolici perché fossero doverosamente ossequienti all'autorità, conoscessero - secondo una circolare emanata il 28 maggio 1898 dal Consiglio Superiore della Società della Gioventù Cattolica - "quali errori si nascondono nelle utopie socialistiche e quanto falsi siano i consigli di chi vorrebbe, colla rivolta e col sangue, vederle attuate". Questo orientamento divenne più deciso sotto Pio X, che procurò di arrestare le virtualità contenute nel riconoscimento, fatto da Leone XIII, della legittimità del movimento sindacale operaio, grazie al quale il cattolicesimo sociale aveva creduto di poter superare per sempre il corporativismo cattolico. La linea corporativa era difesa dalla direzione fortemente conservatrice  dell'Opera dei Congressi, nella quale agiva con molta influenza il conte Medolago Albani, bergamasco, assai legato alle classi liberali, appoggiato dal Sacchetti, direttore dell'"Unità cattolica", e dai fratelli Scotton, persuasi che l'abbandono delle associazioni miste padroni-lavoratori favorisse la lotta di classe.»

Questa interpretazione della battaglia antimodernista di Pio X non è solo riduttiva e meschina, ma anche gratuita sul piano strettamente storico: con la stessa disinvoltura si potrebbe sostenere la tesi diametralmente opposta, e cioè che i settori della società favorevoli al modernismo cattolico, l’intellighenzia liberale dei Fogazzaro, dei Gallarati Scotti, eccetera, non auspicassero affatto un “incontro” fra le masse cattoliche e quelle socialiste, ma, al contrario, preparassero il terreno in vista di un avvicinamento delle masse cattoliche, e del potenziale elettorato da esse rappresentato, al liberalismo, come poi di fatto avvenne con il patto Gentiloni.
È troppo comodo, infatti, e troppo semplice, ricondurre il modernismo soltanto alle sue implicazioni – o, se si preferisce, alle sue radici – progressiste e di sinistra, alla democrazia cristiana di Romolo Murri e, più tardi, al Partito popolare di don Sturzo; bisognerebbe ricordare che uno dei maggiori organi del movimento modernista, in Italia (perché, con buona pace dei modernisti di allora e di oggi, non è vero affatto che il modernismo, come movimento, non esisteva, e che a crearlo fu, paradossalmente, l’enciclica «Pascendi» di Pio X), fu la rivista milanese «Il Rinnovamento», fondata da Aiace Antonio Alfieri, Alessandro Casati e Tommaso Gallarati Scotti, che non erano certo propensi al socialismo, ma, al contrario, guardavano al mondo liberale. Essa venne fondata nel 1907 e sospesa nel 1909, in seguito alla scomunica papale che colpì direttori e collaboratori (fra i quali ultimi c’erano Fogazzaro e Jacini). E non si venga a dire che costoro erano persone con simpatie popolari o di sinistra. Basta guardare la loro estrazione sociale: Gallarati Scotti era un duca; Stefano Jacini era un conte; Alessandro Casati, un altro conte. Il 23 dicembre 1909 Pio X, l’ex parroco di campagna (come lo chiamavano con disprezzo i modernisti, a cominciare da Ernesto Buonaiuti), li scomunicò tutti, senza tanti complimenti. Lo faceva per colpire la sinistra? Per impedire o ritardare la convergenza fra le masse cattoliche e il socialismo? Forse Giancarlo Ziuzola dovrebbe riflettere su quanto si è spesa anche una certa cultura di destra (quasi quanto quella di sinistra) per rivalutare il modernismo, per beatificare il “martire” Buonaiuti e per mettere in pessima luce Pio X: pensiamo, ad esempio, alla biografia di Buonaiuti dello storico Giordano Bruni Guerri, che si è sempre proclamato un intellettuale di destra (e sia pure, saprà lui con quale coerenza, «liberale, liberista e libertario»: la formula radicale di Marco Pannella).
Gira e rigira, siamo sempre lì: gli storici veri si sforzano di comprendere il passato, guardandolo nella sua interezza, a trecentosessanta gradi; quelli faziosi, puntano la loro attenzione e fermano  lo sguardo su di un segmento di esso, quello che conviene loro, e lo spacciano per la totalità, in modo da ottenere ad libitum tutte le conferme che vogliono alle loro tesi precostituite. Il libro di Zizola su papa Giovanni XXIII ne è una conferma.
Quanto al fatto che alcuni cattolici antimodernisti (adoperiamo questa espressione tautologica per ragioni di chiarezza: ma, nel 1907, un cattolico non poteva che essere antimodernista; anche se, oggi, le cose si sono capovolte, e sembra che un cattolico non possa fare a meno di essere un modernista), come i fratelli Scotton di Breganze, in provincia di Vicenza – erano sacerdoti tutti e tre, e dirigevano il battagliero giornale «La Riscossa» - vollero tener fermo, sul terreno sociale, al corporativismo cattolico, favorevole alla collaborazione di classe e contrario alla lotta di classe, è ancora tutto da dimostrare che avessero torto, e i loro avversari ragione. Se la vista non c’inganna, il muro di Berlino è caduto sulla testa di coloro che li criticavano, e che continuano a criticarli ancora ai nostri giorni; non a loro. La vicenda storica del XX secolo ha mostrato, a nostro parere, che, dal punto di vista cattolico - cioè dal punto di vista della causa per la quale gli Scotton si battevano, non solo da monsignori, ma anche da organizzatori sociali, da promotori delle cooperative e delle casse rurali: e le loro prediche contro lo sfruttamento padronale dei contadini erano veramente di fuoco -  la loro posizione era quella giusta, e sbagliata era quella dei loro accaniti oppositori, che non coglievano la contraddizione insanabile fra lo spirito evangelico e la lotta di classe propugnata dai marxisti, impregnata di odio e d’invidia sociale e negatrice della dignità della persona.
In conclusione, chi sostiene che Pio X colpì il modernismo perché, o anche perché, inseguiva un meschino calcolo di convenienza politica, tutto pensato in chiave filo-liberale e anti-socialista, ci sembra abbia capito poco sia di Pio X, sia del modernismo, e anche del liberalismo e del socialismo.


Per i cattolici “progressisti”, Pio X colpì il 
modernismo per un meschino calcolo politico


di Francesco Lamendola 

Francesco Lamendola

1 commento:

  1. Cosa posson dire di diverso questi finti preti, comunisti infiltrati nella Chiesa e accolti con tutti gli onori da Roncalli e Montini in poi? Già i vescovi di Francia, nel 1968, all'epoca del maggio francese, fecero "outing" di adesione al comunismmo ed alla rivoluzione, con la tesi del vescovo di Metz (una città che è tutto un programma: cfr il suicida "aaccordo di Metz" tra Roncalli e l'URSS), eretica a più non posso (cfr "L'eresia del XX secolo" di Jean Madiran e "La grande eresia" di Marcel de Corte). Era tutta comunista, a quell'epoca, la gerarchia clerixale francese. Pochi ebbero il coraggio di difendere la vera dottrina di NSGC: Jean Madiran, Marcel de Corte, Mons. Léfèbve, veri eroi della Resistenza Cattolica Antimodernista. Quindi non mi meraviglia la tesi esposta qui, dico solo che per me quelli che la espongono e dffondono non sono affatto preti, e nemmeno cattolici o cristiani, sono comunisti e basta, servi di satana e da lui ritorneranno, presto o tardi: speriamo solo che si convertano prima, altrimenti peggio per loro. Io non li leggo, non li ascolto, non li guardo (in TV, nelle chiese, nei raduni, ecc.)

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