ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 29 agosto 2017

La coerenza bergogliana in tutta la faccenda


È cambiato il clima anche in Vaticano
Agosto 28, 2017 Giuliano Ferrara
Dietro sta la tentazione, che a me laico sembra umana troppo umana, in specie per una Chiesa cattolica, di accettare il fatto compiuto del controllo delle nascite via aborto


Il primo novembre si terrà in Vaticano uno strano convegno sul mutamento climatico. Lo ha convocato l’Accademia Pontificia delle Scienze, guidata da Sua Eccellenza Marcelo Sanchez Sorondo. Secondo l’agenzia Katholische Nachrichten tra i relatori sono invitati alcuni dei più ferventi sostenitori di aggressive campagne per l’aborto e per il controllo delle nascite: John Schellnhuber è un climatologo che vorrebbe ridurre il numero degli umani, ma c’è Partha Dasgupta, economista che sostiene il controllo pianificato delle nascite e difende le politiche demografiche antinataliste della Cina, c’è Jeffrey Sachs, che considera l’aborto un mezzo legittimo per ridurre la popolazione del pianeta, un rischio minore, un mezzo meno costoso di altri, e ci sono dall’America Scott Peters, Kevin de León e Jerry Brown, tutti adepti della famosa organizzazione antinatalista internazionale Planned Parenthood. Complimenti, eccellenza Sorondo.

Ma pur sempre un ministro..

Corifeo, maggiordomo e clavigero

La liturgia della XXI domenica per annum (anno A) offre un’occasione preziosa per riflettere sul ruolo di Pietro e dei suoi successori nella Chiesa. Vorrei riprendere e approfondire alcuni punti da me solo accennati — come è giusto che sia in un’omelia — durante la Messa di ieri. Sulla base dei testi biblici ripresi dalla liturgia, si potrebbe compendiare il ministero petrino in tre aspetti: corifèo,maggiordomo e clavígero. Senza voler in alcun modo mettere in discussione i tradizionali attributi del Papa (Vicario di Cristo, Successore di Pietro, Sommo Pontefice della Chiesa universale, ecc.), penso che un approccio diverso, fondato sulle Scritture, oltre ad aiutarci a comprendere meglio il ruolo di Pietro, potrebbe avere anche una qualche utilità ecumenica.



I tempi sono cambiati


Dare anime a Dio. La lezione di padre Domenico Barberi

    Il 27 agosto, oltre a santa Monica, la mamma di sant’Agostino, la Chiesa cattolica ha ricordato Domenico Della Madre di Dio, al secolo Domenico Barberi, il passionista italiano che accolse nella fede cattolica John Henry Newman.
Morto a Reading nel 1849 e beatificato da Paolo VI nel 1963, Barberi non è molto noto, eppure la sua figura merita di essere conosciuta per più aspetti.
«Ogni santo – scrive sul “Catholic Herald” don Alexander Lucie-Smith – ha qualcosa da insegnarci, e il beato Domenico non fa eccezione». Newman lo definì un meraviglioso missionario e un predicatore pieno di zelo, un religioso che portò alla conversione innumerevoli anime.

Gesto grottescamente ciellinapocalittico.

Che resta, a futura memoria, del Meeting di Cl dell’anno 2017? Un tragicomico video.

Confronto Giorgio Vittadini – Don Giussani, con interventi postumi di Giorgio Gaber Qui
http://www.lamadredellachiesa.it/che-resta-a-futura-memoria-del-meeting-di-cl-dellanno-2017-un-tragicomico-video/

CL: hegelismo al capolinea


Il 23 agosto scorso ho avuto modo di partecipare al Meeting dei Popoli a Rimini. Un'occasione interessante, anche per l'opportunità di toccare con mano l'inarrestabile declino di CL o almeno delle sue gerarchie.
Parlo da persona esterna al movimento eppur interessata alla proposta di fede e cultura da esso incarnata.
Già l'anno scorso mi aveva profondamente stupito il discorso di don Carron, specialmente per la nonchalance con cui andava strumentalizzando frasi del fondatore, Giussani, allo scopo di imporre un new deal scandito dai mantra retorici dei muri da abbattere e dei ponti da costruire. Praticamente un Anti-Giussani di gusto grottescamente ciellinapocalittico.

Puellae saltanti, et puero*


 Il Battista, difendere la verità senza compromessi
San Giovanni diede la sua vita per Cristo, anche se non gli fu ingiunto di rinnegare Gesù Cristo. Infatti, a lui fu ingiunto solo di tacere la verità. «Proprio per l’amore alla verità», proseguì Benedetto XVI, «non scese a compromessi e non ebbe timore di rivolgere parole forti a chi aveva smarrito la strada di Dio»


Il 29 agosto la Chiesa festeggia il Martirio di San Giovanni Battista, l’unico santo del quale si celebra, nel Calendario romano, sia la nascita, il 24 giugno, sia la morte, avvenuta per decapitazione su ordine di Erode. Questa singolare circostanza attesta come quel santo, che la tradizione greca chiama il Precursore (ο Πρόδρομος), rappresenti una delle figure più alte dell'intera storia della salvezza, del vecchio e del nuovo testamento. Non a caso fu definito da nostro Signore Gesù Cristo come «maior inter natos mulierum» (Lc 7, 28).
Il Battista è il primo martire ucciso per aver proclamato la Verità circa l’indissolubilità del matrimonio. 

Un rito romano unificato ?


Liturgia. La controrelazione del cardinale Sarah       



Chiaramente non è farina del suo sacco il discorso che papa Francesco ha letto il 25 agosto ai partecipanti alla settimana annuale del Centro di Azione Liturgica italiano. Un discorso ricco di riferimenti storici, di citazioni dotte con le rispettive note, su una materia che egli non ha mai padroneggiato.
In esso però è facile cogliere dei silenzi e delle parole che riflettono molto bene il suo pensiero.
Ciò che più ha fatto notizia è stata questa sua dichiarazione solenne, a proposito della riforma liturgica avviata dal Concilio Vaticano II:
"Possiamo affermare con sicurezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile".
La dichiarazione è stata interpretata dai più come un altolà intimato da papa Francesco alla presunta retromarcia avviata da Benedetto XVI col motu proprio "Summorum pontificum" del 2007, che restituiva piena cittadinanza anche alla forma preconciliare della messa in rito romano, consentendone la libera celebrazione, come seconda forma "extraordinaria" del medesimo rito.

L'abdicazione della Chiesa


UNA CHIESA ERETICA

Se la Chiesa non combatte più l’eresia si condanna a diventare eretica. La folle teoria secondo la quale bisogna abbattere ogni muro e gettare solo ponti è il momento d’arrivo di questo autentico suicidio della dottrina di Francesco Lamendola  

  
È chiaro che il discorso, di questi tempi – tempi di buonismo, di permissivismo e di relativismo – non piace, né potrebbe piacere: ma la verità è che la Chiesa ha difeso i depositi della fede sia con la santità di una parte dei suoi membri, sia con la fedeltà al Magistero, e di questo alla Rivelazione, dei suoi fedeli, a cominciare dagli intellettuali; sia, infine con l’attenta sorveglianza sulle tendenze ereticali, che ha prontamente combattuto, in parte con la predicazione, per ristabilire la vera dottrina, e in parte con la repressione, per eliminare le mele marce e impedire che infettassero anche quelle sane. Se la Chiesa, in passato, avesse lasciato correre; se avesse tollerato che dottrine retiche si diffondessero al suo interno, e le corrompessero l’insegnamento, noi, oggi, non avremmo più il cattolicesimo, quale ci è stato tramandato nel corso dei secoli, ma avremmo, al suo posto, un’altra cosa: che potrebbe ancora chiamarsi a quel mondo, ed essere professato da una sedicente chiesa, ma sarebbe, invece, ben lontano dalle autentiche radici. Ora, è chiaro che una dottrina si tramanda in virtù della fede, della speranza e della carità dei suoi seguaci; ed è chiaro che, senza l’intervento e l’ispirazione divina, la Chiesa non sarebbe durata duemila anni, e non avrebbe potuto assolvere il suo compito, quello di custodire e diffondere l’insegnamento di Gesù.

Essere “meno cattolici”

Nella stupida guerra delle statue ora ci si mettono i cattolici
I cattolici eccellono praticamente in tutto: quando smarriscono il senso di se stessi, persino nell’autolesionismo. Ne è esempio imbarazzante il III capitolo della “guerra delle statue” in corso negli Stati Uniti. Ora a rimuovere i segni della propria identità ci si sono messi loro. È successo in California nella San Domenico School.

“ Tutto fa credere ”?

Il sì a Medjugorje del delegato papale crea un bel problema in Vaticano

"Apparizioni approvate entro l'anno". I dubbi di Francesco


Roma. “Tutto fa credere che le apparizioni saranno riconosciute, forse entro la fine di quest’anno”. Le apparizioni in questione sono quelle della Madonna a Medjugorje che ininterrottamente procedono dal 1981, e a parlare così a un’agenzia cattolica polacca è stato l’arcivescovo Henryk Hoser, l’inviato speciale che Francesco ha mandato lo scorso inverno in Bosnia con compiti “esclusivamente pastorali”. Ed è questo il primo punto rilevante: come aveva fatto sapere la Santa Sede a febbraio – e come aveva sottolineato più volte lo stesso prelato – la missione di mons. Hoser aveva lo scopo di acquisire più approfondite conoscenze della situazione pastorale di quella realtà e soprattutto delle esigenze dei fedeli che vi giungono in pellegrinaggio”. Niente a che vedere con le apparizioni, anche perché sul delicato tema da anni ormai il Papa ha in mano la corposa relazione preparata dalla commissione speciale guidata dal cardinale Camillo Ruini che, dopo aver studiato la storia delle presunte apparizioni e aver ascoltato diversi testimoni, ha concluso che un giudizio positivo può essere dato sulle primissime apparizioni, mentre sul resto è meglio soprassedere, anche perché formalmente ancora in corso.

lunedì 28 agosto 2017

La strategia aziendale di Bergoglio


L'AMMINISTRATORE DELEGATO          
                      
Non ci serve un papa che pensa da amministratore, ma un papa che custodisce la fede. La cosa che gli sta maggiormente a cuore è far sì che l’azienda resti competitiva, frutti utili, vale a dire che non perda quote di mercato? 
di Francesco Lamendola  


 
  
Una possibile chiave di lettura del “caso Bergoglio”, cioè di un papa che non si mostra affatto preoccupato di difendere il deposito della fede, anzi, si circonda di amici che l’hanno sempre avversata, e che infligge egli stesso, in continuazione, colpi di maglio a ciò che sta maggiormente a cuore al credente, generando confusione, smarrimento, angoscia, fra milioni e milioni di cattolici, è quella data, circa anno fa, dal giornalista Stefano Lorenzetto sul giornale informatico La Fede quotidiana (21 ottobre 2016):

Non è vero, come sostiene qualcuno, che il papa su alcuni temi come la sessualità faccia fughe in avanti o taccia. Anzi, leggendo le sue recenti dichiarazioni, è persino un restauratore ed ha usato espressioni anche più forti dei suoi predecessori. Piuttosto, e qui arrivo al punto della difesa dei principi non negoziabili, ritengo che il papa abbia scelto consapevolmente di non porli al centro della sua agenda per scelta, in quanto essi sono divisivi. Bergoglio non è sicuramente immune dalla ricerca del consenso e molte volta fa il piacione, però pensa da amministratore delegato della Chiesa con le sue strategie. Ritiene che insistendo sui valori non negoziabili, che spaccano, non avvicina i lontani ben sapendo che i fedeli, dal canto loro, non andranno via. In sintesi, ritiene di scegliere strategie che mirano ad avvicinare alla Chiesa chi non crede.

“Lente d’ingrandimento”

Riparazione


Dai messaggi di Nostra Signora apprendiamo il ruolo decisivo di tanti aspetti oggi trascurati della vita cristiana e che invece vanno riaffermati, rispolverati, riscoperti, rivissuti: l’Eucaristia, il Santo Rosario, la preghiera del cuore, i Sacramenti tra cui soprattutto la Confessione, la partecipazione frequente e attiva alla Santa Messa, il valore e la necessità della riparazione, il sacrificio e la penitenza per purificarsi ed espiare i propri altrui peccati…

La Fede prima del capovolgimento

I Novissimi, più nuovi del nuovo 

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Un’amica mi sconsiglia, m’invita a lasciar perdere. «Che t’importa, dai…». Aggiunge, non senza un po’ di logica: «Con il vento che tira, se qualcuno ti definisce cattolico va a finire che lo quereli per diffamazione, no?». Tuttavia, nel marasma generale, sento necessario ogni contributo alla chiarezza. E siccome gira voce (infondata e smentita, anche da molte visioni) che l’Inferno sia vuoto, che il Purgatorio attenda soltanto il direttore Deotto e me, che il Paradiso sia più affollato delle spiagge a Ferragosto e ci si possa imbattere in Martini (il quasipapa) che sbevazza aperitivi con Nietzsche e Freud, che il Limbo non esista, che l’Estrema Unzione non valga più come estrema, che le Messe di suffragio risuonino superflue e infatti sono diventate un’ammucchiata nominativa, che… che… che… Insomma, il pezzo è facile, esplicativo; non ho che da copiare da un foglio ingiallito addormentato qui sullo scrittoio. Attenzione: contiene materiale scottante, attualmente classificato “Top Secret”.

Come sempre in malafede?

Summorum Pontificum. Si radunano gli avvoltoi?


Avete presente quando abbiamo denunciato che si era in procinto di scagliare un attacco al Summorum PontificumMolti non ci credevano. Possibile che si arrivi a tanto? Ebbene siori e siore, il menù di oggi propone proprio questo. L’ora X è scattata, l’assalto finale, l’ultima spiaggia degli ottuagenari per sentirsi vincenti.

Il segnale lo ha lanciato Bergoglio, durante un discorso alla settimana liturgica nazionale. “La riforma liturgica è irreversibile”, dice il Papa, anzi va portata a termine. Dunque quella che è universalmente percepita come una riforma fallimentare che ha allontanato i cattolici dalla Messa diventa “irreversibile” e non si può proprio ridiscuterne i canoni. Eh no amici miei, ha dato “frutti indiscutibilmente benefici”. Lo si afferma con “autorità magisteriale”. Se i fatti contraddicono la teoria, tanto peggio per i fatti. O no?

Esiste dunque la verità


IL FASCINO DELLA LIBERTA'

Il fascino indistinto della libertà. L’idolatria richiama l’adorazione esaltata il fanatismo, l’ammirazione sfrenata per qualcosa che non è degno, un idolo, un feticcio, un semplice simulacro, qualcosa di falso e di ingannevole 
di Roberto Pecchioli  


Il viandante stremato che percorre un’interminabile pista assolata nel deserto si sorprende del ristoro inatteso offerto da una fontana e da un albero ombroso scorti all’improvviso. Questo ci è capitato, navigando su siti di informazione, alla lettura di un ampio resoconto dell’omelia pronunciata dal vescovo di San Sebastiàn, monsignor Josè Ignacio Munilla, pubblicata su uno dei maggiori quotidiani spagnoli, il monarchico ABC.  Il titolo è l’esatto incipit del discorso: “Considero un paradosso idolatrare la libertà in un mondo pieno di gente con dipendenze.” La traduzione italiana “persona con dipendenza” non restituisce nella nostra lingua la pregnanza del termine “adicto”, l’aggettivo che in castigliano designa la condizione di chi è sottomesso a uno stile di vita, una condotta, un prodotto o una pulsione che si è impadronita di lui, e di cui non è in grado di liberarsi. Il più classico esempio è quello del tossicodipendente (drogadicto, in spagnolo), o dell’alcolista.
Sembra paradossale denunciare una dipendenza dalla libertà, ma il prelato basco ha colto nel segno. E’ davvero incomprensibile, ha affermato Munilla ai suoi fedeli il giorno dell’Assunzione, 15 agosto, ormai per tutti solo ferragosto, culmine e simbolo delle ferie e delle vacanze, che sia idolatrata la libertà proprio da coloro che sono dipendenti da qualcosa, ovvero sono schiavi. Schiavi è vocabolo forte, che costringe a riflettere, una scossa che proviene, finalmente, da un eminente uomo di chiesa. Le parole hanno sempre un peso quando fioriscono sulle labbra di uomini abituati a sceglierle con cura. Ecco perché sorprende l’uso dell’altra parola forte con cui il presule ha introdotto la sua riflessione dal pulpito, idolatria.

Passo dopo passo..

USA: SCUOLA CATTOLICA RIMUOVE LE STATUE RELIGIOSE – MADONNA E BAMBINO INCLUSI – PER ESSERE PIÙ “INCLUSIVA”.
Una scuola cattolica negli Stati Uniti ha deciso di rimuovere tutte le statue religiose, e anche icone e immagini di minor grandezza, così da diventare più inclusiva. Naturalmente un gesto del genere ha provocato reazioni da parte di alcuni genitori cattolici. Gli oggetti rimossi sono stati messi in un deposito. La notizia è stata data dal Marin Independent Journal. La scuola interessata è un istituto domenicano, intitolato a San Domenico.
Shannon Fitzpatrick ha scritto una mail al Comitato direttivo della scuola: “Articolare un fondamento inclusivo – ha scritto – appare con il significato di lasciar cadere oltre 167 anni di tradizione di San Domenico come scuola cattolica e di avere paura, e di vergognarsi di celebrare il proprio patrimonio e ciò in cui si crede”, ha scritto Fitzpatrick, il cui figlio, di otto anni, frequenta l’istituto.

"Mysterium tremendum"

PERCHE’ OCCORRE TORNARE A MESSE DOVE I PRETI PARLINO MENO E CELEBRINO DI PIU’


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“I sentimenti del timore e del sacro sono i sentimenti che palpiterebbero in noi, e con forte intensità, se avessimo la visione della Maestà di Dio. Nella misura in cui ci rendiamo conto della presenza di Dio, dobbiamo avvertirli. Se non li avvertiamo, è perché non percepiamo che egli è presente». Così il beato cardinale John Henry Newman mette il cattolico medio di fronte ad una difficoltà inconfessabile: la (malcelata) distrazione che lo avvolge durante il rito della Messa. Con il suo secondo saggio sulla performance del rito romano, Luigi Martinelli rimanda il lettore a ciò che il rito liturgico per sua essenza dovrebbe essere («mysterium tremendum, shock, vertigine, pericolo») se solo coloro che concordano sulla diagnosi di una liturgia cattolica impoverita da una pesante logomachia non dissentissero sulle terapie da approntare. Il merito di Martinelli è anche questo, aver squadernato, padroneggiando la più qualificata letteratura scientifica, un fatto notorio ma silenziato: l’attuazione della riforma non ha dato gli effetti sperati. Non è riuscita a far passare lo “spirito della liturgia”, o lo ha fatto solo in minima parte. Non ha educato al senso religioso. Dopo Le forme del sacro (con entusiastica prefazione di monsignor Nicola Bux) lo studioso di teatro Luigi Martinelli torna dunque ad affrontare il tema dell’efficacia del rito liturgico. 
Lo fa con un saggio in uscita in questi giorni, Missa in scena (Cavinato Editore, 2017, 359 pagine) titolo che, giocando con le parole, accosta rito e teatro per raccogliere suggestioni e possibili sviluppi pastorali dall’osmosi dei due mondi. Tempi.it lo ha incontrato.
Copertina libro L.MartinelliMartinelli, ai mali della liturgia riformata lei non propone il rimedio di un ritorno all’antico, ma insiste sulla presa di coscienza della vera essenza dell’atto di culto, che concepito non adeguatamente rischia di perdere la sua efficacia. È così?
Certo. Non sarà la sostituzione del Vetus Ordo al Novus Ordo la soluzione che riporterà la performatività rituale, la centralità del sacrificio e la “pericolosità” del rito nella liturgia cattolica postconciliare. Credo però che il Novus Ordo debba riformarsi ulteriormente se vuole tornare ad essere un evento incisivo e determinante nella vita spirituale dei fedeli cattolici, attingendo maggiormente agli elementi rituali tradizionali della liturgia cattolica. Deve riscoprire la centralità del corpo, la forza dei simboli, l’efficacia della lingua sacra, l’importanza di una musica e di un canto adatti, ma soprattutto deve ritrovare il primato della forma sul contenuto, riscoprendo l’importanza della ri-presentazione performativa sacrificale. Urge attivare seri procedimenti di riflessione sull’efficacia dell’ars celebrandi.
Anche se non auspica un semplice ritorno al passato, è però vero che lei rileva alcune criticità performative nella Messa celebrata secondo la forma ordinaria del rito romano. Quali esattamente?
La riforma liturgica degli anni Sessanta ha riformato il rito riferendosi quasi esclusivamente al legòmenon, cioè alle parole, ai testi, alle traduzioni, alle semplificazioni linguistiche e comunicative. Tuttavia il ripiegamento sull’unica categoria del “comprensibile a tutti” non ha reso le liturgie davvero più comprensibili, ma solo più povere. L’attuale rito è caratterizzato da un certo razionalismo, che si traduce nell’eccessivo verbalismo, nella sovraesposizione fonetica. In esso hanno sempre più importanza le parole, i discorsi, le esortazioni, i ragionamenti mentre le azioni i gesti e i movimenti sono ridimensionati. Penso alle genuflessioni, agli inchini, alle prostrazioni, all’innalzamento degli occhi e delle braccia, ai segni di croce, ai baci; a tutto ciò che il Servo di Dio don Eugenio Bernardi definiva come attività che «agiscono sulle facoltà interiori aumentandone le potenzialità». Il rito liturgico postconciliare non è più vissuto come esperienza ma come conoscenza, è divenuto un fatto cognitivo più che un fatto performativo.
E la famosa “actuosa partecipatio” alla liturgia, quella “partecipazione attiva” che deve coinvolgere i fedeli e con cui nel postconcilio sono cresciuti i sacerdoti di tutto il mondo?
È, appunto, soltanto un mito. La cosiddetta “partecipazione attiva” coinvolge i fedeli solo a livello razionale, e ciò fa sì che sia la preghiera a soffrirne, perché richiede più sforzo mentale (da qui la distrazione e quindi la noia). Su questo dato, che è empiricamente sperimentabile, sono d’accordo praticamente tutti. Potrei citare gli studi dei più stimati liturgisti contemporanei, da Roberto Tagliaferri ad Aldo Natale Terrin, da Loris dalla Pietra a Jakob Baumgartner, come quelli di illustri esponenti del clero cosiddetto progressista. Valutando gli esiti della riforma, per esempio, perfino il primate belga Godfried Danneels ha lamentato una liturgia «esclusivamente orientata verso l’intelletto», in cui «bisogna ammettere che la lingua e gli orecchi sono i soli organi utilizzati nella liturgia».
In effetti nella prospettiva del suo saggio appaiono molto interessanti le parole del cardinal Dannels, soprattutto se si pensa che sono pronunciate da chi che ha parlato pubblicamente e con una certa soddisfazione della “mafia di San Gallo”.
Decisamente. Sbaglierebbe chi pensasse che solo Benedetto XVI indicasse e si addolorasse per i gravi problemi liturgici attuali. D’altronde è ancora il cardinale Dannels a riconoscere che – sono ancora parole sue – «la liturgia non è né il luogo e né il momento adatto per la catechesi». Ripeto: il rito è stato usato come un contenitore di dottrine e di verità ortodosse a dispetto della sua specifica vocazione di produrre esperienza religiosa. La riforma liturgica sembra aver promosso una liquefazione dei riti per elargire i contenuti. Per comunicare utilizza quasi esclusivamente la parola. È un rito verbale in cui vi è strutturalmente una mortificazione e un impoverimento del rituale, la sproporzione tra la durata della liturgia della parola e quella della liturgia eucaristica, del resto, è lì a dimostrarlo. Non viene lasciato tempo sufficiente all’immaginazione, all’elemento affettivo, all’emozione, alla bellezza, al mistero.
Nel suo saggio lei riporta riflessioni sul postconcilio del cardinal Martini che potrebbero interrogare molti. Ad esempio questa: «Tutto doveva essere chiaro, intellegibile, le preghiere dovevano essere intese dalla gente, tutto doveva essere regolato dalle leggi della comunicazione sociale, ma l’uomo ha una dimensione misteriosa, ci sono delle esplosioni interne della fede che nella liturgia precedente, attraverso il mistero, erano tutte meglio presenti». Se sono tutti d’accordo sulla diagnosi, se cioè tutte le diverse sensibilità ecclesiali indicano gli stessi problemi di fondo, come mai il rito cattolico oggi conosce la sorte da lei descritta?
Perché il postconcilio, nel suo mood anarchico di fondo, non è stato all’altezza del Concilio. In altre parole perché i sostenitori della riforma liturgica se da una parte ne riconoscono i limiti dall’altra continuano a sbagliare la terapia. Per risolvere i problemi vorrebbero andare ulteriormente oltre la riforma del Vatinano II, con esiti e proposte incerte, multiformi, differenziate, sincretiste, iper-creative, postmoderne. Non è un caso che si vociferi sull’esistenza di una commissione mista di cattolici, luterani e anglicani intenta a mettere a punto una messa a cui far partecipare i fedeli di tutte e tre le confessioni. Come scrive Roberto Tagliaferri, docente di antropologia e liturgia presso l’Istituto di Liturgia Pastorale di S.Giustina a Padova, a oltre 50 anni dal Concilio Vaticano II «la questione della forma rituale in quanto performance rimane un problema ecclesiale assolutamente disatteso». Occorrerebbe una decisa presa di posizione, ma nella giusta direzione.
Si è chiesto da dove venga quell’eccesso di verbalismo che la sua analisi descrive come “soffocante” il rito cattolico?
Viene – lo dico con dolore – da una sfiducia nel rito. È questo il motivo per cui si tende a spiegare, legittimare e persino “scusare” il rito con l’ausilio delle parole: non si crede più nell’efficacia dell’azione rituale in quanto tale. Perfino nella splendida liturgia della veglia pasquale il sacerdote spiega a profusione l’autoevidente significato dell’accensione e spegnimento delle candele. Il cardinal Kasper, che non è esattamente un lefebvriano, scriveva che «abbiamo preti che parlano troppo ma celebrano poco». L’ossessione di dare significato ai riti distrugge l’azione liturgica nella sua essenza pragmatica, e soprattutto ne limita il potenziale mistagogico di introdurre i fedeli in una nuova esperienza religiosa. Per Francois Cassingena-Trevedy, monaco benedettino e liturgista, i sacramenti, e di conseguenza la liturgia, non dipendono dalla sfera dell’intellettuale ma coinvolgono l’ambito fisico. Operano cioè un’assunzione integrale del sensibile, perché – molto semplicemente – si inseriscono nell’“economia dell’incarnazione”.
Lei sostiene che col sostegno epistemologico del razionalismo, una certa teologia abbia spezzato il legame tra rito ed evento così come ce l’ha insegnato la Bibbia e la tradizione mistagogica. Quale sarebbe allora la vera funzione del rito?
Rispondo con una domanda: come fare a trasmettere quel senso di gravità, di pericolosità, di vertigine tipiche di un rito sacrificale (come dovrebbe essere la messa) solo attraverso le parole? Il rito è e deve tornare ad essere “pericoloso”, perché è trasformativo della realtà e delle persone, perché ribalta la vita normale trasportandola in un’altra dimensione. Lo smarrimento dei linguaggi del corpo, dei segni e dei simboli all’interno della liturgia ha reso il rito più rassicurante, tranquillizzante, lo ha ammorbidito. Ma un rito che non sia, appunto, pericoloso, abitato da vertigine e mistero, non solo diventa noioso, ma rinuncia totalmente alla sua prerogativa di innovazione del mondo. È dalla natura “traumatica” che deriva il fascino del rito, un gioco d’azzardo in cui scommettere tutto per ritrovare un mondo diverso, un “io” diverso.
In Missa in scena cita spesso antropologi come Victor Turner, massmediologi come McLuhan.Un ruolo di riguardo però lo riserva al grande commediografo Antonin Artaud. Qual è il ruolo specifico del teatro nel suo studio sulla liturgia?
Anche il teatro occidentale per un certo periodo della sua storia, prevalentemente dall’umanesimo fino al teatro borghese ottocentesco, aveva ripiegato sul razionalismo, ma nel Novecento, grazie a maestri come Artaud, Copeau, Mejerchol’d, Grotowski, Barba e molti altri, ha riscoperto le sue origini rituali valorizzando il ruolo del corpo, dei simboli, degli attori. Si è riscoperto come evento tridimensionale, in cui parola, corpo e azione si amalgamano tra loro per permettere agli spettatori di vivere un’esperienza irripetibile nell’hic et nunc. La liturgia, proprio come ha fatto il teatro, dovrebbe dunque tornare a mettere in primo piano la dimensione scenica rituale. L’operazione è possibile solo se si restituisce al rito il suo linguaggio proprio, che è “pragmatico”. Ha ragione Tagliaferri a proporre alla liturgia il Teatro della Crudeltà di Artaud come esempio per rinnovarsi, per emanciparsi da una deriva che ha reso il rito sempre più predica, parenesi, didascalia, lettura biblica. Un ripetuto invito all’edificazione e niente più.
Nel precedente saggio aveva analizzato la ritualità cattolica comparando sinotticamente la celebrazione della Messa secondo le due forme del rito romano (ordinaria e straordinaria). Il punto di vista era quella di un regista teatrale, il quale, dal banco di una chiesa invece che dal più usuale golfo mistico, assistendo alle due forme del rito, esamina criticamente ciò che vede e che vive. Il risultato vedeva il rito antico vittorioso. È ancora di questo parere?
Ne sono sempre più convinto, pur restando uno strenuo sostenitore del biformalismo liturgico. Un grande esempio di come la liturgia può essere in grado di generare trascendenza attraverso i linguaggi del simbolo e della gestualità rituale ci viene dato dalla Messa celebrata secondo la forma straordinaria del rito romano. Forma riportata in auge dal Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI. In essa, grazie all’utilizzo della lingua sacra, la parola viene liberata dall’urgenza di significare; i corpi del celebrante e dei fedeli mettono in atto una gamma notevole di gesti; il simbolo ha un grande spazio; il canto gregoriano, che la Costituzione liturgica del Vaticano II raccomandava, favorisce la contemplazione e l’apertura al trascendente; il silenzio – indispensabile per l’ascolto del linguaggio divino come non smette di ricordarci il prefetto della congregazione per il Culto divino cardinal Sarah – è “attivo”, svolgendosi infatti nei momenti del rito in cui l’azione liturgica si dispiega in tutta la sua pregnanza di significante e di significato. Tutto questo genera l’esperienza del sacro, un’esperienza che l’uomo contemporaneo ricerca disperatamente, e che se non trova nel rito cattolico cercherà altrove, anche in un altrove antitetico al cristianesimo.
26 agosto 2017, Valerio Pece
https://benedettoxviblog.wordpress.com/2017/08/27/perche-occorre-tornare-a-messe-dove-i-preti-parlino-meno-e-celebrino-di-piu/

Seminaristi tedeschi espulsi se partecipano alla Messa in latino

Nel seminario dell'arcidiocesi di Colonia, Germania, gli studenti sono espulsi se si viene a sapere che hanno partecipato alla Messa tradizionale in latino, ha detto il filologo tedesco Heinz-Lothar Barth al suo pubblico durante uno stage nel monastero cistercense di Rito tradizionale di Vyšší Brod (Hohenfurth), Repubblica Ceca, il 5 luglio.

Il seminario dell'arcidiocesi di colonia si trova a Bonn. Secondo Barth, un crescente numero di studenti di teologia frequentano la messa diocesana in latino a Bonn. Ma hanno paura che si venga a sapere, perché ciò significherebbe "la fine della loro formazione".

Foto: © Carlos Ramalhete, CC BY-NC#newsQzpzjupgve

La tradizione Cattolica fa crescere le parrocchie

Nel 2014 padre Joseph Illo divenne amministratore della parrocchia Stella Maris di San Francisco, California (USA). Da allora, la partecipazione alla Messa e il numero dei parrocchiani è aumentate del dieci percento ogni anno.

Secondo cruxnow.com, la parrocchia fiorisce a causa di un "potente legame con le pratiche Cattoliche tradizionali". Le messe sono velebrate in inglese e latino, e prevedono canto gregoriano e polifonia. La Comunione è distribuita alla balaustra. In Quaresima, la Messa è celebrata "ad orientem". C' è anche ogni giorno una Messa tradizionale in latino.

Tre parrocchiani sono entrati nel seminario arcidiocesano e un quarto si è unito ai Domenicani.

Foto: Star of the Sea Parish, #newsVbjfbicgac

Abate Rosmini "non si può applicare il rimedio d’introdurre nelle Chiese lingue diverse da quelle che vi si usano consacrate dall’uso dei secoli"

Contro il rito "tridentino" cioè il rito romano antico, che avrebbe addirittura causato "danni" alla Chiesa cattolica si chiama a testimone l'abate Rosmini.

Vero che nelle Cinque piaghe della Chiesa segnalò il problema del modo eccessivamente passivo con cui i fedeli assistevano alla liturgia ma non per effetto della liturgia e non tanto o esclusivamente per effetto della lingua latina con cui il rito si celebrava, ma centrando il problema sulla formazione e istruzione dei fedeli. 

(Nota del Redattore: Joseph Ratzinger/Benedetto XVI ha spiegato molto bene questo concetto di teologia liturgica: " - Il Concilio Vaticano II ha fissato alcuni principi fondamentali.
In primo luogo il Concilio ha dato una definizione di che cos'è la liturgia e questa definizione fornisce un metro di giudizio 

per ogni celebrazione liturgica.
Se si ignorano queste regole essenziali e si accantonano le "
normae generales" formulate nei numeri 34-36 della Costituzione "De Sacra Liturgia", allora si che si disubbidisce al Concilio!
È alla luce di quei criteri che le celebrazioni liturgiche debbono essere giudicate, siano esse basate sui vecchi o sui nuovi testi.
Cfr. MiL QUI )

Problema che al tempo del Novus Ordo si è addirittura dilatato.

Comunque Rosmini al riguardo scrive queste parole: "Quantunque noi abbiamo esposto lo svantaggio proveniente dall’esser cessata nel popolo l’intelligenza della lingua latina, tuttavia è alieno dal nostro animo il pensiero che convenga tradurre la sacra liturgia nelle lingue volgari". 

E prosegue: "Non ho qui enumerati tutti i vantaggi delle lingue antiche, né tutti gli svantaggi delle moderne; ma quelli che ho accennato bastano a dimostrar pienamente che ad ovviare il danno della separazione additata del clero dal popolo nelle sacre funzioni non si può applicare il rimedio d’introdurre nelle Chiese lingue diverse da quelle che vi si usano consacrate dall’uso dei secoli, che anzi questo rimedio, come noi dicevamo, sarebbe peggiore del male".
PM
( da un social )
Pubblicato da Andrea Carradori