ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 19 aprile 2017

Il “boom” delle “chiese piene”

La Messa Sacrificio di Cristo o esibizione del popolo?



E’ di questi giorni l’incresciosa notizia di un parroco che, per mancanza di fedeli, sospende la Messa, clicca qui per la notizia integrale dove il titolo provocatorio ma anche vero “La Messa è finita. Per mancanza di fede(li)“, effettivamente, ci spinge ad approfondire un grave ribaltamento del Protagonista che è, appunto, non “la fede dei fedeli” ma la Presenza reale di Gesù Cristo che agisce “nella persona del sacerdote”.
E’ evidente che il volantino appeso dal parroco è provocatorio, ma vogliamo anche sperare che il solerte parroco non abbia sospeso, per davvero, il Divino Sacrificio e che non creda, per davvero, che la Messa “la fanno i fedeli”, come purtroppo è di moda in questi ultimi cinquant’anni, eresia proveniente dal protestantesimo.
Basta sfogliare l’album della Chiesa “di sempre” per scoprire che le Chiese “non sono mai state piene” come si pretenderebbe volere oggi e di come queste si riempissero “solo” e sempre nelle grandi occasioni liturgiche. Il “boom” delle “chiese piene” nasce, in verità, con l’avvento della “nuova chiesa” predisposta dai grandi Movimenti dell’ultimo secolo (catecumenali, spiritualisti-carismatici sulla scia protestante dei pentecostali, focolarini, ecc…), finendo per ribaltare – in buona fede o meno non vogliamo giudicare, noi riportiamo solo i fatti reali e concreti – il vero Protagonista della Messa: non più Nostro Signore Gesù Cristo, ma i fedeli, l’assemblea (termine abusato dal protestantesimo), come a dire che senza la presenza dei fedeli, dell’assemblea, viene meno anche la Presenza reale di Gesù Cristo.
Bisogna tenere a mente, infatti, che prima della riforma liturgica dell’ultimo concilio, la Santa Messa (già obbligatoria per ogni sacerdote) soddisfaceva ogni “fabbisogno” della Chiesa, ogni suffragio per i Defunti e ogni grazia per i vivi, inoltre è la Preghiera della Chiesa al di là della presenza dei Fedeli, al di là della nostra fede, al di là di ogni situazione mondiale.
Il perché è presto detto: la Messa è di Nostro Signore Gesù Cristo, non dei fedeli o dell’assemblea, non è del sacerdote o del vescovo o di un Papa. Fosse anche il celebrante DA SOLO, quella Messa è un inestimabile valore.
Purtroppo oggi è prevalsa l’idea e l’eresia che la Messa “la fa l’assemblea”, che tutto dipende dall’uomo, dal prete, dal fedele, dalla quantità di persone presenti…. ribaltandone così l’immenso valore e portata e finendo per far dimenticare, alle nuove generazioni, che Gesù Cristo continua ad operare nella nostra storia, con o senza di noi!
Scrive infatti Crescimanno nell’articolo segnalato sopra: “Sarebbe invece assurdo se quella frase fosse rivelativa di un criterio del tutto mondano secondo il quale se non c’è abbastanza pubblico lo spettacolo non va in scena! La messa non è uno spettacolo rivolto ad un pubblico, ma un atto di culto e di amore a Dio-Trinità che ne è contemporaneamente il protagonista e il destinatario! Il ‘pubblico’ può esserci o non esserci, fisicamente; ma in realtà c’è sempre, poiché ogni liturgia è azione di tutta la Chiesa e anche se celebrata in solitudine da un sacerdote in cima a un monte, lì è presente e agisce il Signore Gesù Cristo e dunque è presente immancabilmente l’intero suo Corpo mistico, la Chiesa del Cielo, quella della terra e quella del Purgatorio.
E’ questo il vero ribaltamento: l’aver reso la Messa ad uno spettacolo. E uno “spettacolo”, senza pubblico, non si manda in onda…. è un fiasco completo. Non è forse vero che oggi gran parte del Clero, dei Vescovi, guardano di più ai numeri presenti che alla qualità delle membra?
In un bellissimo testo “Davanti al Protagonista”, clicca qui, l’allora cardinale Ratzinger spiegava già dettagliatamente la deriva di questo ribaltamento dove, l’assemblea convocata, è di fatto diventata “la protagonista” assorbendo, anche nel cattolicesimo, la deriva dell’eresia protestante la quale, infatti, non crede nella Presenza reale di Gesù nell’Eucaristia e, di conseguenza, la Messa non essendo più “il Sacrificio di Cristo” ma l’allegra CONVOCAZIONE festaiola dell’assemblea, ha subito un nefando ribaltamento dei ruoli, del significato e dell’Istituzione stessa.
Il blog Radicati nella fede, fece tempo fa un bellissimo articolo dal titolo interessante: “La messa dell’assemblea culla l’agnosticismo” clicca qui, vi invitiamo davvero a leggerlo e a meditare… “Ciò che non c’è più nella Messa, scompare inevitabilmente anche dalla vita cristiana. È solo questione di tempo, e nemmeno molto. Così è stato con l’ultima riforma liturgica: i “vuoti” del rito sono diventati “vuoti” del nuovo cristianesimo…
E allora… va bene la provocazione del parroco veneziano, ma solo se resta tale…. diversamente avremo la macabra prova che “la falsa chiesa” vive di una messa che non ritiene più essere il vero Sacrificio di Cristo, e di Cristo Gesù Presenza reale e unico ed autentico Protagonista della “Sua Messa”.
Nel 2007, il domenicano Padre Angelo Bellon, dalla sua preziosa rubrica “un sacerdote risponde”, chiarì perfettamente la questione e che vi invitiamo a leggere integralmente cliccando qui. Egli nella preziosa risposta concluse con queste parole che facciamo nostre e che giriamo a tutti i Sacerdoti: “Per il merito intrinseco ad ogni Messa, un sacerdote dà di più alla Chiesa e al mondo intero con la celebrazione dell’Eucaristia che con molte altre opere…
Ricorda che: “Il mondo può stare senza il sole, ma non senza la Santa Messa” (San Padre Pio da Pietrelcina, da “L’ultima Messa di Padre Pio” di Gnocchi-Palmaro, Piemme)
Laudetur Jesus Christus

Per comodità di lettura, pubblichiamo qui a seguire anche la risposta di Padre Angelo Bellon O.P. sopra citata.
Se il sacerdote possa celebrare senza la presenza del popolo e se questa Messa abbia minori meriti
Quesito
Caro Padre Angelo, Le vorrei chiedere questo: può una Messa essere celebrata solo dal sacerdote senza che nessun fedele sia presente ad ascoltarla? E se può, ha lo stesso valore di una Messa celebrata con l’assemblea presente? Leggendo le sue risposte io penso di sì dal momento che i frutti della Messa si estendono a tutta la Chiesa, cioè sono universali. Tuttavia la risposta a queste domande aiuterebbe a capire meglio l’essenza della celebrazione eucaristica, in quanto mi domando se oltre al sacerdote che presiede il rito in persona Christi anche all’assemblea di fedeli riuniti vada attribuita una capacità di offrire il Sacrificio del Signore al Padre in forza del sacerdozio comune ricevuto nel battesimo, assieme al celebrante, il quale esercita il sacerdozio ministeriale.
In altre parole i fedeli hanno solo un ruolo passivo nella liturgia eucaristica o uno anche attivo? E se sì, si tratta solo di offrire la Comunione per qualche intenzione ex opere operantis (a differenza del sacerdote che lo fa ex opere operato) come aveva spiegato in una risposta data tempo fa?
In attesa di una sua risposta chiarificatrice La ringrazio molto.
Alessandro
Risposta del sacerdote
Caro Alessandro,
1 – la Messa è la perpetuazione del sacrificio di Cristo sui nostri altari. Allora sia che venga celebrata da un solo sacerdote oppure da molti, sia con nessun fedele oppure con la presenza di una moltitudine di gente, ogni Messa offre a Dio un’adorazione, una lode e ringraziamento, una supplica di perdono e di richiesta di grazia che ha un valore infinito. E poiché il sacrificio di Cristo è unico, le celebrazioni che vengono fatte sugli altari non aggiungono nulla al sacrificio compiuto sulla Croce. Nella Messa non si ripete il sacrificio di Cristo. Non è una copia del sacrificio di Cristo, ma è l’originale.
San Tommaso è categorico su questo punto: tanto è l’effetto prodotto dalla Messa quanto è l’effetto prodotto dal sacrificio di Cristo sulla croce. L’unica diversità è nel modo di essere offerto: sulla croce il sacrificio è cruento (con spargimento di sangue), sull’altare è incruento (senza spargimento di sangue). L’unica cosa che si ripete è il rito.
2 – Nell’ultima cena Cristo ha comandato di perpetuare il suo sacrificio dicendo “Fate questo in memoria di me”. Ci si può chiedere quale sia il senso di questo comando dal momento che il sacrificio di Cristo ha un valore infinito ed è stato celebrato una volta per sempre. Ebbene, l’unico scopo è il seguente: che gli uomini di tutti i tempi e di ogni luogo abbiano la possibilità di prendere parte come protagonisti al suo sacrificio. Prender parte al suo sacrificio non significa semplicemente presenziare, ma unirsi con un sacrificio personale In questo ambito si situa l’azione e  il merito della Chiesa. Per quanto attiene a coloro che sono fisicamente presenti, bisogna dire che il merito è proporzionato al loro grado di devozione. E così può capitare che il sacerdote che celebra da solo, ma con un grado di santità molto avanzato, dia più gloria a Dio che il sacerdote che celebra con apatia e circondato da una moltitudine di fedeli che partecipano con altrettanta apatia e freddezza.
3 – Cristo in croce ha voluto associare al suo sacrificio anche il sacrificio della Chiesa, bene rappresentata da sua Madre, da san Giovanni, dalla Maddalena e dalle altre persone che gli erano vicine. Inoltre Cristo, in forza della sua visione beatifica, vedeva i sacrifici e le sofferenze di tutti gli uomini di tutti i tempi, li faceva propri e unendoli al suo sacrificio conferiva loro un potere enorme di adorazione, di lode, di espiazione e di invocazione di grazie. Allora in ogni S. Messa è presente tutta la Chiesa, anche se il sacerdote celebra senza la presenza di fedeli. Sono presenti gli angeli e i santi del cielo, sono presenti le anime del purgatorio, sono presenti tutti gli uomini. E per questo il sacrificio della Messa va a vantaggio di tutta la Chiesa, anzi di tutto il mondo. Tutti ne beneficiano purché non pongano ostacolo col loro peccato.
Dunque tutta la Chiesa, cioè tutto il popolo di Dio, che è un popolo sacerdotale, offre attivamente l’Eucaristia. La offre però con le mani e per le mani del sacerdote, la cui presenza è insostituibile, perché solo lui, agendo in persona Christi, ha il potere di perpetuare il sacrificio della croce attraverso le parole consacratorie.
4 – La partecipazione dei fedeli non si riduce solo a prendere parte alla Santa Comunione, ma riguarda anzitutto l’offerta del sacrificio. A Messa i fedeli sono chiamati a unire le loro azioni, le loro fatiche, le loro preghiere e i loro meriti a quelli di Cristo. Questo avviene già quando il sacerdote prima dell’orazione iniziale (la colletta) dice preghiamo, e sosta in silenzio qualche istante per dare a tutti la possibilità di pregare silenziosamente. Poi raccoglie (ecco la colletta, che significa raccolta) le preghiere di tutti e insieme con quelle della Chiesa le presenta al Signore. In modo tutto particolare i fedeli offrono se stessi al Signore al momento dell’offertorio.
Lo fanno quando il sacerdote dice a nome di tutti: “Benedetto sei tu, Signore Dio dell’universo dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane frutto della terra e del lavoro dell’uomo. Lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna”. Ugualmente lo fanno al momento dell’offerta del vino, “frutto della vite e del lavoro dell’uomo”. Sempre nell’offertorio, il popolo dice al sacerdote: “Il Signore riceva dalla tue mani questo sacrificio (sottinteso: il sacrificio della nostra vita, che uniamo volentieri a quello di Cristo) a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa”. Inoltre i fedeli rinnovano l’offerta di se stessi seguendo devotamente la preghiera eucaristica pronunciata dal sacerdote.
5 –  Il sacerdote, per motivi seri, può celebrare anche senza la presenza di un solo fedele. Nel nostro Ordine, per antico privilegio, questo è sempre stato concesso. Ultimamente i Papi non hanno cessato di esortare i sacerdoti a celebrare quotidianamente anche se non vi fosse la presenza del popolo. Per il merito intrinseco ad ogni Messa, un sacerdote dà di più alla Chiesa e al mondo intero con la celebrazione dell’Eucaristia che con molte altre opere.
Ti ringrazio, Alessandro, di avermi dato l’opportunità di mettere a disposizione dei nostri visitatoti alcuni tratti della dottrina della Chiesa sul l’Eucaristia. Come vedi, è una dottrina molto bella. Ti prometto un ricordo nella Messa e ti benedico.
Padre Angelo

Quando la celebrazione della messa diventa una questione di contabilità

Il parroco del Veneziano che ha sospeso la celebrazione per mancanza di fedeli e le parole di Gesù: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”
Matteo Matzuzzi
Roma. Magari il patriarca Francesco Moraglia quel cartello non l’avrebbe appeso sul portale della chiesa, ma tutto sommato la decisione di don Mario Sgorlon, il parroco che ha deciso di sospendere le messe nella chiesa delle Vignole per mancanza di fedeli, è ritenuta “comprensibile”. Dal patriarcato di Venezia spiegano al Foglio che “la situazione è originalissima”, essendo il luogo in questione periferico e abitato da poche decine di persone per lo più in età avanzata. E infatti, nella motivazione che ha portato già dallo scorso inverno il sacerdote a decidere di celebrare solo su richiesta di un congruo numero di fedeli (da quantificare, a quanto pare) c’è l’esiguo numero di partecipanti al rito. “Diciamo che riesco a officiare il rito circa una volta al mese. D’inverno, soprattutto, non viene nessuno perché fa freddo ed è umido, la gente si ammala e non esce di casa: una volta ci siamo trovati in tre. Insomma, celebrare così non ha senso”. E’ questo, semmai, il passaggio che stona: il senso di celebrare la messa con “poco” pubblico, quasi fosse una mera questione contabile. E poi, “tre” significa che qualcuno, volenteroso anche se anziano o ammalato, in chiesa c’era. E tanto basta, anche perché dopotutto, “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20), diceva Gesù, se può servire al caso di specie.




Troppe parrocchie e messe poco frequentate. Sacerdoti chiamati a guidare fino a 15 comunità, messe "non garantite". Un cambiamento sociale e culturale che affonda le radici negli scorsi decenni. Un'inchiesta

Don Mario dice di non capire il clamore suscitato dalla vicenda, anche perché quel cartello è affisso da mesi e i residenti concordano con la scelta di ridurre al minimo la frequenza delle liturgie domenicali date le condizioni particolari (“originalissime”, appunto) della parrocchia. “A richiesta”, si fa sapere poi, le celebrazioni saranno ripristinate, magari in estate, quando le orde di turisti che calano su Venezia potrebbero rimpinguare le presenze sui banchi dei luoghi di culto cattolici, benché i precedenti – a detta di don Sgorlon – non inducano a essere ottimisti. “Sono qui a fare il parroco da oltre quindici anni e non era mai successo che fossi costretto a chiudere, ma così vanno i tempi. Non ci si può fare niente. Quando i fedeli torneranno, io sarò qui ad aspettarli”, ha sottolineato. Non è neanche un problema di troppe parrocchie da amministrare e di messe da far saltare per carenza di clero, come pure da tante altre parti d’Italia accade da tempo. Qui manca la folla. “Non ci vedo niente di strano, è il destino di tutte le piccole località”, sospira in tono un po’ inquietate don Mario, che dà l’idea di considerare ormai perso il recinto, con le pecore scappate e non più raggiungibili. Una resa, insomma, davanti a “questi tempi” in cui le folle non bussano alle porte delle chiese e quel senso religioso così vivo nell’Italia di qualche decennio fa è assai sbiadito. Non è valso neppure il laicissimo esempio di Giovanni Mongiano, l’attore sessantacinquenne che qualche settimana fa decise di andare in scena al Teatro del Popolo di Gallarate nonostante in sala non ci fosse nessuno. Glielo avevano detto, con imbarazzo, e alla fine l’unico spettatore era la cassiera del teatro. Un’ora e venti di monologo, senza saltare neppure una battuta. E non è valsa neanche la lezione di vita di padre Ernest Simoni, il prete albanese creato cardinale da Francesco che ha passato gran parte della vita in carcere e ai lavori forzati durante la dittatura di Hoxa: “Celebravo la messa tutti i giorni, a memoria, in latino, sfruttando ciò che avevo a disposizione. L’ostia la cuocevo di nascosto su piccoli fornelli a petrolio che servivano per il lavoro. Se non potevo utilizzare il fornello, mettevo da parte un po’ di legna secca e accendevo il fuoco. Il vino lo sostituivo con il succo dei chicchi d’uva che spremevo”.
http://www.ilfoglio.it/chiesa/2017/04/19/news/quando-la-celebrazione-della-messa-diventa-una-questione-di-contabilita-130695/
Quei concerti per Lutero sono una nota decisamente stonata
(di Mauro Faverzani) Che a cento anni dalle apparizioni di Fatima, in una chiesa cattolica, quella del Redentore a Modena, non si trovi di meglio che festeggiare il quinto centenario della riforma luterana con un ciclo di cinque concerti, promossi dal locale Consiglio delle chiese cristiane, è veramente sconcertante.
Ma ancor più sconcertante è la modalità, con cui si è cercato di giustificare tale scelta. In un’intervista al settimanale diocesano Nostro Tempo, l’Arcivescovo, mons. Erio Castellucci (oggi dato come outsider per la Presidenza della Cei, benché semplice parroco a Forlì sino a due anni fa), ha parlato, tra l’altro, della «possibilità di utilizzare le chiese per iniziative non legate al culto», dicendola «regolata da norme e da prassi ormai collaudate». Esatto. Norme e prassi, che tuttavia dicono altro.
Il can. 1210 del Codice di Diritto Canonico sancisce: «Nel luogo sacro sia consentito solo quanto serve all’esercizio ed alla promozione del culto, della pietà, della religione e vietata qualunque cosa sia aliena dalla santità del luogo. L’Ordinario, però, per modo d’atto può permettere altri usi, purché non contrari alla santità del luogo».
Precisazione, questa, molto importante: rientrano in essa iniziative pensate espressamente per celebrare il compleanno di uno scisma voluto da uno scomunicato? Stando alla Lettera della Congregazione per il Culto Divino, Concerti nelle chiese, del 5 novembre 1987, parrebbe proprio di no: la chiesa, infatti, «rimane luogo sacro, anche quando non vi sia una celebrazione liturgica» (art. 5); quindi, utilizzarla «per altri fini diversi dal proprio», ne «mette in pericolo la caratteristica di segno del mistero cristiano». Chiarissimo.
Persino la Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium definisce «il fine della musica sacra» essere «la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli» (n. 112) e non altro, raccomandando che «i testi destinati al canto sacro siano conformi alla Dottrina cattolica» (n. 121). Il che non è proprio il caso di un evento pensato esplicitamente per commemorare la Riforma protestante, proponendo autori protestanti, commentati da pastori protestanti.
Vi è poi anche un dato tecnico, da tener presente. La Congregazione per il Culto Divino, nella sua Lettera del 1987 sui Concerti nelle chiese, ha specificato come le concessioni l’Ordinario le possa accordare «per modum actus» solo «relativamente a concerti occasionali. Si esclude pertanto una concessione cumulativa, per esempio, nel quadro di un festival o di un ciclo di concerti» (art. 10). Qual è, invece, quello di Modena, che cozza, dunque, per forma e per sostanza, proprio contro le disposizioni in materia. (Mauro Faverzani)

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