ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 24 dicembre 2016

Quando Gesù non basta più..!


Papa Francesco in Vaticano, il 14 dicembre 2016. 

In un Natale di guerra il papa rilancia il messaggio di Gandhi e Martin Luther King

Un mondo in fiamme, un Natale di guerra: probabilmente, da quando è stato eletto al Soglio di Pietro, questo è il periodo più denso di nubi per papa Francesco. A cominciare da quella “terza guerra mondiale che si combatte a pezzi, a capitoli”, che il vescovo di Roma ha avuto il coraggio di vedere e di chiamare per nome, e divenuta sempre più reale e drammatica con il passare del tempo. Nell’ambito delle relazioni internazionali, la presidenza Trump, ancora prima di cominciare ufficialmente, apre una stagione di incognite e di rischi: di certo mai come in questi giorni si è registrata una distanza così grande, un’incomunicabilità così evidente, tra la Casa Bianca e la Santa Sede.
Il messaggio più forte lanciato dal papa in questi anni è contenuto nell’enciclica Laudato si’ – che propone un capovolgimento del modello di sviluppo, una contestazione dello strapotere della finanza che disumanizza l’uomo, e una nuova centralità ecologica fondata sulla tutela e la trasmissione alle future generazioni degli ecosistemi ambientali e sociali, ben lungi da ogni visione salvifica del mercato – e quindi si capisce quale sia il baratro che si è aperto tra l’attuale papato e il governo che si sta insediando a Washington. Se a questo si aggiunge che il nuovo segretario di stato in pectore è un petroliere, Rex Tillerson, amministratore delegato di Exxon Mobil, una delle multinazionali dell’oro nero a livello mondiale nonché amico e socio d’affari di Vladimir Putin, si potrà comprendere meglio quale sia lo stato d’animo nei corridoi della diplomazia d’Oltretevere.

Non va inoltre dimenticato come, tra propaganda e realtà, il nuovo presidente statunitense abbia affrontato la questione migratoria in termini a dir poco dissonanti dall’approccio invocato dal papa: muri contro inclusione, paura contro solidarietà, repressione contro cittadinanza, nazionalismo contro cosmopolitismo. L’universalità del cattolicesimo del resto, per evitare di rinchiudersi nei recinti stretti dell’integralismo nazionalista, non poteva che scegliere il migrante nel momento in cui la globalizzazione comincia a coinvolgere milioni di esseri umani e non solo merci e capitali. E questa è stata appunto la strada seguita di Francesco a cominciare da quel Messico latino che è diventato, al contrario, lo spettro agitato da Trump nella lunga campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti.
Nell’ormai cronico stallo del Consiglio di sicurezza, la lettera di Bergoglio ad Assad è stata luna delle poche iniziative diplomatiche reali
Tuttavia, la ferita più profonda per il papa è quella della guerra, per altro una delle principali cause dell’esodo di milioni di persone, dal Medio Oriente e dall’Africa, verso l’Europa. Quando papa Francesco, ancora di recente, ha ripetuto che “mancano i grandi leader”, soprattutto nel vecchio continente, in fondo intendeva proprio questo: denunciare l’impotenza della comunità internazionale di fronte al disastro siriano e alle sue conseguenze; la politica – rileva spesso il papa – è incapace di rispondere alle crisi del proprio tempo stretta nella difesa asfittica di interessi particolari.
È stato allora Bergoglio stesso, nei giorni scorsi, a rivolgere un estremo appello al presidente del regime siriano Bashar al Assad – nell’immobilismo della cancellerie di mezzo mondo – con il quale chiedeva il rispetto dei civili, del diritto umanitario internazionale e il libero accesso agli aiuti umanitari per la popolazione. Erano le ore precedenti la caduta di Aleppo, e Francesco mandava dal leader siriano un proprio inviato con la sua lettera; si trattava dell’arcivescovo Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, da poco nominato cardinale da Francesco proprio per investirlo di maggiore forza e autorevolezza.
Un goccia nel mare della tragedia, eppure di fronte a un monito così chiaro del papa nessuno poteva far finta di niente, non ci sarebbero state scusanti e silenzi possibili di fronte ai massacri. Le violenze contro i civili e l’esodo a singhiozzo da Aleppo sono andati avanti, ma di certo nell’ormai cronico stallo del Consiglio di sicurezza dell’Onu, quella di Bergoglio è stata una delle poche iniziative diplomatiche reali sul piano umanitario. Per altro, nel testo del messaggio mandato ad Assad, si leggeva una frase che non può essere sottovalutata: veniva infatti espressa la condanna per “ogni forma di estremismo e di terrorismo da qualunque parte possano venire”; quindi certamente dall’Isis, ma anche da chi ha proseguito imperterrito a scaricare bombe sulla popolazione inerme pur di portare a termine la propria conquista.
La non violenza è anacronistica?
Ed è allora su questo sfondo di crisi e di assenza di speranza che, lo scorso 15 dicembre, papa Francesco ha parlato di “non violenza” di fronte a un gruppo di ambasciatori che presentavano le proprie credenziali in Vaticano. A questo tema è pure dedicato il messaggio per la Giornata mondiale della pace che si celebrerà il prossimo 1 gennaio. Può apparire un anacronismo che in un quadro tanto deteriorato, scosso ancora da attentati terroristici sanguinosi a Berlino come ad Ankara, il pontefice abbia rilanciato la lezione di Martin Luther King e di Gandhi. Eppure – è il messaggio del pontefice – solo mettendo completamente in discussione determinati assetti di potere, in una chiave evangelica, il cristianesimo può ritrovare il suo senso in questo tempo, la sua voce. “La non violenza - ha detto il papa di fronte ai nuovi ambasciatori - è un esempio tipico di valore universale, che trova nel Vangelo di Cristo il suo compimento ma che appartiene anche ad altre nobili e antiche tradizioni spirituali”.
“In particolare coloro che ricoprono cariche istituzionali in ambito nazionale o internazionale, sono chiamati ad assumere nella propria coscienza e nell’esercizio delle loro funzioni uno stile non violento, che non è affatto sinonimo di debolezza o di passività, ma, al contrario, presuppone forza d’animo, coraggio e capacità di affrontare le questioni e i conflitti con onestà intellettuale, cercando veramente il bene comune prima e più di ogni interesse di parte sia ideologico, sia economico, sia politico”, ha aggiunto. “Nel secolo scorso, funestato da guerre e genocidi di proporzioni inaudite possiamo però ricordare anche esempi luminosi di come la non violenza, abbracciata con convinzione e praticata con coerenza, possa ottenere importanti risultati anche sul piano sociale e politico. Alcune popolazioni, e anche intere nazioni, grazie all’impegno di leader non violenti, hanno conquistato traguardi di libertà e di giustizia in maniera pacifica. Questa è la strada da seguire nel presente e nel futuro”.
E se questa è la via indicata dal papa, certo guardando al Medio Oriente in questi giorni, la Santa Sede deve fare pure i conti con un assottigliamento drammatico della presenza cristiana in tutta la regione. Il rischio è che presto il cristianesimo mediorientale diventi solo un ricordo, una vestigia del passato, pura archeologia. I cristiani fuggono per le guerre, la povertà, l’assenza di sicurezza, per l’impossibilità di garantire un futuro ai propri figli e a causa delle violenze prodotte dall’estremismo islamico. Fuggono, cioè, per le stesse ragioni che inducono milioni di altri abitanti della regione ad abbandonare le loro case. Solo che il loro numero, oggi, si sta riducendo in modo drastico, lasciando un vuoto dietro di sè: dall’Iraq alla Siria, dal Libano alla Giordania a Israele e ai Territori palestinesi.
In una simile situazione le comunità cristiane non sono aiutate da vecchie gerarchie ecclesiali, spesso legate a dittature e regimi ai quali hanno chiesto protezione dando in cambio consenso e complicità, come denunciò il gesuita Paolo Dall’Oglio, in una lettera aperta inviata al papa poco prima di scomparire in Siria nel luglio del 2013. La sfida per tutto il Medio Oriente, sostenuta dai settori diplomatici vaticani più lungimiranti e rilanciata ormai anche da diverse autorità musulmane a cominciare dal centro sunnita del Cairo di Al Azhar, è quello di costruire un cammino di cittadinanza che riconosca differenze culturali e fedi diverse, che faccia propri i diritti umani e civili, che rompa la tenaglia violenta costituita da autocrati e fondamentalismo.
 
http://www.internazionale.it/opinione/francesco-peloso/2016/12/23/natale-guerra-papa-francesco
BERLINO: la vittima buona dei cattivi - ANKARA: la vittima cattiva dei buoni

Un’occhiata alle più recenti epifanie del progetto terrorista della coalizione Usa “Guerra al terrorismo”. Per la verità sono parecchio stufo, a ogni stormir di False Flag, fatte poi garrire al vento dal pneuma delle larghe intese mediatiche, di indicare le marchiane e rozze imperfezioni dell’operazione. Quelle che se avessimo ancora una categoria giornalistica definibile tale e non una accolita di muselidi ammaestrati, dovrebbero dilagare a caratteri cubitali da schermi ed edicole. Viene da morir dal ridere su come questi, con tutti quei collaudi alle spalle, dalla Maine a Pearl Harbor, dal Golfo del Tonchino all’11 settembre, da Charlie Hebdo al culmine del grottesco bavarese di Monaco, continuino a esibirsi in tessuti complottisti lacerati dall’incompetenza e dalla convinzione che, come i giornalisti sono tutti acquistabili, anche noi cittadini siamo tutti scemi. Viene da morir dal piangere a constatare che, in effetti, siamo tutti scemi. Quasi tutti, quasi scemi. Basterebbe lo stereotipo di ogni attentato: il personaggetto stralunato, borderline, già carcerato, zeppo di casini, abbondantemente fuori di testa, tutto fuorchè credente suicida, mai combinato niente di islamico, che o scappa, o viene ucciso prima che possa obiettare “ma non mi avevate detto….”, o sparisce in qualche carcere e non se ne parla più. Perlopiù ucciso, come il figurante di Berlino.
Ah se non ci fosse Clouseau!

Sono tanto bravi a fornire identità false ai loro sicari quanto questi sono incapaci di non “perderle” nei punti giusti. E’ comportamento logicissimo per un terrorista rendersi irriconoscibile col passamontagna (Charlie Hebdo), o addirittura non comparendo per niente sulla scena (11/9), epperò portarsi appresso i documenti è lasciarli in bella vista talchè li possa trovare anche il più Clouseau degli ispettori. Per poi scatenare una caccia all’uomo transnazionale che militarizzi anche le panchine dei parchi e metta in riga chi aggrotta le sopracciglia e diffonda “fake news”.
Nelle macerie polverizzate in nanoparticelle delle Torri Gemelle, Clouseau trova il passaporto intonso del capo-dirottatore, Atta; sul cruscotto dei giustizieri di Charlie Hebdo, l’indefettibile Inspecteur Clouseau cattura la carta d’identità di uno dei fratelli Kouachi (entrambi uccisi da un battaglione di robocop che li poteva catturare più facilmente di uno scippatore); e, ora, sotto il sedile del camion, dopo appena due giorni (occhiute e rapide queste forse speciali tedesche!), Herr Inspektor Klouseau riesce a scoprire il documento di identità del gironzolone tunisino Anis Amri, soggetto classico delle montature terroristiche, con la sua storia di disturbato mentale.
Chiude definitivamente il ciclo di questi geni investigativi l’Ispettore Clouseau italiano che, in un “controllo ordinario del territorio”, incappa a Milano nel fuggiasco Amri e, coma da ordine di servizio, non può esimirsi dal farlo secco. Tocca a lui, come a tutti gli altri figuranti. Bocca tappata, mandanti e complici svaporati. Ammette il questore di Milano: “Potrebbe sembrare paradossale”. Ma no, per carità, quale paradosso. Non è così, facendo “ordinari controlli del territorio”, che ti capitano tra i piedi terroristi masskiller da far fuori? E’ la prassi. Che Omero se la rida pure. Avrà le sue ragioni.

Chi ci guadagna
Ovvio che ognuna di queste patetiche e ripetitive sceneggiate convincerebbe d’acchito il più diffidente dei San Tommasi che nessuno dei così identificati e messi a tacere c’entra una cippa con l’attentato. Chi c’entra sono con ogni probabilità coloro che di questi figuranti, estratti da bettole, CIE, carceri, o liste nere di “sospetti” compilate in vista dell’evento, hanno fatto trovare le generalità e allertato la serie di ispettori Clouseau. Anche perché si tratta dei mandanti di tutti gli ispettori Clouseau impiegati per la bisogna da coloro al cui vantaggio sistematicamente si risolvono queste operazioni. Quale vantaggio?

A) Distogliere l’attenzione da un’altra operazione, ben più originale e gravida di ripercussioni geostatiche e geodinamiche: l’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara. Operazione di portata enorme, avvertimento chiaro a chi a Mosca, russi, turchi, iraniani, stava cercando di sistemare la Siria escludendo la banda dei suoi uccisori e a loro discapito. Ma anche imbarazzante per un’opinione pubblica investita dall’uragano russofobo che sta travolgendo la verità percepita dagli americani e occidentali tutti, peggio del ciclone Matthew spianatore di buona parte della costa Ovest.
Quando, nei micidiali colpi di coda di Obama e dei suoi mandanti neocon, si finisce con attribuire agli intrighi di Putin l’elezione del Golem Trump, quando si attribuiscono a Putin e ai russi i crimini che Nato e Golfo hanno commissionato ai mercenari di Aleppo, quando si raffigura la Russia nei panni dell’orso avviato a sbranare la civiltà occidentale, si è oltre i bolscevichi che mangiano i bambini. Ma soprattutto si rende l’assassinio di un ambasciatore un fatto umanamente comprensibile, quasi naturale, quasi… auspicabile. E qualcuno, sopravvissuto all’uragano, potrebbe arrivare a concludere che l’assassinio dell’ambasciatore è il culmine logico di quella campagna. Che poi, altrettanto logicamente, dovrebbe portare alla grande guerra finale, ovviamente umanitaria.
B) Far dimenticare la prova provata che a lanciare contro la Siria (e quindi contro la Libia, l’Egitto, la Nigeria, l’Iraq, l’Europa, Boston, New York) la peste jihadista e a gestirla e dirigerla ovunque, fino al ridotto di Aleppo Est, sono stati Usa, Israele, la Nato e i loro alleati nella regione, visto che russi e siriani sono riusciti a mettergli il sale sulla coda. La cattura nel bunker di Aleppo Est di alcune decine di ufficiali della coalizione anti-siriana, tra cui statunitensi e israeliani, tedeschi e britannici, seguita al missile russo che ne aveva decimato altre decine settimane fa, colma anche l’ultimo centimetro quadrato di dubbi che fossero sopravvissuti negli utili idioti della “guerra al terrorismo”.
C) Giustificare alle plebi psicotizzate fino al panico l’adozione di ulteriori misure repressive che perfezionino lo Stato di polizia necessario alle guerre contro popoli e classi interne. E quindi più militari e polizia per le strade, più occhiute telecamere, più intimazioni ai gestori di internet di denunciare e sopprimere le “fake news” di chi obietta cose come queste qua, più poliziotti nelle scuole a schiacciare il virus del bullo che domani si evolverebbe sicuramente in terrorista. Più orecchi e occhi clandestini nei nostri smart-phone, citofoni, televisori e computer

Le allegre donnine di penna e microfono
Non per nulla scattano al fischio del lenone, come un solo presstituto, i prestatori d’opera del lupanare mediatico e si adoperano a spostare questi fattarelli ai margini di foliazioni e schermi invasi, invece, dal logoro remake di Berlino. Il ragazzo di bottega della brigata , “il manifesto”, si distingue come al solito: il primo giorno Ankara in pagina 9 dopo 8 pagine di Berlino, in pagina 5 al secondo giorno, niente al terzo, quando Berlino svettava ancora, con fotone, dalla prima pagina in poi. L’assassinio dell’ambasciatore di una delle tre massime potenze del mondo, tutte coinvolte in una partita per la vita o la morte del pianeta, assume un rilievo pari a un fatto di cronaca nera. Il nuovo disvelamento di sgherri Nato che vengono presi con le mani nella marmellata del genocidio del popolo siriano ed esibiti alla stampa mondiale, non varca la portineria delle redazioni. La ratio di queste operazioni mediatiche, dettate dall’intelligence di riferimento, è semplice: sbattiamo in prima pagina il cattivo che uccide vittime buone e seppelliamo in ultima la vittima cattiva uccisa, se non proprio da un buono, da uno che, comprensibilmente, umanamente, ha voluto vendicare i bambini di Aleppo massacrati dai russi (come scrive anche, sul solito “manifesto” il solito “liberal” della lobby).
“Warum?” Loro lo sanno.
Eccelle, come sempre, nelle acrobazie depistatrici, la lobby talmudista. I Colombo, i Coen. “Warum?”, perché?, scrive Leonardo Coen (me lo ricordo che bazzicava attorno al giornale Lotta Continua, di cui allora ero direttore, ma non gli demmo retta) interpretando la domanda che i tedeschi si porrebbero a proposito di questa sequenza di attentati sul loro suolo. Il riflesso condizionato della sua congregazione gli impone di spostare l’attualità al passato dell’ “eterna e incancellabile colpa del popolo tedesco”, l’olocausto. Già, perché quel “warum?” ripeterebbe il “perché? che si chiedevano gli ebrei mentre venivano sterminati dal nazismo”. Prendono sempre la palla al volo, questi qua. Eppure la risposta, quanto meno al primo “warum?” la conoscono meglio proprio loro. I tedeschi, anche se viene pestato un bacherozzo, devono ricordarsi, convincersi, di aver ammazzato 6 milioni di ebrei.
Andrej Karlov, l’ambasciatore ammazzato dal poliziotto turco, da quarant’anni in diplomazia, era un protagonista del dialogo tra Turchia, Iran e Russia, mirato a organizzare l’evacuazione dei civili e mercenari da Aleppo Est e, poi, a estendere il discorso a una soluzione politica dell’aggressione. Non è la prima volta che esponenti russi sono presi di mira, non solo verbalmente, come nel caso di Boris Johnson, ministro degli Esteri britannico, che, conscio del suo ruolo, sollecitava assalti alle ambasciate russe, o Samantha Powers, rappresentante Usa all’Onu, che esigeva si ponesse fine ai crimini contro l’umanità commessi dai russi ad Aleppo e in tutta la Siria, o John Kerry che asseriva la Russia aver superato ogni limite della vergogna.
A che gioco gioca Erdogan?
Mentre è evidente il coordinamento tra l’assassinio inteso a mandare in frantumi l’eventuale avvicinamento di Ankara a Mosca e a sabotare l’intesa a tre per uscire dal marasma mediorientale e, poche ore dopo, l’attentato al mercatino di Natale berlinese che doveva spostare su quest’ultimo l’attenzione e il turbamento dell’opinione pubblica, meno chiare appaiono le mosse di Erdogan. Proviamo a mettere insieme la spedizione congiunta russo-turco-iraniana per la pace, il perdurante flirt Ankara-Mosca, le accuse di Erdogan al rivale ospitato negli Usa, Fethullah Gulen, sia per il golpe, sia per l’omicidio di Karlov, dove Gulen sta per Cia, e poi l’assalto turco ad Al-Bab, città di 60mila abitanti posta tra Aleppo e il confine turco. L’operazione “Scudo dell’Eufrate”, lanciata dal principale padrino dell’Isis nella regione per impedire il congiungimento tra i cantoni a maggioranza curda in Siria, ma soprattutto per rubare territorio alla Siria e farlo ottomano, aveva già conquistato la vicina Manbij. La direttrice è chiara: dal confine turco a Nord va dritta come un fuso verso Aleppo passando per Manbij e Al-Bab.
Erdogan afferma che l’offensiva sarebbe diretta contro lo Stato Islamico (peraltro suo figlioccio), avrebbe causato la morte di un migliaio di militanti dell’Isis e ne avrebbe distrutto un ingente quantità di mezzi e armi. Ma fonti indipendenti, e la stessa Reuters, non hanno rilevato grossi scontri. Più probabile che forze tra loro amiche abbiano concordato una tranquilla evacuazione dei terroristi. Che, come quelli di Mosul, potrebbero aver avuto via libera per Raqqa, oppure per Idlib. Già, perché qui si prospetta una bella operazione a tenaglia su Aleppo liberata: da Nord le forze turche, da Est, da Idlib, dove si sono rifugiati i terroristi Isis e Al Nusra evacuati da Aleppo, una bella controffensiva facilitata dai turchi. Magari senza riuscire a riprendere la seconda città siriana, ma per passare dallo scontro militare, perso, alle autobombe, sempre vincenti. E per riaccendere i lamenti e le geremiadi sulla città martire. Ovviamente martirizzata da Putin e Assad. Con i quali i conti restano tutti da fare. Almeno finchè nello studio ovale ci troviamo ancora l’assassino seriale più prolifico della storia Usa.
Fossi russo, diffiderei.
Aleppo liberata celebra il Natale


PAPE SATAN, PAPE SATAN ALEPPO... NATALE ROSSO SANGUE





Un giovane poliziotto di 22 anni ha ucciso l'ambasciatore russo in Turchia, Andrey Karlov, sparando contro di lui durante una mostra fotografica ad Ankara. L'attentatore è stato poi ucciso in un blitz della polizia turca. "Noi moriamo ad Aleppo, tu muori qui". È questa una delle frasi che l'attentatore avrebbe urlato prima di sparare all'ambasciatore russo. L'uomo è stato identificato come un diplomato dell'accademia di polizia di nome Mert Altintas, di 22 anni.
L'omicidio dell'ambasciatore russo è "chiaramente una provocazione" mirata a minare i rapporti russo-turchi e "il processo di pace in Siria promosso dalla Russia, dalla Turchia, dall'Iran e da altri paesi", ha detto Vladimir Putin.
Germania sotto choc. Un camion si è schiantato contro un affollato mercato di Natale a Berlino. Diversi morti, almeno 12, e circa 48 feriti.
Il camion ha invaso un marciapiede nei pressi della Chiesa del Ricordo.
"So che per noi tutti sarebbe particolarmente difficile da tollerare se si confermasse che a compiere questo atto e' stata una persona che ha chiesto protezione e asilo in Germania": lo ha detto la cancelliera Angela Merkel in una dichiarazione fatta a Berlino e trasmessa da varie tv.
Il sospetto terrorista arrestato nega il crimine: il 23enne finora contesta tutto. Le autorità tedesche stanno cercando, attraverso il test del dna, di verificare se il pachistano fermato sia effettivamente coinvolto nell'attentato. 
L'Isis avrebbe rivendicato l'attacco. La PMU, la coalizione delle milizie irachene che combattono il califfato, ha letto la rivendicazione su un canale online dell'Isis.
"Il crimine commesso contro i cittadini civili sconvolge per la sua crudeltà e il cinismo": lo ha dichiarato il presidente russo Vladimir Putin in un messaggio di condoglianze inviato alla cancelliera Angela Merkel.



http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2016/12/19/ankara-ferito-ambasciatore-russo-in-turchia.-un-uomo-ha-sparato-contro-il-diplomatico_ed3165f6-d29a-44a8-b988-4bda80a9ad82.html
http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2016/12/19/camion-contro-mercato-di-natale-a-berlino-diversi-feriti_c0f0cc26-1b9a-4fef-ac1f-d40ed862077e.html


I due attentati, avvenuti quasi simultaneamente, sono legati tra loro e svolgono diversi compiti occulti. La situazione internazionale con il suo risiko geo-politico è in continuo mutamento e gioca a carte scoperte, spesso barando, ma sempre sulla pelle delle persone. Le continue tensioni tra leadership e governance partoriscono frutti amari, le renne della slitta di babbo natale sono lorde di sangue, un natale rosso sangue ed il buon vecchio barbuto non riesce più a stabilizzare la rotta del suo antico carro per il lungo viaggio invernale, ma per fortuna il suo abito è dello stesso colore.
Questa volta ha deragliato dentro un mercatino natalizio che lo rappresentava, nei pressi della Chiesa del Ricordo a Berlino, e non era la slitta celeste ma un camion nero gigante, segno dei tempi...
All'interno della parte vecchia della chiesa, precisamente nella base della torre rimasta come rovina, trova collocazione il Gedenkhalle (Memoriale), una sorta di museo della chiesa. Qui si trovano documenti storici della chiesa, alcuni dei mosaici contenuti nell'edificio, fra cui il "Mosaico degli Hohenzollern", e una figura del Cristo di Hermann Schaper, che originariamente si trovava sull'altare maggiore, scampata ai bombardamenti.
Soprattutto vi si trovano i simboli della riconciliazione dei tre paesi che una volta erano nemici, ovvero una croce costruita con i chiodi ritrovati nelle ceneri delle rovine dell'antica cattedrale di Coventry (distrutta dai bombardamenti tedeschi), un'icona russa a forma di croce, dono del vescovo ortodosso di Volokolamsk e Yuryev, nonché la Madonna di Stalingrado, il disegno creato durante l'omonima battaglia dal sacerdote e medico militare tedesco Kurt Reuber.

In Turchia invece abbiamo assistito ad una performance da biennale, una rappresentazione macabra e dissacrante degna dell'artista Cattelan nella sala principale della Galleria di Ankara, dove era in corso una mostra fotografica. La guardia del corpo della security, come nei miglior film cospirazionisti di 007, si è trasformata in terrorista ed ha ucciso l'ambasciatore russo.
Caso volle che l'ambasciatore questa volta ha portato pena a se stesso, forse perché è stato ucciso proprio davanti ad una simpatica foto che ritraeva un cannone puntato sulla sua testa, quando si dice il fato...
I due episodi criminali avvenuti alle porte del Natale, hanno in comune l'aspetto della messa in scena filmica, sembrano diretti da un regista esperto, 2 scene dello stesso film, due location differenti ma intimamente legate, due diversi contesti apparenti, due percorsi che portano lontano verso gli stessi obiettivi che si prefiggono i suoi produttori.
Proverò ad analizzare cosa è successo in questi giorni.

Il primo macro-messaggio è rivolto contro il premier russo riguardo l'ingerenza e la permanenza in Siria, e di conseguenza contro all'asse PUTIN-TRUMP, ed avendo superato l'ultimo ostacolo dei Grandi Elettori in USA, è un monito al neo-presidente a seguire la stessa agenda internazionale precedente, senza troppe personalizzazioni che recherebbero danno e perdita di tempo per l'edificazione dell'opera globalista in atto.
Il secondo messaggio, che va nella stessa direzione di cui sopra, è quello di dividere l'asse turco-russo, creando precedenti, ricatti e moniti oscuri, nel caso gli intenti proseguissero nella stessa traiettoria inaugurata dai premier Erdogan e Putin, di minare i rapporti diplomatici tra i due paesi, quindi un'operazione contro l'asse euroasiatico.
Il terzo messaggio è contro la Merkel, contro la Germania, per una rinnovata supremazia USA, per quanto più isolazionista possa essere in futuro la politica del nuovo presidente americano, e contro l'asse iniziatico MERKEL-PUTIN, essendo entrambi nello stesso contenitore massonico della UR-LODGE GOLDEN EURASIA.
Non è un caso, come ricordavo precedentemente, che l'attentato di Berlino sia avvenuto nei pressi della Chiesa de Ricordo, simbolo di riconciliazione russo-germanico.


Ricapitolando...
Putin in questo processo viene isolato politicamente e ne viene indebolita l'immagine, viene frenato il suo interventismo in Siria contro lo Stato Islamico; sono altri attori che devono occuparsi delle questioni mediorientali.
Vengono resi innocui ed allineati anche i suoi alleati odierni, i turchi su un piano squisitamente più geopolitico e militare, e la Merkel, quindi la Germania, su di un piano massonico e di riflesso di supremazia economica, senza considerare gli attriti fisiologici già esistenti tra i tedeschi ed i russi.
Avvenuta celebrazione controiniziatica di Trump a nuovo leader del cosiddetto NWO, celebrazione che si completa con il controllo a vista della sua agenda politica, in particolar modo riguardo alla sua presunta alleanza con Putin, unica condizione possibile per regnare senza problemi ed interferenze cospirative del suo governo ombra.
Un giro di ruota per riordinare il parco giochi, grandi pulizie di fine anno...

Scenografia e capro sacrificale, la Siria ed Aleppo, terra di sangue, macerie e morti, soprattutto tra i civili...
E allora vi saluto ricordandovi cosa scrisse il buon Dante all'inizio del VII canto dell'Inferno:
"Pape Satàn, pape Satàn aleppe"




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