OGNI PECCATO SARA' PERDONATO.C’È UN SOLO PECCATO CHE DIO NON PERDONA I PECCATI CONTRO LO SPIRITO SANTO:
La misericordia di Dio non conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di accoglierla attraverso il pentimento, respinge il perdono dei propri peccati e la salvezza offerta dallo Spirito Santo. Un tale indurimento può portare alla impenitenza finale e alla rovina eterna.
I quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio.
1-Omicidio volontario
2-Peccato impuro contro natura
3-Oppressione dei poveri
4-Defraudare la giusta mercede a chi lavora
Anche il Catechismo della Chiesa Cattolica parla di questi peccati.Ne cambia solo la dizione. Anziché chiamarli “peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio”, li chiama” peccati che gridano verso il cielo”, ma la sostanza è la stessa.
Ecco il testo: “La tradizione catechistica ricorda pure che esistono «peccati che gridano verso il cielo».
Gridano verso il cielo: il sangue di Abele (Cf Gen 4,10); il peccato dei Sodomiti (Cf Gen 18,20; Gen 19,13); il lamento del popolo oppresso in Egitto (Cf Es 3,7-10): il lamento del forestiero, della vedova e dell'orfano (Cf Es 22,20-22); l'ingiustizia verso il salariato (Cf Dt 24,14-15; Gc 5,4)” (CCC 1867).
Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati (1 Tm 2,4)
Gesù ha detto:
“In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna”. Poiché dicevano di lui: “È posseduto da uno spirito immondo”, per questo non è in grado di perdonare (Mc 3,28-30).Ma quali sono dunque i peccati contro lo Spirito Santo? Eccoli: Disperazione per la salvezza. Presunzione di salvarsi senza merito. Impugnare la verità conosciuta. Invidia della grazia altrui. Ostinazione nei peccati. Impenitenza finale.
Così li troviamo descritti nel Catechismo di Pio X.
Che cosa è la disperazione per la salvezza?
“Gesù non mi può salvare”, questa è la bestemmia contro lo Spirito Santo. Egli infatti ha reso e continua a rendere testimonianza che Gesù è il Signore, il Figlio di Dio venuto a cancellare i peccati del mondo con la sua morte e risurrezione. Dio, dice la Scrittura, vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. (1 Tm 2,4).
Il credente non deve vivere nella paura di non essere salvato. Ciò costituisce un grave affronto alla bontà di Dio, Padre di infinita misericordia.Neppure dobbiamo dar credito alle tentazioni, per quanto siano terribili, o agli scrupoli che ci tormentano e ci fanno dubitare di essere salvati. Neanche per scherzo si deve dire: Chissà se mi salvo? Nulla ti turbi, ci ripete la sapienza dei santi. Dio offre a tutti la salvezza e i mezzi per raggiungerla.
Chi si dispera rischia di rompere in modo definitivo, da parte sua naturalmente, tutti i buoni rapporti con Dio. Ha combinato tanti pasticci, ha infranto ogni buon comportamento con il suo prossimo, ha offeso profondamente Dio, scartando il suo amore, ha messo il suo “io” al di sopra di “Dio”, insomma si è scapricciato fino alla frenesia e, infine, si è convinto che Gesù non ha il potere di perdonare i suoi errori. Un simile pensiero e comportamento non è altro che uno schiaffo a Dio che è impastato di amore e di misericordia e che per i peccatori ha inviato suo Figlio. Il mio grido, e non solo mio, è questo: Permettete che Gesù vi perdoni e vi inondi del suo amore.
Se tu non vuoi che questo ti succeda bisognerà che tu stesso vinca questa terribile tentazione, questo angoscioso dubbio, ti decida di tornare presto nella casa del Padre. Come?
Tieni bene a mente che Dio è un vero Padre, con un cuore che ama e non odia mai. Dio è Amore. Se ti rivolgi a lui vedrai che egli già ti corre incontro, ti butta le braccia al collo, ti fa nuovo. Riconosci i tuoi peccati e permettigli di perdonarti e di darti una mano perché l’amore vero prenda possesso del tuo cuore.
Per non aver paura della morte, il tuo impegno deve essere questo: fa’ bene il tuo dovere, fidati di Dio, fa’ del bene a tutti e del male a nessuno e sta allegro. Così diceva Don Bosco.
Preghiamo con il Salmo 93
Chi teme il Signore abiterà nella sua casa.
Beato l’uomo che tu istruisci, Signore,
e che ammaestri nella tua legge,
per dargli riposo nei giorni di sventura.
Perché tu Signore non respingi il suo popolo,
la tua eredità non la puoi abbandonare,
ti seguiranno tutti i retti di cuore.
Se tu, Signore, non fossi il mio aiuto,
in breve io abiterei nel regno del silenzio.
Quando dicevo: “Il mio piede vacilla”,
la tua grazia, Signore, mi ha sostenuto.
Quand’ero oppresso dall’angoscia,
il tuo conforto mi ha consolato.
Il Signore è la mia difesa e la mia roccia.
La crisi di San Francesco di Sales
Francesco di Sales, quando era giovane studente a Parigi, si trovò sprofondato in una grande tribolazione: la Chiesa Cattolica insegnava che Dio è Amore infinitamente misericordioso, mentre al contrario la dottrina di Calvino, che imperversava in quel tempo, sbandierava nelle scuole la teoria che Dio da sempre destina alcuni alla salvezza e altri alla dannazione.
La tentazione lo ghermì al punto che fu convinto di essere un dannato. Durante questa terribile crisi le sue invocazioni a Dio erano queste: “Io, miserabile, sarò dunque privato della grazia di Dio? O amore, o carità, o dolcezza, non godrò più di queste delizie? O Vergine, bella tra le figlie di Gerusalemme, non vi vedrò nel regno del vostro Figlio? E il mio Gesù non è morto anche per me? Signore, che almeno vi ami in questa vita se non posso amarvi in quella eterna”.
Un giorno Francesco entra in una chiesa e si dirige subito alla cappella della Vergine. Si inginocchia e compie un atto eroico di abbandono.
“Qualunque cosa abbiate deciso, o Signore, nell’eterno decreto della vostra predestinazione, io vi amerò, Signore, almeno in questa vita, se non mi è concesso di amarvi nella vita eterna”.
Poi recita la Salve Regina, il “Ricordati” di San Bernardo e la tentazione svanì completamente.
Preghiera
O Spirito Santo, mi rivolgo a te per un problema assai importante per me e per i miei cari. So che il peccato di disperazione d’essere salvati è un grosso peccato contro di te. Sarebbe come dire che tu non puoi riversare sui peccatori l’abbondanza del Sangue di Gesù Salvatore di tutti gli uomini. Ma tu puoi tutto.
Te, Spirito d’Amore, invoco fiducioso per tutti i disperati: salvali, ti prego.
Penso all’Apostolo, Pietro, che ha gridato a Gesù: “Non ti tradirò mai, sono pronto a morire con te”, ma poi con uno spergiuro lo ha rinnegato davanti a una servetta: “Non lo conosco, non so chi sia”.
È bastato uno sguardo del Maestro perché due rivoli di lacrime non cessassero più di solcargli le guance.
Sono infinite, o mio caro Spirito Santo, le tue meravigliose opere d’amore in favore dei disperati. Fa’ che torniamo tutti e presto a essere liberi figli di Dio e operatori di salvezza in questo mondo.
E che dire di Gesù? Una sofferenza mortale ha colpito il suo bellissimo corpo e la sua anima santa. Inchiodato sulla croce si rivolgeva al Padre con forti grida e lacrime per essere liberato, dicendo: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Ma poi ha pronunciato quelle dolcissime parole: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.
Quella santa morte è stata il tuo capolavoro, perché tu non lo hai lasciato solo neanche per un istante. E così la sua morte procurò ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli al Padre in unità con te.
Tu, Spirito Santo, fa’ scendere su di me e su tutti i peccatori il sangue prezioso di Gesù. Allora il Padre terrà conto delle parole del suo Diletto: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno.
Grazie, Spirito d’Amore, noi ti amiamo. Così sia!
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La Chiesa “viva”
(di Cristiana de Magistris) Quando, durante il processo dell’apostolo Paolo, il procuratore della Giudea Festo si trovò nella necessità di spiegare al re Agrippa le imputazioni portate dai Giudei contro Paolo, le riassunse dicendo che gli accusatori avevano contro di lui certe questioni riguardanti la loro particolare superstizione «e un certo Gesù morto, che Paolo affermava esser vivente» (At 25,19).
Con inconsapevole ignoranza, Festo aveva sintetizzato l’essenza della fede cristiana, che si fonda esattamente su un Uomo morto, che è risuscitato ed è vivente: l’uomo-Dio Cristo Gesù.
Intorno alla verità della resurrezione del Redentore crocifisso ruota tutta la nostra fede, come asserisce senza esitazione lo stesso Apostolo: «Se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. (…) Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini» (1 Cor 15,17-19). E S. Agostino: «Non è gran cosa credere che Cristo è morto; lo credono anche i pagani, i Giudei e tutti i malvagi; tutti credono che è morto. La fede dei cristiani sta nella resurrezione di Cristo. Questo riteniamo che sia una grande cosa: credere che è risorto».
Col termine “risurrezione” non s’intende un semplice ritorno alla vita, come avvenne a Lazzaro o ad altri uomini e donne nell’Antico e Nuovo Testamento. A differenza di loro, Cristo risorse per virtù e forza propria per non morire più, ciò che si può dire solo di Lui. La Resurrezione era necessaria per portare a compimento l’opera della redenzione. Con la Sua morte Egli ci aveva liberati dal peccato, ma solo con la Sua risurrezione ci ha restituito i beni che avevamo perduti con il peccato, e ci ha ridonato la vita eterna. Cristo è dunque vivo.
La Resurrezione di Cristo è un avvenimento unico ed inconfondibile, che costituisce il centro e il culmine della storia dell’umanità. Si tratta di un fatto storico, ma anche di un avvenimento che trascende la storia per collocarsi tra le realtà eterna. Essendo dunque un fatto storico e sovrastorico, richiede sia l’assenso della ragione sia l’atto di fede. Ecco perché, con ammirabile ironia, i celesti messaggeri, la domenica di Pasqua, alle donne accorse al sepolcro, alle quali mancava la fede nella Risurrezione, chiesero: «Perché cercate tra i morti Colui che è vivo?» (Lc 24,5).
Benché animate da una coraggiosa e sincera pietà, le donne cercavano il Signore nel luogo sbagliato, perché Egli era ed è vivo. Questo invito ironico delle creature angeliche viene oggi rivolto alla moderna cristianità, il cui errore più fatale è forse proprio quello di cercare Cristo, il Signore del tempo e della storia, Colui che è “il vivente” e che non muore più, tra i personaggi storici oscurati dall’oblio del tempo e soprattutto dall’ineluttabilità della morte. Non si può in alcun modo paragonare Cristo a Budda o a Maometto o ad altri filosofi e pensatori, per quanto illustri. «Non si capisce niente del Cristianesimo – sentenziò il cardinal Biffi – se lo si ritiene una religione paragonabile alle altre. Il Cristianesimo non è, primariamente e per sé, una religione (cioè un insieme di riti, di precetti, di convincimenti che regolano le nostre relazioni con la divinità): è un avvenimento che ha dato un cuore nuovo all’universo; l’avvenimento della Pasqua, appunto, che uno può accogliere e rifiutare, ma non può ridurre a un sistema di idee, di atti liturgici, di norme, e non può assimilare alle altre forme di culto».
Ben lo comprese il grande convertito inglese G. K. Chesterton, il quale, dopo esser approdato alla Chiesa cattolica, ne difese fino alla morte la sua eterna ed inconfondibile unicità, la sua perenne vitalità, che non si fonda su idee, riti o pii pensieri, ma su una Persona morta e tuttora viva. «Questa è la verità – scrisse – che è duro spiegare perché è un fatto, ma un fatto di cui siamo testimoni. Siamo cristiani e cattolici non perché adoriamo una chiave (il Papa, ndr), ma perché abbiamo varcato una porta (la Chiesa, ndr); e abbiamo sentito lo squillo di tromba della libertà passare sopra la terra dei viventi». La Chiesa è dunque viva, perché è il Corpo di una Persona vivente.
L’adesione spirituale e intellettuale che si dà a un defunto, per quanto onorabile, non può in alcun modo confondersi con la comunione di vita con «Colui che è vivo e ormai non muore più, perché la morte non ha più potere su di Lui» (Rm 6,9). Parimenti, l’appartenenza alla Chiesa non può in alcun modo paragonarsi alla partecipazione a qualche associazione religiosa, per quanto nobili possano esser i suoi fini. La Chiesa è sempre vivificata dallo sfolgorante bagliore del Signore risorto e non può in alcun modo essere annoverata tra le organizzazioni umanitarie o caritative o dialoganti o pacifiste.
Essa non è nulla di tutto ciò. La sua caratteristica non è quella di essere bene organizzata nel servizio dei poveri (che tanto stava a cuore a Giuda Iscariota) o di esser aperta ad un non ben definito dialogo o di abbracciare l’uomo contemporaneo non per aprirgli le porte del Cielo, ma per rendergli meno penoso l’esilio terreno. La vera e unica caratteristica della Chiesa è quella di essere – a differenza di tutte le altre istituzioni e religioni – viva, ed è viva perché il suo Signore è risorto e la vivifica costantemente, purché, secondo l’ammonimento degli Angeli, «non cerchiamo tra i morti Colui che è vivo».
Lo si cerca tra i morti quando, per amore di un falso dialogo col mondo, si ignorano i Suoi ammonimenti, che non sono un invito al dialogo, ma un mandato all’evangelizzazione; quando si pretende di stabilire una pace fondata su principi terreni e umanitari, che uniscono, e non sull’unica Verità, che divide, ignorando che il Figlio di Dio è venuto a portare non la pace ma la divisione (Lc 12,51) e la spada (Mt 10,34); quando Lo si parifica agli altri fondatori di religioni, ignorando colpevolmente che Egli è l’unico vivo tra i morti e che «chi cadrà sopra questa pietra – che è Lui stesso – sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà» (Mt 21, 44).
Se la Pasqua non sembra più produrre, anche nella compagine ecclesiale, il rinnovamento spirituale che le è proprio, è perché evidentemente si cerca Cristo vivo tra uomini o ideali morti. Il monito delle creature angeliche alle donne accorse al sepolcro nel dì della resurrezione è allora, dopo di 2000 anni, ancora di straordinaria attualità, e non mancherà di suscitare lo stupore degli Angeli davanti a tanta umana ostinazione. Essa tuttavia non offusca la luce radiosa della Resurrezione del Signore che, con la sua luce silenziosa e sfolgorante, continua a far nuove tutte le cose (cfr. Ap 21,5).
«Al terzo dì, gli amici di Cristo vennero sul far del giorno al sepolcro e trovarono la tomba vuota e la pietra sepolcrale rotolata da un lato. Si resero conto in varia guisa del nuovo miracolo, ma non capirono che un mondo era morto in quella notte. Quel che essi vedevano era il primo giorno di una nuova creazione, con un nuovo cielo e una nuova terra: e, in sembianza di giardiniere, Dio camminava nuovamente nel giardino, nel fresco non di una sera ma di un’alba» (G.K. Chesterton). (Cristiana de Magistris)
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