1. Premessa: la crisi nella Chiesa
Da molti anni la Chiesa risulta investita da una profonda crisi che non semplicemente la cinge dall’esterno ma la penetra fino al suo ordine più alto. Il Trono di Pietro è scosso da decenni e la Sede Apostolica pare quasi svanire in una eclissi tanto duratura quanto avvilente. Seppur in modo non sempre esplicito e non senza esitazioni, questo stato di grave crisi è stato riconosciuto da alcuni degli stessi autori del problema (Montini, Wojtyła, Ratzinger).
«Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse» [1] è, del resto, un’alta espressione biblica tratta dal Libro di Zaccaria e ripresa a viva voce nei Vangeli. Il regime in cui i cattolici paiono vivere è quella dell’anomia: l’assenza di un vero ordine mantenuto attualmente ed efficacemente dall’Autorità romana.
A questa crisi sono state opposte alcune soluzioni volte a chiarificare la stato generale riconducendo la questione al tema fondamentale dell’infallibilità. Si può generalmente dire che le due principali tendenze sono quelle che hanno indicato nell’impedimento all’uso [2] (Fraternità San Pio X et al.) o nell’impedimento al possesso dell’infallibilità [3](“sedevacantismo” nelle sue diverse componenti) la spiegazione della crisi stessa.
Volendo semplificare: la prima tendenza porta all’accettazione dei vari Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco come Papi che tuttavia – senza voler effettivamente insegnare e governare in modo vincolante – errano. Hanno dunque, per un difetto indotto dal neomodernismo, un impedimento all’uso dell’infallibilità. Risulterebbe «chiaro che questo nuovo magistero, avendo utilizzato dei procedimenti inediti, sia stato intaccato da un grave deficit che tocca la natura stessa di atto magisteriale» [4].
La seconda tendenza risolve invece il problema dell’Autorità negando che i vari “Papi” del Concilio siano effettivamente Papi. Vi sarebbe dunque un’incompatibilità tra il possesso dell’infallibilità e la condotta di costoro.
Sia una tendenza sia l’altra riconoscono l’esistenza della crisi e annoverano tra i loro sostenitori soggetti impegnati a vario titolo e con distinta intensità nella lotta alla deriva conciliare e postconciliare, con la conseguenza d’essere, in un qualche modo, uniti nell’opposizione alle cause remote della crisi (neomodernismo) ma divisi nell’individuazione della causa prossima (sono Papi cattivi o non sono Papi?).
Come si vedrà meglio in seguito, la ragionevole comunicazione (e talvolta collaborazione) tra questi settori – dovuta alla dirompente evidenza della crisi stessa – ha avuto ed ha manifestazioni non solo episodiche, date dalla prevalenza dei primi fattori sui secondi.
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2. In che termini si può parlare di ecumenismo tra “cattolici tradizionalisti”?
Negli ultimi anni sono state mosse alcune obiezioni a riguardo: è legittimo che vi siano queste comunicazioni? Se si hanno posizioni diverse ma in qualche maniera si collabora non si fa ciò che fanno gli ecumenisti liberali? Queste operazioni non rischiano di produrre “trasbordi ideologici”?
Per approcciare il tema del “pericolo ecumenismo” è necessario individuare come esso venga trattato nella Tradizione Cattolica. Il testo senza dubbio più utile è la Mortalium Animos di Pio XI (1928):
Un obiettivo non dissimile cercano di ottenere alcuni per quanto riguarda l’ordinamento della Nuova Legge, promulgata da Cristo Signore. Persuasi che rarissimamente si trovano uomini privi di qualsiasi sentimento religioso, sembrano trarne motivo a sperare che i popoli, per quanto dissenzienti gli uni dagli altri in materia di religione, pure siano per convenire senza difficoltà nella professione di alcune dottrine, come su un comune fondamento di vita spirituale. Perciò sono soliti indire congressi, riunioni, conferenze, con largo intervento di pubblico, ai quali sono invitati promiscuamente tutti a discutere: infedeli di ogni gradazione, cristiani, e persino coloro che miseramente apostatarono da Cristo o che con ostinata pertinacia negano la divinità della sua Persona e della sua missione. Non possono certo ottenere l’approvazione dei cattolici tali tentativi fondati sulla falsa teoria che suppone buone e lodevoli tutte le religioni, in quanto tutte, sebbene in maniera diversa, manifestano e significano egualmente quel sentimento a tutti congenito per il quale ci sentiamo portati a Dio e all’ossequente riconoscimento del suo dominio. Orbene, i seguaci di siffatta teoria, non soltanto sono nell’inganno e nell’errore, ma ripudiano la vera religione depravandone il concetto e svoltano passo passo verso il naturalismo e l’ateismo; donde chiaramente consegue che quanti aderiscono ai fautori di tali teorie e tentativi si allontanano del tutto dalla religione rivelata da Dio. [5]
Dalle righe riportate risulta pacifico che la gravità delle varie forme di ecumenismo liberale (pancristianesimo, dialogo interreligioso, ecc) consista nell’abbassamento della verità rivelata tra gli errori, con l’inevitabile confusione che ne segue. Mescolare una verità definita e vincolante con le falsità significa sminuirne la portata, negare il principio di contraddizione. Un passaggio ulteriore dell’enciclica fuga ogni eventuale dubbio:
Ma potremo Noi tollerare l’iniquissimo tentativo di vedere trascinata a patteggiamenti la verità, la verità divinamente rivelata? Ché qui appunto si tratta di difendere la verità rivelata. [6]
Appare dunque necessario chiedersi: le conclusione proprie delle varie tendenze cattoliche che si oppongono al neomodernismo in materia di sede vacante, fanno parte della verità rivelata? Sono forse verità definite che vincolano al punto da non poter essere discusse e da negare ogni collaborazione tra chi reciprocamente dissente?
La risposta non può che essere No. Sembra evidente che data l’attualità della crisi non possa esistere una lettura strettamente vincolante della stessa. Sia nel caso in cui l’Autorità sia vulnerata da un impedimento all’uso, sia che lo sia in riferimento al possesso, pare chiaro che la definizione ultima dei fatti attuali non possa passare da chi ne è la causa. In assenza di un’Autorità che voglia o possa definire attualmente un giudizio in merito, quale vincolo si può porre all’accettazione di questa o di quella tesi volta ad analizzare la crisi in corso?
A questo non vale neppure l’obiezione di chi sostiene che basti appoggiarsi alla Tradizione per trovare una risposta certa, facile e definita alla crisi presente. Non solo questa ipotesi è agevolmente smentita dalla storia (le diverse posizioni teologiche rispetto alla crisi, ben lungi dall’essere state immediatamente e solidamente formulate, hanno necessitato anni per strutturarsi e correggersi, con tanto di radicali cambi di fronte tra i reciproci sostenitori) ma, ancor più, è negata da un dato logico piuttosto chiaro: le varie posizioni, per quanto ben argomentate e ben fondate, rimangono oggetto di accese disputationes ma prive di conferma ultima da parte di un’Autorità, che di fatto è eclissata.
Per arrischiarsi a sostenere che forme di comunicazione o collaborazione tra le diverse tendenze del cosiddetto “Cattolicesimo tradizionalista” implichino un “pericolo ecumenismo” risulta necessario azzardarsi in una seconda operazione: quella di sostenere che, essendo certamente vincolanti le proprie tesi sulla crisi nella Chiesa, si abbia avuto – in assenza di Autorità che si esprima in merito – una propria Rivelazione, tale da implicare il rischio di sminuire la propria religione e la propria verità rivelata con errori definiti come falsi. Dando così compimento ad una ulteriore ammonizione della Mortalium Animos:
Dal che consegue non potersi dare vera religione fuori di quella che si fonda sulla parola rivelata da Dio. [7]
Ciò che risulta realmente vincolante è invece riferibile agli elementi su cui si accordano gli esponenti delle diverse tendenze prese in esame, ovvero le verità contenute nella Tradizione e definite nei tempi che hanno preceduto la crisi in atto.
Se San Tommaso sosteneva che «parvus error in principio fit magnus in fine», va notato che in questo caso l’errore in principio – ovvero l’accusa di ecumenismo liberale – è ben più che piccolo (parvus). Non a caso, risultano ampiamente erronei lo sviluppo dell’accusa e la sua conclusione, inerente presunti rischi di “trasbordi” verso posizioni considerate meno intransigenti. I fatti, accompagnando il senso comune, hanno dimostrato in modo chiaro l’inconsistenza di questi assunti.
Analizzata dunque sul piano logico e fattuale la debolezza delle argomentazioni relative al cosiddetto “ecumenismo tradizionalista” pare tuttavia necessario integrare con alcuni elementi ulteriori, volti a confermare ed ampliare quanto sin qui esposto.
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3. La “bicicletta teologica”: risvolti sociali
Questa accusa di “ecumenismo” porta necessariamente con sé alcune conseguenze non trascurabili. Alludere – magari in maniera non del tutto esplicita – al carattere vincolate delle proprie tesi, senza che un’Autorità legittima confermi questa sentenza, significa non solo far accettare ai fedeli complesse analisi teologiche ma, in qualche modo, indurli ad ampi studi per comprenderle e difenderle. Se, in via ordinaria, le verità cattoliche risultano accessibili e prossime a chi deve riceverle, qui ci si trova di fronte ad articolate posizioni su una crisi in corso, complicate da un dibattito fatto di obiezioni e rilievi, con un’Autorità ultima e chiarificatrice che latita.
Si arriva così a determinare moltitudini di teologi improvvisati, i quali, in un regime di grave anomia, si sobbarcano il compito di difendere tesi spesso al di sopra delle loro possibilità conoscitive. Una volta spinti ad inforcare la bicicletta della teologia, risulta difficile che non pedalino in libertà, con tutti i rischi che questo implica.
Vedremo meglio in seguito come il popolo fedele, lungi da possedere un diritto all’ ignoranza in materia di dottrina, abbia un proprio ruolo nella trasmissione della Fede. Ruolo che peraltro può confortare il principio in base al quale queste comunicazioni o collaborazioni tra tendenze diverse in seno al “Cattolicesimo tradizionalista” possono realizzarsi a determinate condizioni.
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4. Conferme storiche: le collaborazioni interne al “movimento di resistenza” al neomodernismo
Sebbene sia impossibile delineare in poche righe la storia delle collaborazioni tra le diverse tendenze del cosiddetto “Cattolicesimo tradizionalista”, pare utile portare qualche prova di come alcuni distinti esponenti del “movimento di resistenza” al neomodernismo abbiano lavorato insieme.
Se già in passato non è mancata occasione per approfondire questo tema [8] ancora una volta si può ribadire, a titolo di esempio, come il filosedevacantista Mons. de Castro Mayer non evitò di essere uno stretto collaboratore di Mons. Lefebvre (si pensi alla celeberrima giornata delle consacrazioni del 1988). Pur concorde nell’animo e nell’opera col prelato francese, il vescovo brasiliano appoggiò la famosa Lettre à quelques évêques i cui orientamenti erano ben lontani dal cosiddetto “sedeplenismo”.
Nei momenti più duri della polemica di Mons. Lefebvre contro la “Roma modernista” – pensiamo al 1976 – non pochi sedevacantisti si trovavano nelle prime linee tra i suoi sostenitori. Da Padre Michel Guérard des Lauriers, professore a Ecône, a Padre Noël Barbara – con la rivista Forts dans la Foi – fino ai sedevacantisti messicani, si esprimevano incoraggiamenti a Mons. Lefebvre. Il parroco della Divina Provvidenza ad Acapulco, padre Carmona (che ricevette la consacrazione episcopale nel 1981 da Mons. Thuc) fu scomunicato dal suo Vescovo per aver celebrato una Messa in sostegno di Mons. Lefebvre l’8 dicembre 1976. Sebbene nel 1977 il prelato francese avesse già tentato di ricostruire qualche rapporto con Roma e malgrado fossero stati discretamente allontanati da Ecône i due principali sostenitori francesi del sedevacantismo, sia Padre Barbara nella sua rivista, sia Padre Guérard, continuarono a sostenere Mons. Lefebvre (Padre Guérard inviò persino a Ecône, nel 1978, i suoi giovani domenicani) [9].
A chi obiettasse che sì queste collaborazioni hanno avuto luogo ma che poi, inevitabilmente, finirono per incompatibilità degli attori coinvolti, si può rispondere che il fatto che siano esistite già esclude che gli autori delle stesse assolutizzassero in ogni circostanza il pericolo “ecumenismo tra cattolici tradizionalisti”, come da alcune parti oggi si vorrebbe, inoltre, scorrendo gli esempi riportati, risulta evidente come le fasi di massima intensità di queste interazioni siano state anche i “momenti chiave” e di maggior successo del “movimento di resistenza” al neomodernismo.
L’arcivescovo francese tentò con la sua genialità e il suo carisma – pur con esitazioni e retromarce – di estendere per quanto possibile l’orizzonte di queste collaborazioni. Ciò che tuttavia, in senso ecclesiale, fu impossibile a Mons. Lefebvre – anche per ragioni storiche e gerarchiche proprie del suo ruolo e della sua Fraternità – pare non impossibile ad un livello diverso, caratterizzato da libertà più ampie e da vincoli meno stringenti.
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5. La Tradizione e il sensus fidei
Posta la questione sotto le luci dei fatti, della logica, dell’analisi sociale e della storia, due elementi risultano chiari:
1) La crisi attuale è grave, ma non rende indisponibile il deposito della Tradizione: questa è una fonte di verità sicura, a cui tutti i battezzati possono ricorrere.
2) Sebbene con ruoli diversi, ogni battezzato non solo può tornare alla Tradizione ma, nei limiti delle sue possibilità, deve conservarla e difenderla.
Il domenicano spagnolo Melchor Cano – definito dalla stessa Enciclopedia Cattolica come «teologo insigne del Cinquecento» [10] – così come «i padri Perrone, Franzelin, Scheeben e la maggior parte dei teologi, ritengono che, se solo la Chiesa docente ha il compito di insegnare e definire, anche la Chiesa discente ha quello di conservare e trasmettere il depositum fidei. Tutta la XII tesi del trattato De divina Traditione di Franzelin è dedicata ad illustrare “come l’accordo dei fedeli sulle verità di fede è un criterio della tradizione divina”. La Chiesa nel suo complesso, e non solo quella docente, è un “luogo teologico” e può essere considerata […] “organo” autentico della Tradizione» [11].
Si badi tuttavia: sebbene il corpus docendi da un lato e la parte discente della Chiesa dall’altro non possano cadere in errore generale, questo non può implicare l’attribuzione di un ruolo docente ai fedeli (come vorrebbero certe correnti progressiste), significa piuttosto sottolineare il ruolo di testimonianza e trasmissione che ogni battezzato laico necessariamente possiede.
Non deve dunque destare alcuno stupore il fatto che Dom Prosper Guéranger, nella sua nota opera L’Année Liturgique, ricordi come il Patriarca eretico di Costantinopoli, Nestorio, fu ripreso da Eusebio, all’epoca un semplice laico:
«il giorno di Natale del 428, Nestorio, approfittando dell’immenso concorso di fedeli venuti a festeggiare il parto della Vergine-Madre, dall’alto del soglio episcopale lanciò quella blasfema parola: “Maria non ha generato Dio: il Figlio suo non è che un uomo, strumento della divinità”. A queste parole la moltitudine fremette inorridita: interprete della generale indignazione, Eusebio di Doriles, un semplice laico, si levò in mezzo alla folla a protestare contro l’empietà. […] Generoso atteggiamento che fu allora la salvaguardia di Bisanzio e gli valse l’elogio dei Concili e dei Papi!»[12] .
Criterio solidissimo per discernere il vero dal falso è senza dubbio quello enunciato da San Vincenzo di Lerino: «Magnopere curandum est ut id teneatur quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est» [13]. Ovvero: «Bisogna soprattutto preoccuparsi perché sia conservato ciò che in ogni luogo, sempre e da tutti è stato creduto».
Volendo tornare a quanto affrontato nella parte iniziale di questo testo risulterà, ancora una volta, agevole comprendere come sia più semplice accettare quanto risulta realmente vincolante, ovvero le verità contenute nella Tradizione e definite nei tempi che hanno preceduto la crisi in atto (quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est); mentre, sul lato opposto, come risulti disagevole applicare il canone leriniano ad un giudizio attuale su una crisi in corso.
A chi poi, ad esempio, volesse obiettare che sempre, ovunque e da tutti si è creduta vincolante l’obbedienza all’Autorità romana e che dunque Paolo VI certamente non è Papa in quanto è necessaria la disobbedienza verso le sue direttive, certamente non mancherà chi obietterà, in senso contrario, che – nello stato presente – vale sì l’obbedienza ma per come definita dai Padri Richard e Giraud nel Dizionario universale delle scienze ecclesiastiche, ovvero come «una virtù per la quale ci assoggettiamo agli ordini dei nostri superiori in tutto ciò che essi comandano di giusto e di ragionevole» [14]. O ancora vi sarà chi sosterrà che sì è necessario sottomettersi, ma nella misura in cui non si nuocesse alla Chiesa come riferito da San Roberto Bellarmino:
«Com’è lecito resistere al Pontefice che aggredisce il corpo, così pure è lecito resistere a quello che aggredisce le anime o perturba l’ordine civile, o, soprattutto, a quello che tenta di distruggere la Chiesa. Dico che è lecito resistergli non facendo quello che ordina ed impedendo la esecuzione della sua volontà» [15].
Il dibattito, vertendo su un giudizio attuale, si prolungherebbe sino a quando un’Autorità con un pronunciamento evidentemente legittimo dirimesse la questione. «Roma locuta, causa soluta» è un principio solido nella misura in cui, senza impedimenti, Roma parla o può parlare. Inoltre, lo abbiamo già accennato in precedenza, risulta evidente come la storia stessa dimostri che le diverse posizioni teologiche rispetto alla crisi in essere abbiano necessitato un ampio tempo per la loro piena formulazione e con non trascurabili convulsioni tra le tendenze in campo, indici del fatto che ciò che è stato creduto «sempre, ovunque e da tutti» era ben lungi dall’offrire una soluzione pronta e vincolante.
Il canone leriniano qui esposto (criterio al contempo positivo e negativo [16]) ha quindi una sua funzione non solo per l’individuazione della genuina Tradizione in un momento di crisi ma per la segnalazione dello stato stesso in cui la Chiesa versa.
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6. Conclusioni
Alla luce dei fatti, della logica, delle relazioni sociali e della storia appare accertato l’errore di chi sostiene i rischi di “ecumenismo liberale” e “trasbordo ideologico” per qualunque forma di comunicazione-collaborazione interna alle distinte tendenze del cosiddetto “Cattolicesimo tradizionalista”. Nella misura in cui le interazioni interne al “movimento di resistenza” al neomodernismo sono fondate sulle verità definite e vincolanti, contenute nel deposito della Tradizione, pare non solo legittima ma anzi auspicabile l’estensione di questo fronte.
di Andrea Giacobazzi
NOTE
1 - Zaccaria 13,7; Matteo 26,31; Marco 14,27.
2 - don Mauro Tranquillo, Permanenza del papato, permanenza della Chiesa, in La Tradizione Cattolica n° 1, 2014 (http://www.sanpiox.it/articoli/crisi-nella-chiesa/1348-permanenza-
del-papato-permanenza-della-chiesa).
3 - CMRI, Quotes from Theologians Supportingthe Sedevacantist Position (http://www.cmri.org/02-sede-quotes.html).
4 - don J. M. Gleize, Vaticano II: un dibattito aperto, Ed. Ichthys, 2013, p. 197.
5 - Pio XI, Mortalium Animos, 1928.
6 - Ibidem.
7 - Ibidem.
8 - A. Giacobazzi, Note sulle collaborazioni interne al “movimento di resistenza” al neomodernismo, Radio Spada, 19 maggio 2015
(https://www.radiospada.org/2015/05/collaborazioni-interne-al-movimento-
di-resistenza-al-neomodernismo/)
9 - Ibidem. Cfr: don Francesco Ricossa, Risposta al numero speciale de La Tradizione Cattolica sul sedevacantismo (n. 1/2003, 52), in Sodalitium, n.56, Numero Speciale: risposta al Dossier sul Sedevacantismo, Anno XIX, n. 2, settembre 2003.
10 - EC, vol. III, col. 533.
11 - R. de Mattei, Apologia della Tradizione, Lindau, 2011, pp. 113-114; Cfr.: Card. Jean-Baptiste Franzelin, De divina Traditione et Scriptura (1870), tr. fr. annotata a cura dell’abbé J.-M. Gleize, La Tradition, in Courrier de Rome, 2009, pp. 139-195.
12 - dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, trad. it., Edizione Paoline, Alba, 1959, vol. I, pp. 795-796. (http://doncurzionitoglia.net/2015/06/22/resistere-autorita-ecclesiastica/)
13 - San Vincenzo di Lerino, Commonitorium.
14 - PP. Richard e Giraud, Biblioteca sacra ovvero Dizionario universale delle scienze ecclesiastiche, Milano, Ranieri Fanfani, 1836, tomo XIV, p. 203.
15 - San Roberto Bellarmino, De Romano Pontifice, lib. II, cap. 29.
16 - don J. M. Gleize, Vaticano II: un dibattito aperto, Ed. Ichthys, 2013, p. 195.
Un velenoso articolo del giudeo Giacobazzi contro l'Istituto Mater Boni Consilii.
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