ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 11 settembre 2017

Quel momento è arrivato..

NON CI SERVE UN MATADOR

Non ci serve un matador ma un papa. Ieri papa Francesco a Bogotà è stato paragonato a un torero che si appresta a matar adoperando il verbo spagnolo per “uccidere”: una immagine da "papa Tex Willer" che rimette le cose a posto 
di Francesco Lamendola  

  
Ieri papa Francesco, a Bogotà, capitale della Colombia, si è recato allo stadio coperto La Macarena - sorto, inizialmente, quale arena per la corrida dei tori - per esortare il popolo di quella nazione alla riconciliazione, dopo decenni di guerra civile. Uno zelante giornalista della Tv di Stato italiana non ha esitato a paragonare il suo ingresso in quella struttura a quello di un torero che si appresta a matar – ha detto proprio così, adoperando il verbo spagnolo per “uccidere”: forse una reminiscenza di un (allora) celebre film spaghetti-western, Vamos a matar, compañeros, di Sergio Corbucci, visto in gioventù, e complice, forse, anche la passione del papa sudamericano di mettersi in testa il sombrero per la gioia dei fotografi – ciò che si oppone alla pace in quel Paese. Bella, vero, l’immagine del papa matador, del papa ammazzasette, del papa Tex Willer, che rimette le cose a posto e che, con la sua sola presenza, spaventa e mette in fuga i diavoli dell’odio e della discordia? 

Già: peccato solo che non sia un’immagine cattolica, oltre a essere un’immagine di pessimo gusto. Nel cattolicesimo c’è Uno solo che compie i miracoli, Gesù Cristo; gli altri, i fedeli, compresi i santi – e non ci risulta che Bergoglio sia stato santificato già in vita, anche se molti morirebbero dalla voglia di farlo – non si limitano che a offrirsi come docili strumenti nelle sue mani. È Lui che opera tutto; gli uomini non fanno niente, se non dirgli di sì e mettersi a sua disposizione, umilmente, silenziosamente. Chi si appaga degli applausi della folla, chi si lascia quasi adorare, con tanto di statua in chiesa, ed essere oggetto di una venerazione di sapore profano – esiste un fiorente mercato di statuette e immagini “sacre” del papa regnante, così come esiste una rivista settimanale specializzata, diciamo così, nel culto della sua personalità: s’intitola Il mio papa, e al primo numero ha “tirato” 300.000 copie – costui ha dimenticato le parole di Gesù Cristo: Non c’è servo superiore al padrone. Soprattutto, ha scordato che l’unica maniera credibile di imitare Gesù Cristo, ammesso che lo si voglia fare, è quella di prendere la via della Croce, non la via degli applausi e dei trionfi mediatici, non la via dei complimenti e dei sorrisi da parte dei peggiori nemici della Chiesa e della fede cattolica, come i radicali Marco Pannella ed Emma Bonino, quest’ultima addirittura invitata in chiesa da un sacerdote a pontificare sull’immancabile questione dell’”accoglienza” ai migranti (previa copertura del Santissimo ed espulsione dei cattolici da quel luogo sacro, perché la loro presenza non era gradita). Quando la folla di Listra, in Asia Minore, voleva adorare Paolo e Barnaba  come fossero dèi, perché Paolo aveva restituito l’uso delle gambe a un uomo paralitico fin dalla nascita, entrambi si stracciarono le vesti ed esclamarono: Cittadini, perché fate questo? Anche noi siamo esseri umani, mortali come voi, e vi predichiamo di convertirvi da queste vanità al Dio vivente che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano (Atti degli Apostoli, 14, 15).
Ma il papa Francesco, quando mai ha mostrato una simile umiltà? Quando mai ha detto: Cari fratelli e sorelle, non applauditemi, non sono una rock star; pensate piuttosto a convertirvi e a pregare il Signore? Quando mai lo si è visto inginocchiarsi, devotamente e umilmente, come tutti, davanti all’altare del Santissimo? Quando mai si è visto il papa umile, il papa semplice, il papa che si porta da sé la valigetta perfino quando sale e scende le scalette dell’aereo, e che si è pagato di tasca propria l’alloggio a Roma, all’epoca del conclave che lo avrebbe eletto pontefice dopo l’abdicazione di Benedetto XVI, mostrarsi davvero umile con chi esprimeva dei dubbi sul suo operato? Il cardinale Caffarra è morto; era già morto anche il cardinale Meisner: sono tornati a Dio due dei quattro che gli avevano presentato, rispettosamente e nelle debite forme, una lettera con i loro legittimi dubia sulla enciclica Amoris laetitia: ha forse loro risposto? Ha forse accordato loro quella udienza privata che, in alternativa, gli avevano domandato? E ha forse risposto a quei milioni e milioni di cattolici i quali, di fronte ad alcuni punti particolarmente irrituali e scioccanti di quella enciclica - specialmente quello in cui si dice (n. 303) che ciascuno è giudice della propria coscienza anche in stato di peccato, e che forse Dio non gli chiede altro da ciò che sta facendo, cioè vivere nel peccato, in quanto separato e risposato - attendevano paterni e solleciti chiarimenti? No, non ha mai risposto. Così come non ha mai dato spiegazioni sul trattamento indegno riservato dai Francescani e alle Francescane dell’Immacolata, verso i quali ha agito come se fossero dei delinquenti, o poco meno. Che cosa avevano fatto? Ammesso e non concesso che il loro fondatore avesse qualcosa di cui discolparsi, che colpe avevano tutti quei religiosi e quelle religiose? Che cosa aveva fatto meritare loro un trattamento così duro e sprezzante, così umiliante e ingeneroso? Don Scordato, a Palermo, può presentare alla santa Messa, sull’altare, due lesbiche in procinto di “sposarsi” in municipio, additandole ai fedeli come esempio di vero amore; ma i Francescani e le Francescane dell’Immacolata meritavano di essere commissariati, ingabbiati, interdetti a trasferirsi nelle diocesi per continuare il loro ministero sacerdotale, come dei lebbrosi o dei portatori di qualche altro strano, pericolosissimo morbo.
Di quale morbo si tratta? Del morbo della vera fede cattolica? Il vescovo spagnolo di Santiago, Julian Barrio, è stato lasciato libero di ordinare sacerdoti due uomini dichiaratamente omosessuali e attivi nel movimento LGBT. James Martin, un gesuita americano, può pubblicare libri e materiale in rete ove inneggia al matrimonio omosessuale e al sacerdozio omosessuale, anzi, perfino alla santità omosessuale; il suo diretto superiore, Sosa Abascal, è lasciato libero di affermare che non si sa cosa realmente Gesù abbia detto, e, per buona misura, che il diavolo non esiste, è solo una figura simbolica; monsignor Galantino è lasciato libero di dire che Dio risparmiò le città di Sodoma e Gomorra, nonostante il gravissimo peccato dei loro abitanti, contro ciò che dice esplicitamente la Bibbia; e monsignor Paglia è lasciato libero di recarsi nella sede di Radio Radicale per tenere uno sperticato elogio postumo di Marco Pannella, nel quale lo ha definito uomo di altissima spiritualità, un modello per noi tutti; e il nuovo vescovo di Ferrara,  monsignor Perego, è lasciato libero di affermare che il destino storico del nostro popolo è quello del meticciato; e un parroco della diocesi di Biella è stato lasciato libero d’invitare Emma Bonino a tenere una conferenza sull’accoglienza “dovuta” ai cosiddetti migranti, lei, la signora che fin da giovane “insegnava” alle giovani donne come procurarsi l’aborto introducendo nella vulva una pompa da bicicletta (se qualcuno avesse dei dubbi, vedere le fotografie in rete, per credere); e il papa Francesco, in prima persona, ha definito la suddetta Bonino, insieme all’ex presidente Giorgio Napolitano, una “grande” italiana del nostro tempo. Però, nello stesso tempo, don Alessandro  Minutella che predica il Vangelo, semplicemente, senza immigrazionismo, senza teologia della liberazione, senza elogi a don Lorenzo Milani, senza veglie di preghiera contro l’omofobia (cioè per “cancellare” il peccato contro natura), viene sbattuto fuori dalla sua parrocchia, senza tanti complimenti, dal suo zelante vescovo bergogliano, Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo. Quello stesso che tutti possono ammirare su internet mentre si fa un giro in sella alla bicicletta dentro la cattedrale della sua diocesi, nel presbiterio. Quello stesso che non ha ripreso né don Spadaro, né quell’altro prete di strada, don Fabrizio Fiorentino, ideatore dell’happy hour alla santa Messa, con bevute e balli finali in riva al mare. E a padre Giovani Cavalcoli viene proibito di parlare ai microfoni di Radio Maria, e vengono presi provvedimenti canonici contro di lui. E i giornalisti Gnocchi e Palmaro vengono cacciati fuori, anche loro, da Radio Maria, e sempre per lo stesso motivo: non sono allineati con il “nuovo corso” inaugurato da Bergoglio; vogliono restare cattolici. Fuori i don Minutella, fuori i padre Cavalcoli, via dalle scatole i giornalisti scomodi, nessuna risposta ai quattro (ora due) cardinali deidubia, commissariati e sequestrati in convento i Francescani e le Francescane dell’Immacolta – seppelliti, per di più, sotto montagne di fango mediatico: questa è la misericordia di papa Francesco, questa è la trasparenza del papa umile e buono, e questa è la sua maniera di ascoltare e accettare le critiche, cosa di cui si è pubblicamente vantato, in un’intervista concessa a un suo fedelissimo, il direttore de La civiltà cattolica, Mario Spadaro. Ma, da buon gesuita, aveva messo un codicillo: Accetto le critiche che fanno crescere. Si vede che i dubia dei quattro cardinali, che poi non erano critiche, ma, appunto, richieste di delucidazioni, e dietro le quali c’erano i voti e le attese trepidanti di milioni di cattolici, erano del genere che non fa crescere. Si vede che tutti quelli che si permettono di eccepire sulle inaudite, e, sovente, decisamente eretiche novità introdotte da Bergoglio, a cominciare da quel grido di guerra: Dio non è cattolico, sono critiche ingiuste e immeritevoli di qualunque risposta. Inginocchiarsi per lavare i piedi agli immigrati, specie se musulmani, quello sì; inginocchiarsi davanti alla Presenza Reale di Gesù, o semplicemente ascoltare la voce di chi vorrebbe dei chiarimenti, da chi vorrebbe capire, la voce delle pecorelle turbate, confuse, angustiate proprio da lui, il pastore al quale il Signore ha affidato il suo gregge, dai suoi atteggiamento, e da quelli di tutti i sacerdoti e i vescovi che hanno adottato il suo stile e il suo programma di “cambiamento della Chiesa”: quello, no.
Ora, ci permettiamo una domanda: di che altro c’è bisogno, cos’altro deve accadere, quale altra profanazione di Gesù Cristo, dei Sacramenti e della Chiesa cattolica deve aver luogo, perché finalmente i fedeli si rendano conto della terribile impostura che si sta ordendo ai loro danni, per trascinarli lontano dalla Verità e per spingerli verso lidi sconosciuti, verso il pianeta del relativismo e del’indifferentismo religioso, dove tutte le fedi e tutti gli dèi vanno bene per giungere alla salvezza, e dove chi si proclama cattolico, e cerca di vivere da cattolico, viene preso di mira, viene guardato di malocchio, viene sottoposto ad angherie e provvedimenti lesivi della sua libertà, della sua coscienza, della sua stessa fede? 

Non ci serve un matador, ma un papa

di Francesco Lamendola 
Dell'11 Settembre 2017
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LA PESTILENZA DELLA MODERNITA'
Proteggersi dal fiato velenoso della modernità. Una dimensione diabolica: la nostra società è percorsa da potenti energie malvagie che corrompono l’animo dei giovani. C’è una virtù che abbiamo disimparato: la prudenza
di Francesco Lamendola  

 

C’è una virtù che abbiamo disimparato e dimenticato, con grave danno per noi, e più ancora per i nostri figli: quella della prudenza. Non abbiamo capito, e non abbiamo saputo insegnare, che occorre stare in guardia contro il male; che non ci si può fidare, a cuor leggero, di tutto e di tutti, né sperimentare qualsiasi cosa; che il male esiste, e fingere di non vederlo è follia; e che esiste anche il bene, ed è verso di esso che bisogna rivolgere la propria vita, altrimenti essa sarà sempre tormentata da angosce, fallimenti, delusioni. In breve, ci siamo scordati che la vita è una lotta continua, non una passeggiata al chiaro di luna; e che bisogna prepararsi a combatterla, altrimenti si rimane vinti senza neanche aver lottato, il che è stupido, oltre che disonorevole; e che occorre trasmettere questa consapevolezza alle prossime generazioni. Invece, abbiamo fatto il contrario: ci siano fidati, con leggerezza inconcepibile, di una illusoria convinzione che tutto andrà bene, quasi che ciò non dipendesse da ciascuno di noi, dal suo personale impegno e dal suo senso di responsabilità; come se le cose debbano sempre andare per il verso giusto, e tuttavia a caso, senza uno scopo, né una logica, né  un senso: il che è assurdo. Abbiamo peccato non solo di leggerezza e d’incoscienza, ma anche di superbia e di malizia; abbiamo deriso la prudenza, schernito la saggezza. Chi ha paura delle mele marce? abbiamo domandato, con aria di scherno verso i paurosi, verso i troppo prudenti; e invece avevano ragione loro. Le mele marce infettano anche le sane, se non le si toglie dal cesto: questa è la verità, al netto della retorica buonista e progressista, secondo la quale tutti sono recuperabili, perché tutti sono fondamentalmente buoni, e se qualcuno agisce male, ciò accade sempre per colpa di qualcun altro o di qualcos’altro; e non si deve proteggere le novantanove pecore per correr dietro a quella che si è persa. Ma il buon pastore non fa così: lascia le novantanove al sicuro, e poi va a cercare quella smarrita. Sì, dobbiamo dirlo: siamo stati peggio che negligenti, nei confronti dei nostri figli: li abbiamo letteralmente mandati allo sbaraglio.



La cosa paradossale, e altamente significativa, è che, nello stesso tempo, li abbiamo cullati, vezzeggiati, viziati e iperprotetti; ma solo nelle cose secondarie, nelle cose in cui avrebbero potuto e dovuto benissimo sbrigarsela da soli. Osservate la scena in una giornata di pioggia, davanti a un liceo: vedrete la premurosa mammina che accosta con la sua grossa automobile il più vicino possibile al portone, magari intralciando le manovre delle altre automobili, affinché il suo figlioletto diciottenne, un pezzo di Marcantonio grande e grosso, possa scendere ed entrare nell’edificio senza ricevere nemmeno qualche goccia di pioggia. Potrebbe bagnarsi, potrebbe raffreddarsi, il poverino, giocatore provetto in una squadra di rugby o di pallacanestro! Ma quanto a proteggere i nostri figli da pericoli ben più gravi che qualche goccia di pioggia; quanto a metterli in guardia, premunirli contro minacce ben più pericolose, sia sul piano fisico, come le droghe, e soprattutto, sul piano spirituale, come le false dottrine e le filosofie aberranti che dilagano e penetrano nelle anime come un veleno che ne distrugge la fibra vitale a poco a poco, è lì che siamo stati trascurati; o, per meglio dire, è lì che siamo stati completamente assenti. E quante crisi esistenziali, quante depressioni, quanti suicidi o tentativi di suicidio, sono da ricondursi, in realtà, a simili deleterie influenze! La musica, per esempio: che cosa ci può essere di più innocente, per un ragazzo? E invece no; di questi tempi, e anche senza arrivare al rock apertamente satanico, quanti cantanti e gruppi musicali fanno carriera scherzando col demonio, con le forze del male, oppure, semplicemente (si fa per dire), incitando i giovani, con i testi delle loro canzoni e con tutto il loro atteggiamento, a stili di vita sbagliati, al disprezzo e all’irrisione dei genitori, del bene, della vita stessa: cattivi maestri i quali, dal palco di un concerto, incitano furiosamente al male, denigrano rabbiosamente il bene, e tutto questo in un fiume di ovazioni, di un delirio di consensi, con ragazzi e ragazze che arrivano a svenire per l’eccitazione di fronte a così sublimi esempi, a modelli tanto edificanti. Sì, è vero: è difficile, per un genitore, capire certi segnali e intervenire; pure, bisognerebbe farlo.
È pur vero che non si può vedere tutto, intervenire su tutto e, specialmente, prevenire tutto: ai tempi di internet, la cosa è impossibile.Vi è una dimensione diabolica in una tecnologia che sottrae i figli alla protezione amorevole dei genitori e li scaraventa in un mondo popolato di orrori, di sconcezze, di pericoli: e tanto basti per i cantori delle meraviglie della modernità, i quali misurano il benessere solo in termini di Pil, di allungamento della vita media e in altri simili dati, di tipo puramente ed esclusivamente materiale (senza, peraltro, mettere in conto le nuove malattie e le sempre più diffuse cause di morte legate, appunto, al cosiddetto benessere). Sia come sia, il fatto è quello, e con quello dobbiamo fare i conti: non vi sono più gli strumenti per tenere i nostri figli e nipoti lontani dai pericoli; e la società post-moderna è ritornata una foresta di lupi feroci, dove basta un attimo di distrazione perché un ragazzo si perda sena rimedio. Negli Stati Uniti, che sono assai più avanti di noi perché è da essi che è partita la pestilenza della modernità (anche se le sue radici culturali sono, ovviamente, in Europa), è ormai accertato che dietro molti suicidi inspiegabili di adolescenti e perfino di bambini, vi è l’azione occulta di un certo tipo di musica o, peggio ancora, l’azione diretta di qualche setta satanica, una realtà diffusa anche in molti centri di provincia, e così capillare che quasi tutte le autorità, insegnanti della scuola pubblica, poliziotti, amministratori locali, ne fanno parte, e quindi riescono a “silenziare” o depistare tali atroci fatti di cronaca, sviando le indagini o confondendo le carte di fronte all’opinione pubblica; e non c’è dubbio che la stessa epidemia si sta diffondendo anche nel nostro continente e nel nostro Paese. Ogni tanto, un delitto particolarmente efferato, o una scomparsa particolarmente inquietante, permettono di alzare un poco, ma appena un poco, il coperchio del pentolone infernale, e d’intravedere l’orrore che si cela al di sotto. Così è accaduto, ad esempio, nel Belgio, qualche anno fa, dove una intera rete di criminali pedofili, collegati e protetti da molte pubbliche autorità, aveva potuto agire indisturbata per anni; quello stesso Belgio dove, poi, per sviare e confondere l’opinione pubblica, venne gettato il polverone negli occhi relativo a un enorme scandalo legato alla Chiesa, e la polizia procedette all’arresto in massa dei vescovi, come si fa coi delinquenti e come si faceva nel Messico rivoluzionario o nella Spagna della guerra civile. Comunque, anche senza arrivare al rock satanico e alle sette diaboliche, è indubbio che la nostra società è percorsa da potenti energie malvagie, che corrompono l’animo dei giovani e li gettano nello sconforto e nella disperazione, anche attraverso l’uso di droghe: e i genitori sono, sovente, gli ultimi a sapere quel che stava accadendo.
Quel che possono fare i genitori, in una situazione di questo genere, non è molto; tuttavia, è sempre meglio di nulla. Primo, devono sforzarsi di dare essi stessi il buon esempio di una vita sana, onesta, laboriosa, rispettosa del prossimo, a cominciare dai rapporti familiari. Non si può predicare bene e poi razzolare male. Due genitori che litigano continuamente, e in malo modo, davanti ai figli, e che mostrano di non rispettarsi, non danno il buon esempio. Anche un genitore troppo autoritario, che reprime i figli e non li ascolta mai, oppure, all’opposto, un genitore troppo accomodante e permissivo, che concede loro qualsiasi libertà e che si limita a svolgere la funzione di bancomat, abdicando completamente alla propria funzione educativa, è un cattivo genitore. Inoltre, un genitore deve saper essere severo, senza essere autoritario: deve essere autorevole ma aperto; e deve ricordarsi sempre di far vedere ai propri figli che vuole loro bene, anche se, qualche volta, è costretto a punirli. Di fatto, la punizione è scomparsa dalla prassi e anche dal vocabolario dei genitori, specie se “moderni”, “aperti” e “progressisti”. E qui veniamo alla seconda cosa che i genitori possono ancora fare, per esercitare un’azione benefica sui loro figli, e sui giovani in generale: non sottovalutare i pericoli; non mandarli allo sbaraglio;non trasmettere loro una fiducia illusoria nelle loro possibilità. Un ragazzo è inesperto della vita: non lo si deve mettere sotto una campana di vetro, altrimenti non imparerà mai a diventare adulto; ma neppure lo si deve gettare in mezzo alle strade del mondo, perché, disarmato e ingenuo com’è, rischia di venire travolto. Occorre tenere la giusta via di mezzo, come dicevano i latini: inmedio stat virtus. E questa non è ipocrisia, non è filisteismo: è puro buon senso; una merce sempre più rara, ormai, di questi tempi. Se si lascia andare il proprio figlio all’esterno, in un Paese socialmente inquieto, a fare qualcosa di poco chiaro, per esempio a fare strane inchieste di tipo politico; oppure, semplicemente, se lo si lascia andare, da solo, a “divertirsi” in luoghi dove la vita di una persona, per non parlare di un europeo, vale ben poco, significa esporlo impreparato a dei rischi mortali. Bisogna avere il coraggio di dirgli di no, se chiede il permesso; se non lo chiede, negargli il denaro e, comunque, non stancarsi di parlare con lui, di spiegargli l’entità dei pericoli ai quali si espone. Lo stesso vale se gli si mettono in mano le chiavi di una macchina, magari potente, non appena ha compiuto diciotto anni, e lo si lascia libero di andare dove vuole, anche di notte, non si sa dove e con chi, quando ha appena imparato che cosa vuol dire guidare: è peggio di una imprudenza, è quasi una istigazione a procurarsi un incidente (e, magari, a procurarlo a qualcun altro che non c’entra nulla, e che ha la sola sfortuna d’incrociare la strada con un principiante scatenato e privi di controlli). Sappiamo che tutto questo non è facile; eppure, bisogna almeno provarci. Altrimenti, sarebbe meglio non mettere al mondo dei figli e comprare, come fanno tanti, un cane o un gatto. Ma sia chiaro che non è la stessa cosa; sia chiaro che si tratta di un ripiego per adulti immaturi e narcisisti, per padri e madri falliti prima ancora di essersi messi alla prova. Sia chiaro che comprare un cane o fare un figlio sono due cose che giacciono su piani immensamente diversi e distanti; e che, se non si ha il fegato di assumersi la maternità o la paternità, il surrogato di un animale può esserne solo la caricatura. 

Proteggersi dal fiato velenoso della modernità

di Francesco Lamendola

Del 06 Settembre 2017
continua su:
http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/scienza-e-societa/universita-e-scuola/786-la-pestilenza-della-modernita




Papa Francesco e la secolarizzazione


di Lorenzo Zuppini

Ebbene, è indubbio il fatto che la secolarizzazione, intesa come affrancamento delle istituzioni politiche dalle ingerenze della Chiesa, possa essere inserita in quell’emisfero di fede-ragione tanto voluto dall’emerito Ratzinger. Si trattava, e si tratta tutt’oggi, di un punto focale anche e soprattutto a causa dello storico confronto che la civiltà cristiana europea sta avendo con quella islamica. 
Possiamo, senza grandi timori, affermare che perseguire una sempre più marcata secolarizzazione significhi anche abbracciare il messaggio evangelico fattoci arrivare da Gesù Cristo, per cui dobbiamo dare a Dio ciò che è di Dio, e a Cesare ciò che è di Cesare. La dimensione trascendente di ogni religione, sebbene quella cristiana poggi eccezionalmente le proprie fondamenta sul binomio fede-ragione, rende ingovernabile una qualsiasi comunità se si vuol per forza fare riferimento ai suddetti dettami religiosi nella loro integralità. Questo non esclude  ̶  e non potrebbe farlo comunque  ̶  che ogni ordinamento giuridico sia stato coltivato e poi sia nato su un terreno reso fertile dalla religione che lì governa la vita spirituale dei fedeli; evidentemente stiamo parlando della religione maggioritaria, esattamente come è il cristianesimo in Italia. Sarebbe dunque falso, e persino increscioso, negare il nesso tra le leggi dello Stato e i dettami religiosi derivanti dalle scritture sacre e dalla vita del relativo profeta.

Detto ciò, è innegabile che questa peculiarità tutta nostra e consistente nella sopracitata secolarizzazione, abbia reso il nostro territorio (chiamiamolo Occidente) il più civile. Una Repubblica Islamica dell’Iran, dove gli ayatollah ricoprono un ruolo fondamentale nella guida del Paese, addirittura anche scrivendo interi libri contenenti regole vincolanti (come fece Khomeini), tende alla continua regressione perché imprigionata tra le mura di regole rigide per loro stessa natura. La presenza della ragione nella fede cristiana non deve trarci in inganno: ciò non significa che le regole religiose possono essere trasportate su un qualsiasi codice del diritto, bensì che ciò è ragionevolmente giusto evitarlo. Il Dio che si fa uomo permette la coesistenza di fede e ragione, essendo due facce della stessa medaglia la trascendenza divina e la ragione umana che si incarna in Gesù Cristo.
Non è il caso di gridare “al lupo-al lupo!”, ma è un pessimo segnale quello rappresentato dall’incontro di Papa Francesco con Paolo Gentiloni, entrambi al vertice dei loro apparati, avvenuto nell’appartamento del monsignor Angelo Becciu, sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato vaticana, così da potersi scambiare pareri in assoluta tranquillità e privacy, sebbene sia stato lo stesso monsignore a rivelare il tutto.

A detta di quest’ultimo, il Pontefice e il Presidente del Consiglio si sono scambiati le proprie opinioni per il bene comune, ed è facile immaginare quale sia stato il nocciolo della questione: immigrazione e ius soli. Il Vescovo di Roma ha una particolare predilezione per certi temi, sbandierando la carità cristiana come vessillo inattaccabile: una sorta di salvagente che nessuna onda realista, o razionalista, può far affondare. Il problema si duplica allorché lo stesso Pontefice, già dopo essersi spinto oltre, vada ancora più in là commentando sguaiatamente la scelta dell’allora candidato Trump di erigere un muro con il confinante Messico per diminuire drasticamente l’immigrazione clandestina, affermando che chi costruisce muri, anziché ponti umanitari, non è cristiano. Oltre ad essere una frase priva di contenuto, essendone ricolma la scelta di Trump, è un’ingerenza che, al pari di quella avvenuta in presenza del Presidente Gentiloni, qualunque persona di buon senso dovrebbe ripudiare. A maggior ragione se, come i fatti dimostrano, il governo italiano si sta muovendo proprio sul solco tracciato da Jorge Mario Bergoglio, e con esso anche molti parroci che evidentemente ritengono meritevole di maggior considerazione il terzomondismo di Papa Francesco del razionalismo e dell’antirelativismo di Joseph Ratzinger.
O, più semplicemente, per i pigri, Francesco attrae applausi mentre Benedetto XVI spronava alla riflessione. Questione di priorità. 
http://www.campariedemaistre.com/2017/09/papa-francesco-e-la-secolarizzazione.html

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