La storica fotografia del Signor Gentiloni e del Signor Bergoglio che hanno appena stretto un patto per la approvazione dello jus soli, è di certo la più evocativa dell’anno, insieme a quella di Macron sullo sfondo della piramide del Louvre. Evocativa per la storia della politica e per la storia tout court, ma importante anche per l’antropologia.
Infatti vi troviamo ben rappresentato da entrambi i personaggi, quel fenomeno che gli specialisti chiamano di “ricombinazione genetica”, ovvero del “il processo attraverso il quale a partire da un genotipo si ottengono nuove combinazioni di alleli rispetto a quelle iniziali”. Il fenomeno per cui a partire dai comunisti, passati per Lotta continua, si sono formate le belle persone totalmente convertite al progressismo neo liberale all’americana, con le carte in regola per occupare i posti di potere politico e mediatico. Insomma quelli del PD, dove la bandiera rossa, mutando colore a ogni stagione, è diventata bandiera arcobaleno e al popolo sono state sostituite le banche.
Una mutazione paragonabile soltanto a quella che ha portato il rettile a diventare un pennuto. Ma che ha ricevuto un impulso formidabile dalla concomitante trasformazione della chiesa conciliare ex cattolica in una agenzia di supporto alle attività socio filantropiche e ricreative di interesse geopolitico. Tale stupefacente conversione di un credo religioso fondato sulla verità rivelata in una prassi politica di servizio, non si sarebbe potuta realizzare senza la eliminazione del sacro, diventato zavorra da gettare a mare. Eliminazione cominciata presto a partire dal Concilio, e avvenuta in fretta anche attraverso lo abbattimento materiale degli altari, quindi ben prima che venissero installati da Bergoglio i gabinetti pubblici in una basilica cristiana (pardon, appena fuori, come ha precisato il vaticanista di fiducia). Infatti bisogna riconoscere che se Bergoglio è stato il manager scelto in virtù della sua efficienza e della mancanza di inibizioni per la messa in liquidazione ufficiale del cattolicesimo, di questa egli è soltanto l’utilizzatore finale secondo il ben noto canone berlusconiano.
La sinistra in evoluzione e la chiesa in rivoluzione hanno capito dunque che avrebbero potuto fare grandi cose insieme per il nuovo ordine mondiale, e infatti l’universalismo cristiano e quello comunista si chiamano ora globalizzazione obbligata, mentre la perfetta fusione tra questi organismi geneticamente modificati viene messa in scena un giorno si e uno no, dai tanti abbracci dispensati da Bergoglio a Scalfari e Bonino, a Soros e simili, fino a quello culturale riservato alla Fedeli.
L’obiettivo assegnato dall’alto è il sacrificio delle identità nazionali e del patrimonio comune di civilizzazione, sull’altare del mondialismo politico etico e culturale che deve ridurre alla insignificanza le “masse europee precarizzate”, per dirla con Diego Fusaro.
Per un progetto tanto ambizioso è stata eliminata in via preventiva ogni resistenza con la inoculazione obbligatoria del vaccino antirivolta contenuto nel culto della pace e dell’amore universale. Che costa poco ai produttori e ancora meno ai consumatori.
Se non odi nulla, neppure il male, e da nulla ti devi difendere, per coerenza devi accettare ogni nefandezza propagandata dai cantori di regime, dall’aborto alla omosessualità alla pedofilia e all’educazione genderista, e subire passivamente l’oltraggio del nemico, e l’importazione illimitata di quelle che la Boldrini chiama “le risorse”, e alla fine anche l’esproprio umanitario.
Pace e amore servono benissimo pure per disinnescare il pericolo sempre latente della rivolta delle giovani generazioni debitamente omologate, votate all’indifferentismo sessuale ed etico, e condannate all’analfabetismo in via scolastica. Tutto è orientato insomma ad eliminare senza rumore anche ogni spazio materiale di libertà, quale possa venire dal possesso di una casa o di una terra. Del resto la proprietà privata è già stata abolita con l’abolizione di fatto del furto, che né l’Arma dei carabinieri né le Procure della Repubblica si sognano di perseguire, a vantaggio delle categorie “disagiate” che lo praticano.
Così il rampollo di antica famiglia di proprietari terrieri, che in gioventù sfilava in corteo gridando “la proprietà è un furto”, oggi si trova in piena armonia con l’uomo che si vanta a buon diritto di avere conservato l’odore delle pecore, come si evince del resto anche dalle parole e dai gesti.
Entrambi possono servire al progetto di eliminare ogni residuo di sovranità territoriale dopo l’abolizione della sovranità politica nazionale.
Il nuovo diritto di espropriazione proletaria su scala collettiva è quanto lega strettamente il governo ad una chiesa che è stata capace di espropriare il popolo della sua religione millenaria, e l’inquilino di Santa Marta, dopo avere cancellato la dottrina e la morale cattolica, si accorda con i tirannelli al potere, forti di pochi studi ma di spettacolare arroganza, per chiudere anche lo spazio e fisico e morale di libertà di quella che un tempo aveva il nome di patria, perché era la terra dei padri ricevuta in eredità, difesa e pagata col sangue. E il fatto che siano gli stessi che hanno pianto lacrime strazianti per le sorti fisiche e culturali degli indigeni d’America, la dice lunga sulla volontà di prestare un ottimo servizio al disegno mondialista.
In quella fotografia è stata letta a buon diritto la intollerabile intrusione della chiesa negli affari della politica. Ma questo è alla fine un aspetto ormai secondario, di fronte alla posta in gioco. Perché quella foto ci illustra in modo suggestivo che la tenaglia si sta stringendo per cancellare un’intera storia che è anche storia cristiana e per ridurre un popolo in una nuova e perfetta schiavitù.
di Patrizia Fermani
Web. Il moderato Gentiloni sta per varare una legge iper liberticida
Lo Stato all’assalto di Internet e telefoni: grazie a Pd e M5S la nostra privacy è a rischio. Con la scusa di recepire una direttiva europea anti-terrorismo, deputati democratici e grillini hanno presentato due emendamenti liberticidi, che ora potrebbero essere approvati al Senato
di Alessandro Rico
Quello che è già successo negli Stati Uniti sta accadendo anche in Italia: con il pretesto della lotta al terrorismo lo Stato fagocita porzioni sempre più grandi delle nostre libertà civili.
La vicenda risale al mese di luglio. Nell’ambito del recepimento di una direttiva europea in materia di contrasto alle attività terroristiche, i deputati del Pd Walter Verini e Giuseppe Berretta, insieme all’onorevole Mara Mucci, grillina passata al gruppo misto, firmarono un emendamento che prevedeva l’allungamento dei tempi di conservazione di telefonate e metadati online (la cosiddetta retention) dagli attuali due a sei anni.
Un tempo sproporzionato, che contraddirebbe proprio le disposizioni Ue già vigenti, a parere del Garante della privacy Antonello Soro; un espediente per schedare i cittadini italiani, secondo Ugo Mattei, giurista dell’Università di Torino. Senza contare che più a lungo i nostri dati rimangono negli archivi, più è probabile che siano sottoposti a tentativi di hackeraggio, con enormi ripercussioni sul nostro diritto alla riservatezza. Come se non bastasse, un altro deputato piddino, Davide Baruffi, ha infilato in questa sorta di provvedimento omnibus un emendamento che sottrae ai giudici il diritto esclusivo di intervenire in forma cautelare sui contenuti del web; la competenza dovrebbe passare all’Agcom. Ma se è vero che il diavolo si nasconde nei dettagli, basta guardare poco più in profondità per rendersi conto di quanto possa essere insidioso questo emendamento: il Garante per le comunicazioni dovrebbe non solo occuparsi di rimuovere i contenuti giudicati illeciti, ma anche di impedirne la pubblicazione su altri siti. Data la mole di dati presenti sul web, l’unico modo per adempiere a questo compito sarebbe attraverso una sorta di tecnica di intercettazione di massa nota come Deep packet inspection. In pratica, un’agenzia amministrativa indipendente, senza alcun mandato da parte della magistratura, dovrebbe imbastire delle massive operazioni di pedinamento online, nascondendosi dietro la foglia di fico della protezione del diritto d’autore e del monitoraggio delle attività illecite.
Questi controversi emendamenti avevano già provocato, nei mesi scorsi, una pioggia di rimostranze. Contro le proposte approvate alla Camera si era espressa l’Associazione italiana Internet provider, segnalando il rischio di un aumento dei costi per i consumatori (più tempo si devono conservare e proteggere i dati, più le aziende devono investire risorse) e addirittura paventando l’abolizione delle «garanzie processuali per i cittadini». Ma anche la Ong europea che difende la libertà del web, la European Digital Rights di Bruxelles, aveva manifestato le proprie preoccupazioni in merito, con un comunicato sul suo sito ufficiale.
Il quadro generale appare ancora più fosco se il fatto viene letto in correlazione alla lista di 51 Organizzazioni non governative chiamate dal governo per arginare il fenomeno dei cosiddetti haters, gli utenti che su blog e social network pubblicano materiale etichettato come «omofobo», «islamofobo» o razzista. Come aveva denunciato proprio su La Verità Giorgio Gandola, nel mese di agosto il ministro della Giustizia Andrea Orlando aveva seraficamente dichiarato che questi soggetti non pubblici e non statali avrebbero dovuto costituire «efficaci contronarrative rispetto alla propaganda d’odio».
Tra le sigle interpellate per prendere parte al progetto, studiato dall’Unione europea su proposta di Italia e Germania, figurano l’Unione delle comunità islamiche italiane (sospettata di affiliazioni ideologiche ai Fratelli musulmani), la galassia gender di Arcigay, Arcilesbica e circolo Mario Mieli, i cattocomunisti della Comunità di Sant’Egidio e l’Associazione 21 luglio, Ong impegnata «nella promozione dei diritti delle comunità rom e sinti in Italia». In sostanza, questi giudici così politicamente connotati, soggetti «non pubblici e non statali», sarebbero stati incaricati dall’esecutivo a guida Pd di combattere l’hate speech, ovvero di stilare delle liste di proscrizione informatica. Se si considera che per tracciare la navigazione degli utenti di internet servirà solo il beneplacito dell’Agcom, anziché il permesso di un magistrato, si capisce come ormai siamo a pochi passi da una pervasiva censura ideologica, perpetrata con il concorso di altri ridicoli provvedimenti repressivi quali la legge Fiano.
Ma se inquieta la crociata del Partito democratico contro la libertà di pensiero, certamente non conforta la prospettiva di uno Stato guardone, che, senza alcuna motivazione d’indagine, dispone che siano conservati per sei anni gli elenchi di conversazioni telefoniche e accessi ai siti web. L’impressione è che il nostro Paese stia ricalcando le orme degli Usa, dove l’emergenza terrorismo ha dato ai governi la scusante per avviare una stagione di patenti violazioni della libertà individuale, dal Patriot Act alle operazioni di spionaggio della CIA scoperchiate da Edward Snowden. Uno scenario orwelliano, a questo punto molto difficile da scongiurare: trattandosi del recepimento di una direttiva europea (che però, è bene precisarlo, chiedeva al nostro Paese soltanto di introdurre misure adeguate alla prevenzione degli attentati), questa specie di Milleproroghe è infatti passato alla Camera praticamente senza alcuna discussione in Aula. E adesso, dopo nemmeno tre mesi, il Senato si appresta alla definitiva approvazione, che dovrebbe avvenire entro questo fine settimana. Il Leviatano è pronto ad ascoltare le vite degli altri.
Pubblicato su La Verità
di Alessandro Rico
Quello che è già successo negli Stati Uniti sta accadendo anche in Italia: con il pretesto della lotta al terrorismo lo Stato fagocita porzioni sempre più grandi delle nostre libertà civili.
La vicenda risale al mese di luglio. Nell’ambito del recepimento di una direttiva europea in materia di contrasto alle attività terroristiche, i deputati del Pd Walter Verini e Giuseppe Berretta, insieme all’onorevole Mara Mucci, grillina passata al gruppo misto, firmarono un emendamento che prevedeva l’allungamento dei tempi di conservazione di telefonate e metadati online (la cosiddetta retention) dagli attuali due a sei anni.
Un tempo sproporzionato, che contraddirebbe proprio le disposizioni Ue già vigenti, a parere del Garante della privacy Antonello Soro; un espediente per schedare i cittadini italiani, secondo Ugo Mattei, giurista dell’Università di Torino. Senza contare che più a lungo i nostri dati rimangono negli archivi, più è probabile che siano sottoposti a tentativi di hackeraggio, con enormi ripercussioni sul nostro diritto alla riservatezza. Come se non bastasse, un altro deputato piddino, Davide Baruffi, ha infilato in questa sorta di provvedimento omnibus un emendamento che sottrae ai giudici il diritto esclusivo di intervenire in forma cautelare sui contenuti del web; la competenza dovrebbe passare all’Agcom. Ma se è vero che il diavolo si nasconde nei dettagli, basta guardare poco più in profondità per rendersi conto di quanto possa essere insidioso questo emendamento: il Garante per le comunicazioni dovrebbe non solo occuparsi di rimuovere i contenuti giudicati illeciti, ma anche di impedirne la pubblicazione su altri siti. Data la mole di dati presenti sul web, l’unico modo per adempiere a questo compito sarebbe attraverso una sorta di tecnica di intercettazione di massa nota come Deep packet inspection. In pratica, un’agenzia amministrativa indipendente, senza alcun mandato da parte della magistratura, dovrebbe imbastire delle massive operazioni di pedinamento online, nascondendosi dietro la foglia di fico della protezione del diritto d’autore e del monitoraggio delle attività illecite.
Questi controversi emendamenti avevano già provocato, nei mesi scorsi, una pioggia di rimostranze. Contro le proposte approvate alla Camera si era espressa l’Associazione italiana Internet provider, segnalando il rischio di un aumento dei costi per i consumatori (più tempo si devono conservare e proteggere i dati, più le aziende devono investire risorse) e addirittura paventando l’abolizione delle «garanzie processuali per i cittadini». Ma anche la Ong europea che difende la libertà del web, la European Digital Rights di Bruxelles, aveva manifestato le proprie preoccupazioni in merito, con un comunicato sul suo sito ufficiale.
Il quadro generale appare ancora più fosco se il fatto viene letto in correlazione alla lista di 51 Organizzazioni non governative chiamate dal governo per arginare il fenomeno dei cosiddetti haters, gli utenti che su blog e social network pubblicano materiale etichettato come «omofobo», «islamofobo» o razzista. Come aveva denunciato proprio su La Verità Giorgio Gandola, nel mese di agosto il ministro della Giustizia Andrea Orlando aveva seraficamente dichiarato che questi soggetti non pubblici e non statali avrebbero dovuto costituire «efficaci contronarrative rispetto alla propaganda d’odio».
Tra le sigle interpellate per prendere parte al progetto, studiato dall’Unione europea su proposta di Italia e Germania, figurano l’Unione delle comunità islamiche italiane (sospettata di affiliazioni ideologiche ai Fratelli musulmani), la galassia gender di Arcigay, Arcilesbica e circolo Mario Mieli, i cattocomunisti della Comunità di Sant’Egidio e l’Associazione 21 luglio, Ong impegnata «nella promozione dei diritti delle comunità rom e sinti in Italia». In sostanza, questi giudici così politicamente connotati, soggetti «non pubblici e non statali», sarebbero stati incaricati dall’esecutivo a guida Pd di combattere l’hate speech, ovvero di stilare delle liste di proscrizione informatica. Se si considera che per tracciare la navigazione degli utenti di internet servirà solo il beneplacito dell’Agcom, anziché il permesso di un magistrato, si capisce come ormai siamo a pochi passi da una pervasiva censura ideologica, perpetrata con il concorso di altri ridicoli provvedimenti repressivi quali la legge Fiano.
Ma se inquieta la crociata del Partito democratico contro la libertà di pensiero, certamente non conforta la prospettiva di uno Stato guardone, che, senza alcuna motivazione d’indagine, dispone che siano conservati per sei anni gli elenchi di conversazioni telefoniche e accessi ai siti web. L’impressione è che il nostro Paese stia ricalcando le orme degli Usa, dove l’emergenza terrorismo ha dato ai governi la scusante per avviare una stagione di patenti violazioni della libertà individuale, dal Patriot Act alle operazioni di spionaggio della CIA scoperchiate da Edward Snowden. Uno scenario orwelliano, a questo punto molto difficile da scongiurare: trattandosi del recepimento di una direttiva europea (che però, è bene precisarlo, chiedeva al nostro Paese soltanto di introdurre misure adeguate alla prevenzione degli attentati), questa specie di Milleproroghe è infatti passato alla Camera praticamente senza alcuna discussione in Aula. E adesso, dopo nemmeno tre mesi, il Senato si appresta alla definitiva approvazione, che dovrebbe avvenire entro questo fine settimana. Il Leviatano è pronto ad ascoltare le vite degli altri.
Pubblicato su La Verità
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.