ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 11 settembre 2017

La Chiesa dei balocchi

Colpo di spugna



Sabato scorso è stato emanato il motu proprio Magnum principium, con il quale viene modificato il can. 838 del Codice di diritto canonico, riguardante le rispettive competenze di Santa Sede, Conferenze episcopali e Vescovi diocesani nell’ordinamento della liturgia. Il bollettino della Sala stampa della Santa Sede ha pubblicato il motu proprio insieme con una “Nota circa il can. 838 del C.I.C.” e un commento al motu proprio del Segretario della CCDDS.


Il can. 838 è formato da quattro commi: il primo ha un carattere generale; il secondo riguarda le competenze della Sede Apostolica; il terzo illustra il ruolo delle Conferenze episcopali; il quarto indica la funzione del Vescovo diocesano. Il motu proprio modifica i §§ 2 e 3, lasciando immutati il primo e l’ultimo comma.

Ecco il testo del canone nella sua stesura originale e nella nuova formulazione:

§ 1. Sacrae liturgiae moderatio
ab Ecclesiae auctoritate unice pendet:
quae quidem est penes Apostolicam Sedem
et, ad normam iuris, penes Episcopum dioecesanum.

§ 1. Sacrae liturgiae moderatio
ab Ecclesiae auctoritate unice pendet:
quae quidem est penes Apostolicam Sedem
et, ad normam iuris, penes Episcopum dioecesanum.
§ 2. Apostolicae Sedis est
sacram liturgiam Ecclesiae universae ordinare,
libros liturgicos edere
eorumque versiones in linguas vernaculas

recognoscere,
necnon advigilare ut ordinationes liturgicae
ubique fideliter observentur.

§ 2. Apostolicae Sedis est
sacram liturgiam Ecclesiae universae ordinare,
libros liturgicos edere,
aptationes, ad normam iuris
a Conferentia Episcoporum approbatas,
recognoscere,
necnon advigilare ut ordinationes liturgicae
ubique fideliter observentur.
§ 3. Ad Episcoporum Conferentias spectat
versiones librorum liturgicorum
in linguas vernaculas,
convenienter
intra limites in ipsis libris liturgicis definitos
aptatas,
parare,
easque edere,

praevia recognitione Sanctae Sedis.

§ 3. Ad Episcoporum Conferentias spectat
versiones librorum liturgicorum
in linguas vernaculas
fideliter et convenienter
intra limites definitos
accommodatas
parare et approbare
atque libros liturgicos,
pro regionibus ad quas pertinent,
post confirmationem Apostolicae Sedis, edere.
§ 4. Ad Episcopum dioecesanum
in Ecclesia sibi commissa pertinet,
intra limites suae competentiae,
normas de re liturgica dare,
quibus omnes tenentur.
§ 4. Ad Episcopum dioecesanum
in Ecclesia sibi commissa pertinet,
intra limites suae competentiae,
normas de re liturgica dare,
quibus omnes tenentur.

Qui di seguito la traduzione del canone, nella vecchia e nella nuova formulazione (ci siamo permessi di ritoccare la traduzione del § 3 fornita dal bollettino della Santa Sede, non sembrandoci essa sufficientemente fedele al testo originale latino):

§ 1. Regolare la sacra liturgia
dipende unicamente dall’autorità della Chiesa:
ciò compete propriamente alla Sede Apostolica
e, a norma del diritto, al Vescovo diocesano.

§ 1. Regolare la sacra liturgia
dipende unicamente dall’autorità della Chiesa:
ciò compete propriamente alla Sede Apostolica
e, a norma del diritto, al Vescovo diocesano.

§ 2. È di competenza della Sede Apostolica
ordinare la sacra liturgia della Chiesa universale, pubblicare i libri liturgici,
e approvarne (1) le versioni nelle lingue nazionali,

nonché vigilare perché le norme liturgiche
siano osservate ovunque fedelmente.

§ 2. È di competenza della Sede Apostolica
ordinare la sacra liturgia della Chiesa universale, pubblicare i libri liturgici,
rivedere (2) gli adattamenti approvati
a norma del diritto dalla Conferenza Episcopale,
nonché vigilare perché le norme liturgiche
siano osservate ovunque fedelmente.

§ 3. Spetta alle Conferenze Episcopali
preparare
le versioni dei libri liturgici nelle lingue nazionali,
adattate convenientemente
entro i limiti definiti negli stessi libri liturgici,
e pubblicarle,

previa approvazione della Santa Sede.

§ 3. Spetta alle Conferenze Episcopali
preparare e approvare
le versioni dei libri liturgici nelle lingue nazionali,
adattate fedelmente e convenientemente
entro i limiti definiti,
e pubblicare i libri liturgici,
per le regioni di loro pertinenza,
dopo la conferma della Sede Apostolica.

§ 4. Al Vescovo diocesano
nella Chiesa a lui affidata spetta,
entro i limiti della sua competenza,
dare norme in materia liturgica,
alle quali tutti sono tenuti.
§ 4. Al Vescovo diocesano
nella Chiesa a lui affidata spetta,
entro i limiti della sua competenza,
dare norme in materia liturgica,
alle quali tutti sono tenuti.

Note:
(1) L’edizione del Codice di diritto canonico curata da Luigi Chiappetta (Edizioni Dehoniane, Napoli, 1988) traducerecognoscere con “approvare”, giustificando tale traduzione nel modo seguente: «In italiano “approvazione” è piú esatto, giuridicamente, di “revisione, esame, controllo”» (vol. II, p. 8, nota 1).
(2) La traduzione italiana del motu proprio inserisce a questo punto la seguente nota: «Nella versione italiana del C.I.C., comunemente in uso, il verbo “recognoscere” è tradotto “autorizzare”, ma la Nota esplicativa del Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi ha precisato che la recognitio “non è una generica o sommaria approvazione e tantomeno una semplice “autorizzazione”. Si tratta, invece, di un esame o revisione attenta e dettagliata…” (28 aprile 2006)».

Nella precedente formulazione, i compiti della Sede Apostolica erano:
— ordinamento della liturgia a livello universale;
— pubblicazione dei libri liturgici;
— recognitio delle traduzioni nelle lingue nazionali;
— vigilanza sul rispetto delle norme liturgiche.
Il ruolo delle Conferenze episcopali consisteva invece nel:
— tradurre i libri liturgici;
— adattare le traduzioni alle situazioni locali;
— pubblicare i libri liturgici cosí tradotti, dopo aver ottenuto la recognitio della Santa Sede.

Che cosa cambia ora? Praticamente la Santa Sede rinuncia alla recognitio delle traduzioni, la cui responsabilità viene affidata esclusivamente alle Conferenze episcopali (rimane solo una confirmatio dei libri liturgici, tradotti e approvati dalle stesse Conferenze), riservandosi la recognitio sugli adattamenti (intesi in un senso piú ampio rispetto ai semplici adattamenti delle traduzioni) approvati dalle Conferenze episcopali.

Che dire di queste novità? Dal punto di vista formale, esse sono ineccepibili. Esse si presentano come maggiormente conformi alle disposizioni del Vaticano II e operano una piú chiara distinzione fra adattamenti liturgici (che necessitano di recognitio da parte della Santa Sede, che ha il dovere di salvaguardare l’unità del rito romano) e traduzioni liturgiche (che sono invece di competenza delle Conferenze episcopali e richiedono solo una conferma da parte della Sede Apostolica).

Ma, al di là di tale correttezza formale, appare legittimo sollevare qualche perplessità. Innanzi tutto riguardo alla confirmatio della Santa Sede necessaria per la pubblicazione dei libri liturgici, tradotti e approvati dalle Conferenze episcopali. Il Segretario della CCDDS, l’Arcivescovo Arthur Roche (foto), nel suo commento al motu proprio, precisa che non si tratterà di “un intervento alternativo di traduzione” (come era spesso accaduto in passato, mandando su tutte le furie gli addetti ai lavori), ma di una ratifica dell’approvazione dei Vescovi. Per quanto tale ratifica venga presentata come “atto autoritativo”, essa dà tanto l’impressione di un intervento puramente notarile. È vero che si presuppone “una positiva valutazione della fedeltà e della congruenza dei testi prodotti rispetto all’edizione tipica”; ma allora perché non si è conservato il precedente istituto della recognitio, che comprende in sé, oltre l’approvazione, anche la revisione e la valutazione? La rinuncia alla recognitio dà l’impressione che la Santa Sede dichiari la propria incompetenza sulle traduzioni liturgiche, attribuendone l’esclusiva responsabilità alle Conferenze episcopali.

Un aspetto che sembra totalmente trascurato nella revisione del canone (e lo era anche nella precedente formulazione, ma non nella prassi della CCDDS) è il fatto che alcune lingue (inglese, francese, spagnolo, portoghese) non possono essere considerate solo lingue nazionali, ma anche internazionali, perché parlate in diversi territori. Il canone, cosí come è formulato, presuppone una corrispondenza fra lingue e Conferenze episcopali, che esiste piú nella mente dei compilatori che nella realtà. A parte il fatto che esistono paesi in cui si parlano piú lingue e quindi una stessa Conferenza episcopale dovrebbe provvedere a molteplici traduzioni liturgiche (con quale competenza, visto che non tutti i Vescovi parlano tutte le lingue del paese?); nel caso delle lingue sopra indicate, quale Conferenza episcopale sarebbe competente? Si dirà: ciascuna per il proprio territorio. Per cui si avranno molteplici traduzioni nella stessa lingua. Il che non sembra molto ragionevole. È inevitabile, a mio parere, che in ciascun ambito linguistico si formino delle commissioni o dei comitati internazionali (e quindi alle dirette dipendenze della Sede Apostolica) che procedano a traduzioni comuni, valide per tutti i territori in cui è parlata la stessa lingua, come è avvenuto negli anni recenti per la traduzione del Messale in inglese. Che cosa succederà ora? Ciascuna Conferenza episcopale anglofona si sentirà in diritto di procedere a una nuova traduzione inglese del Messale per il proprio territorio? Sono proprio curioso di vedere come andrà a finire. Una cosa è certa: mentre il mondo va verso una progressiva globalizzazione, la Chiesa non riesce ad affrancarsi dai particolarismi linguistici!

Ma la cosa che lascia l’amaro in bocca è che il nuovo motu proprio significa, di fatto, un colpo di spugna sull’istruzione Liturgiam authenticam, “sull’uso delle lingue volgari nella pubblicazione dei libri della liturgia romana”, del 2001 (lèggasi: pontificato di Giovanni Paolo II). Sarà un caso che né nel motu proprio né nella “Nota circa il can. 838 del C.I.C.” essa non venga mai citata? Vi si fa riferimento solo nel commento dell’Arcivescovo Roche, il quale ci spiega che l’avverbio fideliterè stato inserito nel § 3 per raccogliere la preoccupazione principale dell’istruzione Liturgiam authenticam”. Un po’ poco, ci sembra. È vero, Liturgiam authenticam non è stata formalmente abrogata; teoricamente, essa dovrebbe continuare a guidare le traduzioni bibliche e liturgiche in ogni parte del mondo. Ma, siccome questo non viene detto espressamente, ciascuno si sentirà autorizzato a tradurre secondo i propri criteri. Ovviamente, tutti dichiareranno di essere stati fedeli al testo originale; tutto sta a vedere che cosa si intenda per fedeltà: “corrispondenza formale” o “equivalenza dinamica” (si veda in proposito il mio post del 2 aprile 2009)? E la Santa Sede si limiterà, da buon notaio, a confermare le traduzioni autocertificatesi come “fedeli”.

Morale della favola, questo motu proprio dimostra che la riforma liturgica, avviata dal Concilio e proseguita in questi cinquant’anni come un processo che si è andato progressivamente approfondendo e precisando, non è affatto… irreversibile.
Q

Pubblicato da 
http://querculanus.blogspot.it/2017/09/colpo-di-spugna.html



Le magie di padre Maggi (e oplà)


Allora il Signore disse a Mosè:
«Fino a quando rifiuterete di osservare 
i miei comandamenti e le mie leggi?» (Es 16,28) 


Volevo fare un pezzo sul magico catechismo secondo Maggi, ma è talmente incasinato che fatico a raccapezzarmi fra le citazioni in greco e ciò che resta di un frullato del povero san Girolamo, ridotto a scribacchino frettoloso e incompetente. Bisognerebbe chiedere aiuto a qualcuno di veramente intelligente e preparato, tipo il professor Seifert - pare abbia del tempo libero.
Per chi non lo conosce, sappia che esiste un uomo che, con il pretesto del metodo scientifico, con la Parola di Dio sa fare vere e proprie magie. Ma che dico magie? Giocolerie. Padre Alberto Maggi dei Servi di Maria, estremista kasperita, ha messo in piedi un vero e proprio Centro di Giocoleria Biblica con i controstoricocritici, altresì noto come “Centro Studi Biblici - G. Vannucci” (fu amico del Turoldo “Spaccarosari”).
Un carrozzone definito sul profilo twitter: “Centro per lo studio scientifico della Sacra Scrittura e per la sua divulgazione a livello popolare”. Certamente è un tendone originale, come si apprende rigorosamente dal sito: «L'originalità del Centro Studi Biblici è che lo studio, rigorosamente scientifico, del testo biblico viene poi comunicato con un linguaggio accessibile a tutti. Questo orientamento è stato voluto per cercare di colmare il divario esistente tra il grande fermento nel campo degli studi biblici e la scarsa divulgazione degli stessi a livello popolare». Varrebbe forse la pena di chiedersi perché questo divario. Forse perché certi “fermenti” magari non sono propriamente lievito e la pasta è seccata nel 1968, e tanti cattolici non provano godimenti psicolibidinali nel vedere preti presentarsi con una polo sbiadita al posto della talare? Ma questa è una mia riflessione poco scientifica.
Il gioco, invece, è scientificamente talmente ben orchestrato da mandare in confusione chiunque, tanto che è difficile capire fino in fondo quanto questi divulgatori popolari “ci siano” e quanto “ci facciano”.
Tuttavia qualche cosa la riesco a dedurre anche io. Ovviamente non sono preparato per contestare un’equipe di scienziati, ma dato che i seguaci di padre Maggi, come testimoni di Geova, mi portano notiziari parrocchiali in casa senza che li richieda, né che li paghi. E, dato che viviamo in una società che vieta l’odio e impone l’amore (nelle definizioni stabilite dai potenti), l’odio diventa un atto di libertà, perciò mi sento in dovere di esser libero.
Per esempio leggo sul notiziario della mia povera parrocchia apostata una riflessione tratta dalla per la verità immensa opera dell’illustre studioso:

«La sapienza biblica ha individuato nell’ingordigia, la bramosia di possedere, l’origine e la causa di ogni ingiustizia e di ogni male. Alla base di ogni inganno, di ogni ruberia, di ogni sopruso e violenza, di ogni tragedia e di ogni lutto, c’è sempre e soltanto il demone della cupidigia». E già l’incipit pone problemi a chiunque abbia letto non dico san Tommaso, non dico la Bibbia, non dico il libro della Genesi, ma almeno l’inizio del libro della Genesi, che il Maggi, da studioso coscienzioso sembra aver letto, tanto che prosegue: «Già nei libri dell’Antico Testamento si manifesta l’avversione del Dio di Israele verso la cupidigia che deturpa l’essere umano e la stessa creazione. L’uomo, che il creatore ha voluto come sua immagine (Gen 1,27), abbandonandosi a ogni bramosia, ha sfigurato se stesso. Chiamato ad essere il custode del giardino di Eden (Gen 2,16), lo ha devastato a causa della sua avidità, trasformando quel che doveva essere un giardino in un cimitero (“Quel luogo fu chiamato Kibrot Taavà (sepolcri d’ingordigia); perché là seppellirono il popolo che si era abbandonato all’ingordigia”, Nm 11,34)».

Questo è un paragrafo che definirei più che acroamatico, acrobatico. Ora, a parte che il libro del Siracide 2,24 dice «Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo » - e capisco che la sapienza possa non essere abbastanza colorita per lo show - la citazione di Numeri è, per esser gentili, totalmente fuori contesto, e in ogni caso non ci azzecca un fico col giardino dell’Eden, ma, soprattutto, proprio il Genesi non dice affatto quello che sostiene “il Rigoroso”:

«Il serpente era il più astuto di tutti gli animali dei campi che Dio il Signore aveva fatti. Esso disse alla donna: “Come! Dio vi ha detto di non mangiare da nessun albero del giardino?” La donna rispose al serpente: “Del frutto degli alberi del giardino ne possiamo mangiare;  ma del frutto dell'albero che è in mezzo al giardino Dio ha detto: "Non ne mangiate e non lo toccate, altrimenti morirete".  Il serpente disse alla donna: “No, non morirete affatto; ma Dio sa che nel giorno che ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male”. La donna osservò che l'albero era buono per nutrirsi, che era bello da vedere e che l'albero era desiderabile per acquistare conoscenza; prese del frutto, ne mangiò e ne diede anche a suo marito, che era con lei, ed egli ne mangiò» (Genesi 3 1,6).

Dunque non è una questione di economia distributiva e di ingiustizie sociali, ma di peccati di superbia contro Dio e la sua Legge, proprio quella Legge che certi biblisti vorrebbero abolire. Ma niente, lo scienziato acrobata è in trans agonistica da prestazione e continua: «Mentre i rabbini distinguevano tra la mammona menzognera e quella verace, per Gesù la ricchezza è sempre disonesta, acquisita in maniera ingiusta». Incurante del fatto che questa affermazione non sia vera poi il divulgatore continua: «È significativo a questo riguardo che Gesù, rispondendo al ricco che gli chiedeva quali comandamenti osservare per ottenere la vita eterna, omette i primi tre, gli obblighi verso Dio, che erano i più importanti, ed esclusivi di Israele, e gli elenca cinque comandamenti che sono validi per ogni uomo, ebreo o pagano, credente o no, e che riguardano basilari atteggiamenti di giustizia nei confronti del prossimo (“non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre” Mc 10, 25). Ma tra i cinque comandamenti elencati, Gesù, con abile mossa, inserisce anche “Non frodare”, richiamandosi a un precetto contenuto nel libro del Deuteronomio […] Gesù è esplicito: il suo interlocutore è ricco e, se è ricco, certamente alla base delle sue ricchezze c’è stato l’inganno, la frode a scapito dei poveri».
No, caro Maggi, l’abile mossa l’ha fatta lei.
Capo primo: i comandamenti sono ancora validi, compresi i primi tre, dati per acquisiti, quindi non dica “erano” (“omette” ed “elenca” pres. stridono con “erano” imp.), perché nessuno li ha modificati (a cominciare da Gesù), né lo può fare lei. In secondo luogo, è difficile per un ricco entrare nel regno dei Cieli perché la sua ricchezza gli è ostacolo, zavorra, non perché la ricchezza sia sempre acquisita in maniera colpevole, peccaminosa, il testo non dice così. Perciò padre Maggi è uno scienziato mentitore, perché conosce il testo e lo manovra. Ama la menzogna, infatti, altrove in un video dice: “Per amore della dottrina e della verità si nuoce all’uomo”, facendo passare i cattolici per Farisei e dei più biechi. Ma la Verità è Gesù. E il primo e più importante comandamento è «Tu amerai dunque il Signore, il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima tua e con tutte le tue forze» (Deuteronomio 6,5 et al.), confermato da Cristo: «Il primo è: "Ascolta, Israele: Il Signore, nostro Dio, è l'unico Signore.  Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la mente tua, e con tutta la forza tua"» (Mc 12, 29-30). Chi ama la Verità non può nuocere. Nuoce se tradisce questa Verità.
Inoltre a me, forse perché non sono un alternativo, parrebbe chiaro che nel passo in questione Gesù stia parlando in primis dei sacerdoti, che, chiamati, devono lasciare tutto, madre e padre (e non portarseli dietro in canonica) ed essere poveri. Come dovrebbero essere ad esempio quelli che stanno a fare video contro i ricchi su youtube vestendo Lacoste, per giunta per condannare molto poco misericordiosamente, dimenticandosi di dire come si conclude il brano: «Ma Gesù, guardandoli, disse: “Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio”». A parte che, se uno ruba, ruba, e potrebbe anche rubare a un altro più ricco di lui e sarebbe comunque rubare, ma potrebbe anche darsi che, a conti fatti, un ricco passi per la cruna di un ago e un povero no. Ad ogni buon conto, non sta a noi fare i conti in tasca alle anime, ma la buon Dio, che non è un ragioniere.

Perché il Maggi scrive così? Cui prodest? Non datur.

Il fatto è che il Rigoroso è un illusionista, il cui metodo è fare un discorso ibrido: mescolare una cosa talmente vera da essere quasi autoevidente, con una non vera, o perché interpretata in modo viziato o addirittura inventata di sana pianta. Poi, a seconda della convenienza ermeneutica, imbastire un ragionamento, che magari fila dal punto di vista logico, per confermare o distruggere il postulato assunto arbitrariamente all’inizio della riflessione. Ora, posso sempre sbagliarmi, ma dal poco che ho letto, mi pare di aver capito che questa sia proprio una tecnica esegetica impostata scientificamente. Non si tratta nemmeno di sofismi, si tratta di vere e proprie Vangelolalìe, chiacchiere sulla Parola di Dio.

Certamente svestendo i panni dello scienziato, il Maggi presenta non poche stravaganze, fino a rasentare il delirio mitopoietico. Ad esempio viene presentato Gesù come il distruttore della religione ebraica in primo luogo, ma, alle estreme conseguenze, di ogni tipo di religione intesa come culto, e fondatore di una nuova religione, ex novo, orizzontale, come se Dio Padre non esistesse e non fosse mai esistito. Tutto quanto riguarda, o anche solo ricorda, la religione degli Israeliti, tutto ciò che è connesso al culto dovuto a Dio è inteso come vecchio, perciò va cancellato. Il Centro interpreta le parole del Salvatore “vino nuovo in otri nuovi” in senso totalizzante e non come compimento, non deve infatti più esserci nessun collegamento con la religione ebraica, che tra l’altro sarebbe una gigantesca truffa ai danni del popolo, organizzata da quel poco di buono di Mosè.
Il discorso in effetti ha un suo senso: divinità nuova - religione nuova. Matematico. Peccato che così si finisca per non capire più l’Antico Testamento (che non è Parola di Dio, ma ne conterrebbe il succo), né, di conseguenza, il Nuovo. Gesù, invece, compie l’antica Alleanza nella nuova: non servono più sacrifici rituali non perché “Dio non sa cosa farsene dei sacrifici”, ma perché Egli stesso ora è il Sacrificio perenne e il rituale è la Messa.
Ma padre Maggi - che non chiamerò fratello, come vorrebbe, perché, amando io la verità, non ritengo di avere per padre il diavolo -, ha in serbo altri curiosi numeri: ad esempio non esisterebbero i demoni, niente inferno, e il diavolo, che il Maggi chiama “il satana”, non sarebbe altro che l’immagine del potere, nella fattispecie quello religioso. Guarda caso, la Chiesa stessa è vista come un male, il peggiore. Oppure l’avversione per i santuari: Dio non agisce nei santuari, dove non è bene recarsi, ma agisce nel cameriere che porta il caffè al bar, vero santuario dove risplende la gloria di Dio. Il garzone è il nuovo sacerdote della nuova religione senza dogmi né leggi, né sacramenti. Porta il caffè. Come se fosse sufficiente esser garzoni per esser cattolici. Altra fissa è la clownificazione dei Santi Apostoli, presentati come stupidoni o personaggi in malafede, quasi non si volessero accettare le scelte di Gesù, in un senso sommesso di tacita autoconsapevolezza che, insomma, si sarebbero potute fare scelte migliori.
Insomma, per duemila anni hanno sbagliato tutti, santi e peccatori, fino alla scoperta della pietra filosofale del CVII, che ha reso luccicante ciò che prima era opaco.

In futuro presenteremo altre curiosità, per ora chi ha il fegato in ordine può provare a scoprire da sé qualcuno di questi numeri. Ma faccia attenzione, chissà che con un po’ di questa magia non ne esca sbalordito, o peggio, persuaso di essere nel paese dei balocchi.

di Matteo Donadoni
http://www.campariedemaistre.com/2017/09/le-magie-di-padre-maggi-e-opla.html

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