La nuova contrapposizione svelata da Bergoglio è quella più radicale e più brutale tra un potere ecclesiale iniquo che si manifesta in un magistero blasfemo e la resistenza di chi continua a testimoniare i diritti di Dio in una Chiesa che se ne fa beffe … il potere iniquo e brutale incarnato da Bergoglio non viene turbato … Vuole, desidera, brama che chi ha “particolare sensibilità religiosa” possa manifestarla dentro i suoi domini, a patto che ne riconosca la signoria assoluta senza esercitare una critica vera, limitandosi a un ossequioso dissenso.
Martedì 19 luglio 2016
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È pervenuta in Redazione:
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Gentile dottor Gnocchi,
penso di poter dire di essere un suo lettore da sempre, fin dai suoi primi libri su Guareschi, e ho sempre seguito con interesse l’approfondimento del suo pensiero, lineare e coerente. Ma non le scrivo per dire questo. Le scrivo per dirle quanta fatica devo fare per spiegarlo a certi cattolici cosiddetti tradizionali che si spaventano davanti alla realtà e accusano di sedevacantismo più o meno nascosto chi ha il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. E qui vengo a toccare un tasto che per lei sarà doloroso e quindi se non vuole parlarne in pubblico le chiederei almeno una risposta privata. Mi riferisco al fatto che c’è chi sostiene che se fosse vivo Mario Palmaro lei oggi non direbbe certe cose e con certi toni. Se sono stato indelicato me ne scuso. Se non risponderà, la capirò benissimo, ma un po’ ci conto.
Un saluto sincero
Davide Roversi
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Caro Davide,
in effetti, ci ho messo qualche settimana prima di decidermi a risponderle perché la sua lettera tocca una corda intima e dolorosa. Non saprei dirle se è indelicata poiché, da contadino bergamasco, fatico ad applicare la categoria dell’indelicatezza, soprattutto nei miei stessi riguardi. Sono più incline al ruvido “sì sì, no no”, e se fa male tanto peggio: c’è sempre la possibilità di ritirarsi in privato, dove nessuno ha il diritto di venirti a importunare. Ma, fin quando ci si mostra in pubblico, bisogna fare il conto con il giudizio altrui, anche quando sorge dalla miseria morale e intellettuale di chi maneggia argomenti, anzi non-argomenti, come quelli che lei riporta.
Caro Davide, nella lettera con cui il 2 giugno 2014 nasceva questa rubrica, un lettore mi chiese che cosa avrebbe detto Mario Palmaro se avesse visto quanto stava accadendo e risposi in questo modo:
“sono sempre riuscito a fuggire la tentazione di immaginare ciò che, a proposito del presente, avrebbe detto qualcuno che non è più tra noi. Da qualche decennio, mi pongono la stessa domanda nelle serate dedicate a Giovannino Guareschi. C’è sempre qualcuno che chiede che cosa Guareschi avrebbe detto a proposito del brutto andazzo che hanno preso i nostri tempi. In tutta franchezza, non lo so e mi astengo dall’attribuirgli pensieri apocrifi. Così come mi astengo dal farlo oggi con Mario a proposito dei casi che lei cita e di tanti altri, altrettanto drammatici. Finirei per dirle ciò che penso io e non sarebbe onesto”.
Continuo a comportarmi così, caro Davide, tanto che su Mario scrivo solo una volta l’anno, nell’anniversario della sua morte e solo per ricordare ciò che ha rappresentato e ancora rappresenta nella mia vita. Non mi spingo oltre perché giudico miserevole l’operazione di ipotecare ciò che avrebbe fatto o ciò che non avrebbe fatto una persona che non può più dire la sua.
Non mi sono mai chiesto che cosa avrei scritto se Mario Palmaro fosse ancora con noi. Non serve perché è mio costume dire quello che penso e pensare quello che dico, senza ricorrere a mediazioni o a dosaggi in percentuale variabile. Il mio sodalizio con Mario era, ed è ancora, fondato su una fraternità così profonda da essere incomunicabile. Non era certo il rapporto di lavoro tra due sensali usi a mercanteggiare sull’affare più conveniente. Non abbiamo mai avuto l’esigenza di incontrarci a metà strada e considero moralmente misero chiunque usi lo scudo di Mario per ripararsi dai miei argomenti di oggi.Misero moralmente e misero anche intellettualmente in quanto, non avendo idee, usa l’espediente gaglioffo di denigrare e delegittimare chi, invece, le idee le ha.
Ma ci sono abituato caro Davide. Sapesse quanti l’hanno fatto ai tempi in cui Mario e io cominciammo a criticare Bergoglio. Da “Questo Papa non ci piace” in poi, è stato un susseguirsi di nemici che ci davano dei pazzi e di finti amici i quali dicevano che, in fondo, ce l’eravamo andata a cercare. Ma nessuno è mai entrato in argomento. E se qualcuno, dopo averci lasciato fuori dalla trincea a prendere schioppettate nel petto e nella schiena, ha poi cercato di difenderci lo ha fatto perché temeva che gli rubassimo la scena: pazzi sì, ma martiri no. Mentre noi volevamo solo dire il nostro pensiero. A ciascuno il suo metro di giudizio.
Quanto al fantasma del sedevacantismo, anche questa è roba vecchia. Pensi che in certi vetusti palazzi per vincere la noia di giornate trascorse in attesa di una controrivoluzione che non arriva perché ci vogliono gli attributi per farla e se uno non li ha non se li può dare, si confezionano etichette con accuse di sedevacantismo personalizzate: a questo l’attitudine sedevacantista, a quello il sedevacantismo pratico, a quest’altro il sedevacantismo conclamato, a quell’altro ancora il sedevacantismo collaterale… Ce n’è per tutti, basta apostrofare Bergoglio con un’iperbole che manda in frantumi un po’ di vecchia cristalleria o qualche tazza di porcellana finissima. Come ti giri, ti trovi il cartellino appiccicato sulla schiena come il pesce d’aprile e quei mattacchioni che ti hanno giocato il tiro si divertono, si danno di gomito, ridono senza che si noti una sola piega sulle loro facce immote.
Sarebbe tutto da prendere come uno scherzo fanciullesco, se non fosse che questo nobile passatempo è il frutto avvelenato di un equivoco esiziale per la fede. In questi ambienti, dove si dorme chiudendo un occhio solo perché non si sa mai che la controrivoluzione scoppi proprio questa notte, non si vuole guardare in faccia alla realtà. Per questi crociati del secolo sbagliato, tutto rimane confinato allo schema elementare che contrappone “tradizione” e “antitradizione”, Messa in latino e Messa in vernacolo, “Missa Papae Marcelli” e “Alleluia di Taizé”, talare e clergyman.
Ma questi, caro Davide, sono tutti concetti che oggi vanno compresi alla luce della nuova contrapposizione svelata da Bergoglio: quella più radicale e più brutale tra un potere ecclesiale iniquo che si manifesta in un magistero blasfemo e la resistenza di chi continua a testimoniare i diritti di Dio in una Chiesa che se ne fa beffe.
Non basta più conoscere a memoria gli autori della controrivoluzione, baloccarsi in repliche all’amatriciana delle serate di San Pietroburgo, andare tutte le domeniche alla Messa in Vetus Ordo, fare jogging ai Parioli con la compilation di Palestrina nell’Iphone o mettersi la talare, i gemelli d’oro e le scarpe di vernice con la fibbia d’argento. Non basta più perché il potere iniquo e brutale incarnato da Bergoglio non ne viene turbato e, anzi, desidera che tutto questo sia fatto e pure con grande pubblicità.Vuole, desidera, brama che chi ha questa “particolare sensibilità religiosa” possa manifestarlo dentro i suoi domini, a patto che ne riconosca la sua signoria assoluta senza esercitare una critica vera, limitandosi a un ossequioso dissenso.
Tanto più è brutale e iniquo, il potere non aspira che a essere proclamato padrone delle vite e dei destini altrui. Allora, e solo allora, il dominus può permettersi di essere misericordioso, così buono da concedere di sopravvivere persino ai cultori di una stramberia come la Messa in latino. I quali gli saranno così grati da rendergli omaggio in qualsiasi momento e da portare ai suoi piedi quanti più sudditi possibile. Perché più sudditi si portano, più potere si riceve in cambio.
In certi ambienti, il retaggio del bacio della pantofola è così formale e farisaico da non badare se dentro ci sia un piede d’angelo o una zampa di caprone. Interessa poco se dal soglio di Pietro venga proclamata la dottrina di salvezza o una loquela di perdizione. Ciò che conta è il riconoscimento del potere, dato e ricevuto, qualunque sia.
Nulla di nuovo sotto il sole satanico di questo mondo, caro Davide. Gesù, nel deserto, viene tentato dal demonio che gli chiede di essere riconosciuto come signore e adorato. Aleksandr Solgenitsin, in Arcipelago gulag, mostra come il perverso potere sovietico pretendeva di essere riconosciuto persino dai condannati che stava per mandare a morte. Più che del sangue delle vittime, il potere iniquo ha sete del loro consenso poiché sa che non potrebbe sopravvivere senza quel “sì” anche estorto con la violenza. Nel Signore degli Anelli, Sauron, il signore del male, si mostra assetato dello stesso alimento. Il suo messaggero, giunto al reame dei Nani in cerca dell’Anello del potere, parla abbassando la voce crudele che, “se avesse potuto l’avrebbe persino addolcita”, e dice: “Sauron chiede questo come piccolo pegno della vostra amicizia. (…) È un gingillo che piace a Sauron, e sarebbe un buon modo per dimostrargli la vostra buona volontà. (…) Trovate anche soltanto notizie del ladro, se vive ancora e dove, e sarete grandemente ricompensati dal Signore, e riceverete eterna riconoscenza. Rifiutate e le cose non si metteranno bene. Rifiutate?”.
Caro Davide, davanti a quel tremendo e sibilante “Rifiutate?” troppi cattolici che continuano a essere formalmente “tradizionali”, in realtà, non rifiutano. Siglano il patto con il potere iniquo al quale cercano di condurre quanti più sudditi possibile. In processione, con gli stendardi antichi e cantando in latino inni secolari, ma diretti verso le fauci del drago.
Penso che questi cattolici “tradizionali” abbiano poco da baloccarsi con le accuse di sedevacantismo pratico inventate per bollare chi la pensa diversamente da loro. Dovrebbero preoccuparsi di ben altra deriva, la loro, quella del modernismo pratico, che finisce sempre per diventare anche teorico.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
La distinzione tra chi rimane sulla barca di Pietro nonostante gli evidenti tentativi di affondarla e coloro che si rifugiano nelle astruse teorie sedevacantiste credo che non si possa banalizzare.
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