TRA FATIMA E LE SCRITTURE
La visione dell'Inferno mette in moto la preghiera
Stando al resoconto di Lucia, il 13 luglio 2017 a Fatima la
Madonna mostrò ai veggenti «un grande mare di fuoco, che sembrava stare sotto
terra. Immersi in quel fuoco, i demoni e le anime, come se fossero braci
trasparenti e nere o bronzee, con forma umana che fluttuavano nell’incendio,
portate dalle fiamme che uscivano da loro stesse insieme a nuvole di fumo,
cadendo da tutte le parti simili al cadere delle scintille nei grandi incendi,
senza peso né equilibrio, tra grida e gemiti di dolore e disperazione che
mettevano orrore e facevano tremare dalla paura. I demoni si riconoscevano
dalle forme orribili e ributtanti di animali spaventosi e sconosciuti, ma
trasparenti e neri» (Suor Lucia Dos Santos, IV Memoria: EV 19/987).
QUALE VISIONE DELL’INFERNO E COME MAI?
Il card. Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per
la Dottrina della Fede, precisava che non si poteva pensare a una visione
dell’al di là «nella sua pura essenzialità», anzi il veggente «vede con le sue
possibilità concrete (...), è essenzialmente compartecipe del formarsi, come
immagine, di ciò che appare» (Commento teologico del 26.6.2000: EV
19/1010-1011). Dunque si trattò di un “sacramento/immagine” dell’inferno, né la
Madonna abolì il fatto che «Adesso noi vediamo in modo confuso come in uno
specchio (per speculum in aenigmate)» (1Cor 13,12). Tuttavia, se per il
paradiso l’immagine è meno bella della realtà, per l’inferno la realtà è più
terribile dell’immagine!
Anche se la Madonna per ben due volte pose i veggenti in una
luce “paradisiaca”, nella quale vedevano se stessi in Dio, l’immagine
dell’inferno colpì e colpisce di più. Di certo la Madonna non ricorse a
“effetti speciali” per stupire: c’era una ragione pastorale, che interpella
ancora oggi l’evangelizzazione. Per cui lasciamo Fatima in sottofondo e
guardiamo all’inferno come semplici cristiani, applicando a Fatima la formula
di uno studioso della Sindone: «Non credo nella Sindone, ma la Sindone mi aiuta
a credere». Così Fatima sull’inferno.
LA CORRETTEZZA SCRITTURISTICA E DELLA FEDE
L’immagine principale della visione dell’inferno descritta
da Lucia è il fuoco, causa di sofferenza per coloro che vi sono immersi. Ed è
l’immagine dell’inferno biblico a partire dal libro del profeta Isaia, che si
chiude con il popolo rinnovato che renderà culto al Signore. Costoro tuttavia
in una valle presso Gerusalemme «vedranno i cadaveri degli uomini che si sono
ribellati contro di me; poiché il loro verme non morirà, il loro fuoco non si
spegnerà e saranno un abominio per tutti» (Is 66,24). È la valle della Geenna,
che Gesù spesso indica come punizione definitiva in molti passi e per evitare
la quale conviene perdere un occhio, una mano, un piede, la vita stessa di
questo mondo (Mt 5,29-30; 10,28; 18,9; 23,33; Mc 9,45.47; Lc 12,5). Altre volte
la Geenna è esplicitamente associata al fuoco: «il fuoco della Geenna» (Mt
5,22; 9,43; 18,9); altre volte si parla semplicemente di fuoco e fornace
ardente (2Ts 1,7-8; Mt 13,50) sino alla confessione del ricco: «soffro
terribilmente in questa fiamma» (Lc 16,24). Non sembra di leggere il resoconto
di Lucia riportato all’inizio?
Sempre sulla bocca di Gesù, altre immagini negative e di
dolore affiancano il fuoco relativamente all’esito di una vita vissuta e
conclusa male: il pianto e lo stridore di denti nella fornace ardente o nelle
tenebre (Mt 8,12; 13,42.50; 22,13; 24,51; 25,30; Lc 13,28; 2Pt 2,17).
La dichiarazione di Abramo al ricco negli inferi - «tra noi
e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da
voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi» (Lc 16,26) - esplicita
che si tratta di una situazione irreversibile e introduce la categoria di
eternità: il fuoco è eterno (Mt 18,8; 25,41; Gd 1,7) come il verme che non
muore (Mc 9,48); le tenebre sono eterne (Gd 1,13); il supplizio è eterno (Mt
25,46) ed è una seconda morte nello stagno ardente di fuoco e zolfo (Ap 2,11;
20,6.14; 21,8).
Questo possibile esito negativo ed eterno della vita
compromette la stessa risurrezione dei morti, che per la prima volta in Dn 12,2
è duplice: «Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si
risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per
l’infamia eterna». Parole riprese e radicalizzate da Gesù - «viene l’ora in cui
tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti
fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una
risurrezione di condanna» (Gv 5,28-29) -, riportate nel CCC 998 e - chi oserebbe
ricordarlo? - anche dal Vaticano II in Lumen gentium n. 48.
In sintesi: «La Chiesa nel suo insegnamento afferma
l’esistenza dell’inferno e la sua eternità (...). La pena principale
dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto
l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato» (CCC 1035).
QUI NON C’È ANCORA L’INFERNO O IL PARADISO, MA LE DUE VIE
«Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e
spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi
entrano» (Mt 7,13; Lc 13,24). Ecco il tema evangelico delle “due vie”. Poiché
quaggiù non esiste né paradiso né inferno, ma un “cammino verso” l’uno o
l’altro, è decisivo camminare verso il paradiso e non verso l’inferno.
La “via che conduce alla perdizione” è descritta dal NT con
una varietà di prospettive, ad esempio gli elenchi di vizi o peccati in san
Paolo (Rm 1,26-32; 13,13; 1Cor 5,10-11; 2Cor 12,20; Ef 4,31; Col 3,5-8; 1Tm
1,8-11; 6,4-5; 2Tm 3,1-5; Tt 3,3) e specialmente quando l’elenco termina con
l’affermazione che quanti si comportano così non erediteranno il regno di Dio
(1Cor 6,9-10; Gal 5,19-21; Ef 5,3-5), ma anche altrove (Mt 15,19; 1Pt 4,3; Ap
21,8; 22,15). In sintesi e a prescindere dal raro peccato contro Dio allo stato
puro, tutti i testi sulla via di perdizione sono collocabili in tre grandi
categorie.
- La “via” di un cattivo rapporto con il prossimo: cf il
giudizio finale di Cristo in Mt 25,31-46 (ho avuto fame e non mi avete dato da
mangiare...), la cena di Corinto che umilia «chi non ha niente» (1Cor
11,20-22), il ricco epulone insensibile al povero Lazzaro (Lc 16,19,31) e tante
espressioni nei cataloghi paolini dei vizi: ingiusti, calunniatori, rapinatori,
facitori di fazioni e di liti, ribelli ai genitori, invidiosi, senza
misericordia ecc.
- La “via” del tornare indietro dalla fede: «Quando qualcuno
ha violato la legge di Mosè, viene messo a morte senza pietà sulla parola di
due o tre testimoni. Di quanto peggiore castigo pensate che sarà giudicato
meritevole chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel sangue
dell’alleanza, dal quale è stato santificato, e avrà disprezzato lo Spirito
della grazia? (...) È terribile cadere nelle mani del Dio vivente!» (Eb
10,28-29.31; cf anche 1Gv 5,16). Dunque camminano “oggettivamente” verso
l’inferno coloro che allegramente dichiarano di aver perso la fede, poiché Dio
«non abbandona se non è abbandonato (non deserens, nisi desereatur)» (Vaticano
I, Dei Filius, cap. 3: Dz 3014).
- La “via” dei peccati della carne, di una vita affettiva
sregolata o irregolare. Se le tante testimonianze della tradizione cristiana
(ultima anche di Giacinta tra i veggenti di Fatima) sono giudicate
“bacchettone”, non si potrà cancellare il NT che pone su questa strada
immorali, impuri, adulteri, depravati, uomini e donne che “si desiderano” (e si
praticano) nello stesso sesso, dediti all’ubriachezza, ai bagordi, alle orge
ecc. (cf i citati elenchi dei vizi).
SCENDIAMO AL PRATICO
«Dio non predestina nessuno ad andare all’inferno» (CCC
1037), per cui inferno/paradiso, dannazione/salvezza non sono alla pari. Dio ha
rivelato un unico mistero della sua volontà: che tutti si salvino e giungano al
Padre per Cristo nello Spirito partecipando alla natura divina (1Tm 2,4; Ef
1,9; 2,18; 2Pt 1,4: DV 2). L’inferno è causato dal nostro rifiuto. Naturalmente
il giudizio sulle persone - qui e nell’al di là - va lasciato «alla giustizia e
alla misericordia di Dio», anche se «possiamo giudicare che un atto è in sé una
colpa grave» (CCC 1861).
È a questo punto che risultano chiare alcune indicazioni di
condotta pastorale e personale.
Non si tratta di giudicare/condannare le persone, ma di
mantenere dei chiari indicatori su che cosa è peccato e quali sono le “vie di
perdizione”, evitando di mantenere solo la prima e di tacere sulle altre due,
cioè di mandare all’inferno solo i mafiosi e gli scafisti (prima via), tacendo
su chi ha perso la fede (seconda via) e magari invitandolo a parlare ai
credenti, o ammorbidendo i paletti della morale sessuale (terza via).
La menzione della possibilità dell’inferno appartiene alla
corretta comprensione del buon annuncio, che non può essere limitato alle
realtà positive: la grazia, far maturare i semi del Verbo, raggiungere la
maturità e felicità piene ecc., senza precisare che oltre a ciò non si dà una
zona neutra, ma semplicemente la perdita della salvezza totale (adeguatamente
proposta).
Le parole delle Scritture e della Chiesa sull’inferno sono
«un appello alla responsabilità» (CCC 1036) e alla dignità umana: Dio ha posto
la vita veramente nelle nostre mani. Sono anche parole che svelano l’amore di
Dio, perché è chiaro che Gesù parla dell’inferno solo per preservarci dal
caderci dentro. E così la Chiesa. E così la Madonna a Fatima.
Certo un discorso del genere può causare una contrizione che
nasce «dal timore della dannazione eterna», ma anche questo è «un dono di Dio,
un impulso dello Spirito Santo» e spinge verso una «evoluzione interiore che
sarà portata a compimento, sotto l’azione della grazia, dall’assoluzione
sacramentale» (CCC 1453). Se il timore spinge a compire azioni buone e sante,
queste adagio adagio trasformeranno il timore in un rapporto di amore verso
Dio.
TORNIAMO A FATIMA
Mostrata l’immagine dell’inferno, la Madonna invitò i tre
bambini a pregare aggiungendo alla fine di ogni decina del Rosario la famosa
richiesta: «Gesù mio... liberateci dal fuoco dell’inferno. Portate in cielo
tutte le anime, specialmente le più bisognose della vostra misericordia». In
una lettera del 18.5.1941, Lucia precisò che «la Madonna si riferiva alle anime
che si trovano in maggior pericolo di dannazione».
Altro che paura! La visione dell’inferno mette in moto la
preghiera, l’intercessione, la solidarietà verso i peccatori. Se dessimo
fiducia alla Madonna, anche questo dovrebbe rientrare nella “nuova
evangelizzazione”.
È una preghiera dolcissima ma anche molto tradizionale. La
prima preghiera eucaristica o canone romano chiese per secoli e chiede ancora
oggi: «Ab aeterna damnatione nos eripe / Salvaci dalla dannazione eterna». E
poi Gd 22-23 esorta: «siate misericordiosi verso quelli che sono indecisi e
salvateli strappandoli dal fuoco». To’, la Madonna, che sembrerebbe limitata a
formule devozionali, parla quasi come le Scritture. Chi l’avrebbe mai detto?
P.S.
Parecchie citazioni Scritturistiche sono state solo
indicate. Ma se qualcuno avrà la pazienza di andare a leggersele per esteso,
farà una “lectio divina”... ma di quelle!
Riccardo Barile
http://www.lanuovabq.it/it/la-visione-dellinferno-mette-in-moto-la-preghiera
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