ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 7 dicembre 2017

Mens de-mentis

Tutti i maestri di Bergoglio, che però fa di testa sua

Dopo le tante biografie narrative di papa Francesco, ecco la prima che giustamente si fregia del titolo di "biografia intellettuale". Il suo autore, Massimo Borghesi, è professore di filosofia morale all'Università di Perugia ed è vicinissimo a Jorge Mario Bergoglio da molto prima che fosse eletto papa, al pari di quella cerchia di amici il cui nome più noto è quello del vaticanista Andrea Tornielli, tutti appartenenti al ramo romano di Comunione e liberazione che faceva capo al sacerdote Giacomo Tantardini.
Ma oltre che della penna di Borghesi, questo libro è anche figlio della viva voce dello stesso papa Francesco, che in quattro occasioni – le ultime due in data 13 marzo 2017, quarto compleanno del suo pontificato – ha consegnato all'autore altrettante sue registrazioni audio, più volte citate nel testo e tutte mirate a indicare le fonti della sua formazione.
È una biografia, dunque, che in parte è anche autobiografia. E muove proprio da una rivelazione fatta qui per la prima volta da Bergoglio in persona, a detta del quale all'origine del suo pensiero ci sarebbe il teologo gesuita francese Gaston Fessard – geniale studioso di Hegel senza essere hegeliano – con quel suo libro del 1956  sulla "dialettica" degli "Esercizi spirituali" di Sant'Ignazio.

De mente

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Risposta ai “dubia” o eresia conclamata? Il problema della pubblicazione sugli “Acta Apostolicae Sedis” della lettera ai vescovi di Buenos Aires

Qualche mese fa, in occasione della pubblicazione sul sito del Vaticano della lettera di compiacimento del Vescovo di Roma ai vescovi della regione ecclesiastica di Buenos Aires per i Criterios básicos para la aplicación del capitulo VIII de Amoris laetitia – lettera del Vescovo di Roma, a quanto ci risulta, probabilmente richiesta da persone vicine all’attuale establishment vaticano, prima che giungesse un parere avanzato dai vescovi predetti ad un gruppo di teologi moralisti, e che “blindava” i criteri elaborati in quel momento - un insigne canonista, il prof. Edward Peters, docente di diritto canonico a Detroit, affermava che quella lettera e quei Criteri non potessero assumere valore legislativo in ambito canonico né vincolante, in quanto la pubblicazione online non costituiva una modalità prevista dal can. 8 § 1 C.I.C. (cfr. E. PetersOn the appearance of the pope’s ‘Buenos Aires’ letter on the Vatican website, in In the Light of the Law – A Canon Lawyer’s BlogAug. 24, 2017) Concludeva, quindi, mostrando una certa rassicurante tranquillità:

E' chiaro il disegno

Pater Noster: non un problema di traduzione ma di  comprensione



Lo spiega bene anche san Paolo: «Dio infatti è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo di uscirne per poterla sostenere» (1Cor.10,12-13). Inoltre, il messaggio che si è fatto passare è che la Chiesa Cattolica “ha sbagliato” per duemila anni sulla traduzione. La conseguenza di questa scelta è apocalittica! Se la Chiesa e la Tradizione ha sbagliato su questa traduzione, chi ci dice che non abbia sbagliato nel resto?
Risuonano come una eco assordante i tentativi, antichi e nuovi, di voler cambiare le parole finali del Padre Nostro e diverse sono state le reazioni in difesa della frase scelta dalla Tradizione della Chiesa, vedi qui il domenicano Padre Riccardo Barile, e vedi qui per una comprensione più tecnica della traduzione.

Nodi da sciogliere?


Chi si opporrà alla riabilitazione di Teilhard de Chardin?


L’iniziativa è ufficiale. Il 18 novembre l’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della cultura ha approvato la richiesta a Papa Francesco di rimuovere il Monitum della Sacra Congregazione del Sant’Uffizio sulle opere di padre Pierre Teilhard de Chardin, S.J. Pochi giorni dopo è stata inoltrata al Papa la proposta di «considerare la possibilità di revocare il Monitum che dal 1962 è stato imposto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (già Sant’Uffizio) sugli scritti del P. Pierre Teilhard de Chardin SJ».
Nel comunicato del Pontificio Consiglio della Cultura, presieduto dal cardinale Gianfranco Ravasi, si legge: «Riteniamo che un tale atto non solo riabiliterebbe lo sforzo genuino del pio gesuita nel tentativo di riconciliare la visione scientifica dell’universo con l’escatologia cristiana, ma rappresenterebbe anche un formidabile stimolo per tutti i teologi e scienziati di buona volontà a collaborare nella costruzione di un modello antropologico cristiano che, seguendo le indicazioni dell’Enciclica Laudato Si’, si collochi naturalmente nella meravigliosa trama del cosmo».

Che cosa dirà, quando verrà la sua ora?


CRISTO SI E' FERMATO A VIENNA?


Il video. Fino a quando, Signore? Siamo al rovesciamento e profanazione dei valori cristiani. Il silenzio gesuitico della neochiesa sullo scandalo di Vienna dove il gay-friendly card. Schönborn "tras-forma"la storica cattedrale 
di Francesco Lamendola   


 

La sera di venerdì, 1° dicembre 2017, la cattedrale di Santo Stefano a Vienna è stata teatro di un evento di cui si è parlato poco sui mass media, compresi quelli cattolici ultraprogressisti, forse perché perfino i neopreti e la loro neochiesa trovano che sia prudente non richiamare troppo l’attenzione dell’opinione pubblica sulla scandalosa deriva modernista, islamista e omosessualista in atto: favorirla, incoraggiarla, anche condurla in prima persona, ma, nello stesso tempo, adoperando quel tanto di abilità e destrezza che servono per nascondere la mano che ha scagliato il sasso, tutte le volte che sia opportuno e che sia possibile. Tanto, l’importante è infrangere la vetrata; e se la mano che l’ha infranta non si vede, meglio ancora. Ancora un po’ di pazienza, e quei signori si mostreranno al cento per cento per quel che sono, e mostreranno apertamente quel che stanno facendo, e fin dove vogliono arrivare: non ci manca molto. Bisogna che i tempi siano del tutto maturi; bisogna alzare un altro poco la temperatura dell’acqua, per far bollire la rana senza che se ne accorga. Fuori di metafora: bisogna aspettare solo quel che tanto che non crei una inutile forzatura dei tempi; perché tutto lascia pensare che i cattolici, o le masse che ancora si considerano tali, siano già cotti quasi al punto giusto: ormai manderebbero giù qualsiasi cosa, non si scandalizzano più di niente, sono più che disposti a trovare “normale” qualsiasi blasfemia, bestemmia e sacrilegio: è sufficiente che a metterci la faccia vi sia un sacerdote, meglio se un vescovo o un cardinale, e meglio di tutto se c’è il papa.

L'HIV della fede: si contrae per contatto

La mia risposta a fra' Cristoforo sulla nuova formula del Pater noster e sull'eresia di Bergoglio


Rispondo volentieri all'appello di fra' Cristoforo (qui), e mi permetto due commenti. 


I. La Preghiera del Signore


Il primo commento riguarda l'intenzione - sinora paventata, ma che presumibilmente troverà realizzazione a breve - di modificare le parole della Preghiera del Signore (il Padre Nostro) in italiano. Non entro nel merito della validità della traduzione, perché ritengo che il testo attuale sia conforme alla versione della Vulgata, e che questa sia coperta dal carisma dell'inerranza, così come definito dai Sacri Canoni. Rimando al commento di San Tommaso, Expositio in orationem dominicam, art. VI. Non c'è nessuna necessità di modificare adesso il Padre Nostro, quando peraltro il livello di istruzione religiosa dei fedeli è ai mini termini: sarebbe come occuparsi dei fiori ai balconi o del colore della tappezzeria delle poltrone in un edificio distrutto da un terremoto. 

Ciò che considero cosa gravissima è la smania di novità che anima - sin dal Vaticano II - questa presunta ricerca di maggior fedeltà nei testi liturgici e della preghiera, che insinua un'idea di provvisorietà inquietante. Pare che la Chiesa abbia insegnato per secoli una preghiera che solo ora, grazie alle ben note competenze di fine esegeta e di altissimo filologo di Bergoglio, è restituita alla sua genuina traduzione. Abbiamo pregato male per secoli, abbiamo ingannato il popolo con una traduzione che falsificherebbe le parole di Cristo, abbiamo insegnato ai nostri figli a credere che il Signore ci tenta, e che la Chiesa ha sbagliato. E se ha sbagliato sul Padre Nostro, probabilmente si troveranno altre mille occasioni per rettificare presunti errori di traduzione. Era lo stesso alibi col quale ci è stata gabellata la riforma liturgica, che in materia di traduzioni postconciliari ad usum modernistarum ha raggiunto i risultati ben noti.

«Ho imparato da Giuda»

Papa Francesco «corregge» il Padre nostro: «Dio non ci induce in tentazione, la traduzione è sbagliata»

Nel libro del Pontefice (Rizzoli-LEV) riflessioni inedite sul Padre Nostro
«Ho imparato da Giuda che la vergogna è una grazia» di Francesco

Páter hemōn. Simone Weil lo recitava ogni mattina nell’originale greco, «questa preghiera contiene tutte le domande possibili, non se ne può concepire una sola che non via sia racchiusa». Eppure, spiega Francesco, «ci vuole coraggio per pregare il Padre nostro». In un mondo «malato di orfanezza», le parole trasmesse da Gesù ai discepoli («Signore, insegnaci a pregare») mostrano un Dio che si fa dare del tu, e chiamare «papà». Il pontefice ne parla con don Marco Pozza, teologo e cappellano del carcere di Padova, un dialogo versetto per versetto che TV2000 ha cominciato a trasmettere ogni settimana ed ora esce per intero nel libro Quando pregate dite Padre nostro, con le riflessioni inedite di Francesco alternate a quelle di Angelus e udienze. Ci vuole coraggio, ripete il Papa. «Dico: mettetevi a dire “papà” e a credere veramente che Dio è il Padre che mi accompagna, mi perdona, mi dà il pane, è attento a tutto ciò che chiedo, mi veste ancora meglio dei fiori di campo. Credere è anche un grande rischio: e se non fosse vero?».

mercoledì 6 dicembre 2017

E voi, chi dite che io sia?


E NON C'INDURRE IN TENTAZIONE


Il Padre nostro è l’unica preghiera che è stata insegnata ai suoi discepoli direttamente da Gesù mettere in dubbio l’esattezza di quelle parole equivale a mettere in dubbio che noi sappiamo quali siano state le Parole di Gesù 
di Francesco Lamendola   


 

Tutti noi, nati nell’Europa cristiana, generazione dopo generazione, da secoli e secoli ripetiamo, con le parole del Padre nostro, quali ci sono state riportate dai Vangeli, la formula finale: … e non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Amen, che viene dal greco:kai mē eisenenkēs hēmas eis peirasmon, alla rhusai hēmas apo tou ponērou, e che in latino viene reso con: et ne nos inducas in tentationem; sed libera nos a malo. Ci eravamo già occupati, meno di un mese fa, di questa traduzione, e del supposto problema che essa solleva in certe persone ipersensibili (cfr. l’articolo Non c’indurre in tentazione, pubblicato l’11/10/2017 sul sito Nuova Italia. Accademia Adriatica di Filosofia); ma ora siamo costretti a tornarvi sopra, visto che il papa in persona ha deciso di scendere in campo, oggi, mercoledì 6 dicembre 2017, con tutta la sua forza mediatica, parlando dai microfoni di una rete televisiva.

La sede nella Gerusalemme terrestre


“GERUSALEMME CAPITALE “



San Gregorio Magno (Comm. In I reg., II): “Coloro che ricusarono di credere al Redentore si  daranno poi, alla fine del mondo, all’Anticristo”.
“Costui – ha scritto Sant’Efrem Siro (Sermo de Antichristo)    – colmerà certo di favori in modo speciale la nazione giudaica, ma bisogna convenire che onori più  straordinari gli prodigherà questa nazione deicida, la cui capitale sarà quella del suo regno”.
Sant’Ireneo (Adversus Haereses, Libr. V c. XXV) : “L’Anticristo,giunto all’impero universale, trasferirà la  sede nella  Gerusalemme terrestre”.

Ora non si può lasciare spazio a dubbi?

RIVOLTA INAUDITA

Il Papa e lo scisma, mai accaduto prima. Il cardinale Burke: "No allo Ius soli, cosa succederà all'Italia"


Il cardinale americano Raymond Leo Burke guida la rivolta contro Papa Francesco su ius soli, immigrati e accoglienza. Mai, in epoca moderna, i vertici della Chiesa si sono schierati tanto numerosi in aperta critica con la dottrina e la linea socio-politica del Pontefice. Burke è uno dei firmatari dei dubiasull'esortazione Amoris Laetitia del Papa. Sotto accusa il terzomondismo e le troppe aperture al laicismo promosse da Bergoglio. Il Cardinale Gerhard Mueller è arrivato addirittura a minacciare uno scisma nella Chiesa cattolica. "Il pericolo c'è sempre quando aumenta la confusione ed è evitabile proprio attraverso la presentazione della fede in modo chiaro - spiega monsignor Burke al Giornale -. A un anno di distanza, dato che il Papa non ha ancora risposto, credo si possa interpretare il silenzio, e anche il non riscontro del ricevimento delle nostre comunicazioni, come un segno che il Papa in qualche modo non riconosce questi interventi come meritevoli e legittimi".

La granitica convinzione

Una nuova narrazione?


Il Professor Massimo Introvigne ha rilasciato nei giorni scorsi una lunga intervista alla rivista Formiche. È uno di quei casi strani in cui vorresti tanto che ciò che stai leggendo fosse vero, ma ti accorgi, con dispiacere, che non lo è.

L’intervista si muove in quella che è la narrativa ufficiale dell’attuale pontificato: «In parole e gesti, Papa Francesco è prima di tutto un comunicatore. Lavora di bulino sui testi della Tradizione che ha ricevuto e che è chiamato a trasmettere. Non ne cambia una virgola, ma l’incipit del suo linguaggio è differente»Le novità non vanno dunque cercate sul piano dei contenuti («I principi rimangono fermi»), ma solo su quello dello stile («comunicativo-pastorale»), del linguaggio, del tono («È cambiato il tono, e il tono per Papa Francesco è fondamentale»), dell’atteggiamento («Quello che c’è di diverso è l’atteggiamento pastorale»).

"Prima e dopo"


CHIESA E NEOCHIESA: L'ESEMPIO


L'esempio della Parrocchia di Santa Maria Immacolata a Longarone c’è un prima e un dopo. Il 9 ottobre 1963 questo ridente paese in provincia di Belluno con le sue 2.000 anime venne spazzato via da una gigantesca ondata di acqua
di Francesco Lamendola  
 
Longarone 9 ottobre 1963 e la tragedia della diga del Vajont

Siete mai stati a Longarone? Se amate le montagne, se amate il Cadore e le Dolomiti, probabilmente ci siete passati, venendo dalla pianura e risalendo l’alta valle del Piave. Sicuramente il suo nome vi dice qualcosa, specialmente se non siete proprio giovincelli: perché il 9 ottobre 1963 questo ridente paese in provincia di Belluno venne investito in pieno e travolto dalla gigantesca ondata di acqua e fango precipitata giù dalla Diga del Vajont, e provocata, a sua volta, da una frana verificatasi, in seguito alle piogge autunnali, sulle pendici del Monte Toc, in territorio friulano. L’ondata si portò via, insieme alle macerie delle case, e a centinaia di capi di bestiame, poco meno di duemila morti: 1917, per la precisione, compresi quelli delle frazioni e dei paesi vicini (i numeri, che strane coincidenze: 1917 è anche la data di una disastrosa battaglia della Prima guerra mondiale che proprio qui, a Longarone, vide la resa di quasi 10.000 soldati della Quarta armata italiana, in ritirata dal Cadore dopo lo sfondamento di Caporetto, davanti a un pugno striminzito di soldati tedeschi, comandanti da un certo tenente Erwin Rommel).

Tanto, è la stessa cosa?


VINCERE LA CONCUPISCENZA           
      

Vincere la concupiscenza è unirsi alla vita divina. Una domanda apparentemente ingenua: qual è lo scopo del Vangelo, perché Cristo lo ha annunciato agli uomini e perché la Chiesa lo annuncia a noi, generazione dopo generazione? 
di Francesco Lamendola  


 

Qual è lo scopo del Vangelo? Perché Gesù Cristo lo ha annunciato agli uomini, e perché la Chiesa lo annuncia a noi, generazione dopo generazione? Ci piacerebbe rivolgere questa pur semplicissima domanda a un certo numero di cattolici, e vedere quel che ne verrebbe fuori. Una gran confusione, probabilmente. Molti, senza dubbio, spalancherebbero gli occhi in un'espressione di stupore: a una simile domanda non avevano mai pensato. E già questo la dice lunga sullo stato d'ignoranza, inconsapevolezza, abitudinarietà e conformismo in cui la fede cattolica è caduta, nella fase storica che stiamo vivendo. Perché a questa domanda, solo apparentemente ingenua, e, in realtà, molto più profonda di quel che non paia, ma al tempo stesso d'una semplicità disarmante, i nostri nonni avrebbero saputo rispondere senza alcuna esitazione. Non perché avessero studiato di più la dottrina cattolica - in verità, molti di loro erano onesti lavoratori con la licenza di quinta elementare per tutto curriculum scolastico - ma perché l'avevano appresa meglio. I sacerdoti, i catechisti e le famiglie l'avevano trasmessa a loro meglio di quel che non siano capaci di fare, per solito, il clero e tutto l’insieme della cultura cattolica, oggi. Senza tante chiacchiere sulla “complessità concreta” delle situazioni (come si legge nell’esortazione apostolica Amoris laetitia), sulla necessità del “discernimento spirituale”, sul dovere dell'”accompagnamento delle persone in difficoltà” (neanche la Chiesa fosse diventata un’agenzia di viaggi o un’agenzia per cuori solitari) e sulla assoluta priorità della “inclusione” dell’altro - un linguaggio fastidiosamente artificioso e pretenzioso, che tradisce da sé il sofisma di fondo che lo ha generato -, ai nostri nonni era stato insegnato che lo scopo del Vangelo è far partecipare l'uomo alla pienezza della vita divina. Tutto qui; e nient'altro. In quella espressione c'è tutto; e c'è molto di più e molto di meglio di quel che non possano impastrocchiare tutti i Kasper, i Sosa, i Grillo e i Bianchi di questo mondo (di questo mondo, nel significato letterale dell'espressione, ossia di teologi che non aiutano le anime a levare lo sguardo verso il Cielo, ma lo tengono rivolto ostinatamente a terra).

Sua Santità Mahatma Gandhi



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ROMANA VULNERATUS CURIA E I ROHYNGYA. È SBALORDITO DAL PONTEFICE: ASSOMIGLIA SEMPRE DI PIÙ A GANDHI.

Cari stilumcurialisti, Romana Vulneratus Curia (RVC per gli amici) ha qualche cosina da dire sulle dichiarazioni del Pontefice sull’aereo di ritorno dal Bangladesh. Ancora una volta – non è la prima, né, prevediamo, sarà l’ultima, il capo della Chiesa cattolica ha parlato di terrorismo e religioni, con queste parole: “C’erano gruppi terroristi che cercavano di approfittare dei Rohingya, che sono gente di pace. Sempre c’è un gruppo fondamentalista nelle religioni, anche noi cattolici ne abbiamo. (sottolineatura nostra). I militari giustificano il loro intervento a motivo di questi gruppi. Io non ho scelto di parlare con questa gente, ma con le vittime, con il popolo che da una parte soffriva questa discriminazione e dall’altra era difeso dai terroristi”. Non osiamo pensare quali “estremisti” pensi il Pontefice. Sospettiamo fortemente però che siano quelli che invece  di usare il mitra sgranano rosari ultimo modello, di fabbricazione israeliana, senza rinculo. Pericolosissimi.

Domande volutamente retoriche?

VIENNA
Orgoglio gay occupa la Cattedrale, la scusa è l'Aids

Venerdì scorso nella Cattedrale di Santo Stefano a Vienna èandata in scena una commemorazione per le vittime dell’AIDS, in occasione della Giornata Mondiale contro l’AIDS, commemorazione ovviamente interconfessionale voluta dal Cardinal Christoph Schönborn ed organizzata in collaborazione con l’associazione AIDS Life.  Sulla opportunità di (ab)usare di un edificio sacro per eventi di impronta laica, seppur animati da ottime intenzioni, rimandiamo all’articolo di Andrea Zambrano.

Qui invece vogliamo mettere sotto la lente di ingrandimento da una parte la (voluta?) miopia di interpretare il fenomeno AIDS a senso unico e su altro fronte la decisione di far leggere una preghiera di intercessione al travestito-transessuale-transgender Conchita Wurst.

In merito al primo aspetto il cardinal Schönborn ha ricordato che si muore soprattutto nella poverissima Africa e lui, quando è stato in Zambia, lo ha potuto toccare con mano. Questo è vero ed è bene rammentarlo, ma perché far credere che la diffusione dell’AIDS sia solo una questione di mala distribuzione della ricchezza e non anche e soprattutto di condotte personali? Perchè tacere sul fatto che il gruppo sociale che registra il maggior numero di contagi è quello omosessuale? Sarebbe stato scomodo? Poco gaiamente corretto? Sarebbe stato percepito come un’affermazione discriminatoria?

Ma se la realtà è questa perché non raccontarla? Già su queste colonne abbiamo illustrato pochi giorni fa che sono le persone omosessuali ad essere più esposte a rischio di contagio, riportando i dati per l’Italia e la Spagna. Così avviene anche negli Usa dove uno studio del 2013 del Centro per la prevenzione e il controllo della patologie ci informa che il 57% delle infezioni da AIDS colpisce le persone omosessuali. E queste sono solo il 2% della popolazione. Ciò a voler dire che la maggior parte delle infezioni riguarda uno sparuto gruppo sociale. Questo non dovrebbe forse far consigliare, solo sotto il profilo della tutela della salute pubblica senza chiamare in causa principi morali, l’abbandono delle condotte omosessuali? Come esistono le campagne sociali contro il fumo e quindi contro la libertà di fumare, perché non promuoverne di simili anche contro l’omosessualità e dunque contro la libertà di avere rapporti omosessuali? Domande volutamente retoriche.

Venerdì – e così arriviamo al secondo aspetto che vogliamo qui esaminare – non si è messo in guardia gli astanti sui pericoli che i rapporti sessuali omosessuali possono provocare per la salute del corpo (figurarsi se si voleva accennare a quelli per la salute eterna). Invece si è celebrato l’orgoglio gay e pure in una cattedrale cattolica. Quindi indirettamente e per paradosso è stata fornita una sponda per la diffusione del virus. Schönborn infatti ha detto ai presenti riferendosi sia ai malati di AIDS che alle persone omosessuali: “Dio non vuole giudicare le persone, ma salvarle. Che cosa significa per noi? Non giudicare, non escludere”.

Due noticine veloci veloci. A parte il fatto che Dio è anche giudice, è bene rammentare che la salvezza non passa attraverso l’adesione volontaria all’omosessualità, ma attraverso l’abbandono delle pratiche omosessuali. Noi tutti non dobbiamo permetterci di giudicare la responsabilità soggettiva delle persona omosessuale, ma dobbiamo eccome giudicare la sua condotta, non per metterlo al muro, ma per aiutarlo ad abbandonare questo stile di vita.

Il cardinale non è su questa frequenza d’onda tanto è vero che ha chiamato per pianificare l’evento in cattedrale Gery Keszler, fondatore insieme al suo compagno Torgom Petrosian, dell’associazione AIDS Life che ogni anno organizza il Life-Ball, una serata di gala per raccogliere fondi per la lotta all’AIDS. Anche questa scelta è poco opportuna, data la presenza di realtà cattoliche austriache anch’esse impegnate sullo stesso tema, ma non così compromesse con il credo gay. Ma ancor meno opportuna è stata la scelta di chiamare a leggere una preghiera di intercessione il cantante nonché travestito Thomas Nuewirth, in arte Conchita Wurst, il quale aveva già ricevuto nel maggio del 2014 la benedizione del cardinale. Nel “giardino variopinto del Signore c’è spazio per tutte le moltitudini” aveva scritto allora il cardinale riferendosi a Conchita, tanto per dire che la transessualità può essere interpretata come naturale variante botanica-antropologica voluta da Dio.

Il barbuto Conchita dall’ambone ha così “pregato” quasi storpiando il Padre Nostro: “Dacci un occhio attento, non solo qui, ma anche in tutti gli altri luoghi affinchè possiamo comprendere veramente il mondo e la sua gente e così che tu ci possa aiutare a superare tutte le esclusioni, le discriminazioni ed evitare la persecuzione di coloro che vivono la loro identità in modo diverso. Cerchiamo di prendere consapevolezza di tutto questo ed aiutiamo coloro che sono diversi da noi stessi". Un mega spot ecclesiale a favore dell’omosessualità e della transessualità. Un caso di scuola di omoeresia. Tra l’altro viene da chiedersi cosa c’entri mai la supposta discriminazione a danno delle persone omo e trans con la diffusione dell’AIDS. Ma ogni occasione è buona per dipingere i gay come vittime e i cattolici come carnefici. Infatti l’evento in cattedrale a tratti pareva più una richiesta di scuse da parte dei cattolici che una serata di sensibilizzazione delle coscienze.

L’errore forse più marchiano è stato dunque quello di chiamare un transessuale a recitare una preghiera gender, non una persona che, come tutti noi, cade mille volte nella polvere del peccato, si riconosce peccatore e vuole rialzarsi, bensì un attivista che eleva a stendardo il peccato dell’omosessualità. C’è quindi una grossa differenza tra accoglienza della persona, Conchita incluso, ad accoglienza degli errori che professa la persona.

Ma la cattedrale di Santo Stefano rimane pur sempre la casa del Signore e il Padrone di casa, seppur in modo discreto, ha detto la sua per il tramite del genio di Mozart. Infatti in quella serata è stato eseguito il suo Requiem. Ecco ad esempio il testo del Dies irae ispirato al giorno del Giudizio: “Giorno d'ira, quel giorno distruggerà il mondo in faville, com'è attestato da Davide e dalla Sibilla. Quanto grande sarà il terrore quando verrà il giudice a valutare ogni cosa severamente”. Un testo un tantino rigido secondo i canoni ecclesiali attuali. Assai poco buonista anche il Tuba mirum: “Una tromba, con un suono mai prima udito tra i sepolcri delle nazioni tutti sospingerà davanti al trono. Stupefatte saranno Morte e Natura quando ogni creatura risorgerà per rispondere a colui che giudica. Sarà portato un libro scritto in cui tutto è annotato per giudicare il mondo. Quando il giudice si sarà assiso tutto ciò che era nascosto apparirà e nulla resterà impunito. Che dirò allora io, misero? A quale avvocato mi appellerò se a mala pena il giusto è sicuro?”. E per chiudere il ben poco inclusivo Confutatis: “Confutati i maledetti e condannati alle fiamme ardenti, chiamami tra i benedetti. Ti prego, supplicando e prostrandomi, il cuore ridotto quasi in cenere, prenditi cura della mia fine”.

Tommaso Scandroglio


  • LA CAMPAGNA DELLA NUOVA BQ

#salviamolechiese anche dalle paraliturgie omoeretiche

Il cardinale Schonborn
D’accordo. Una veglia di preghiera non è una partita di tennis, ma visto quanto successo a Vienna, dove una veglia di preghiera si può trasformare in un happeningche non ha nulla a che vedere con il culto reso a Dio fino a diventare una provocazione in salsa omoeretica, possiamo invocare il nostro hastag #salviamolechiese. E’ per questo motivo che anche per l’evento di Santo Stefano si può intravedere un uso misto tra sacro e profano che di fatto riduce l’edificio chiesa a semplice contenitore di un evento mondano e poco più.
A cominciare dall’ambientazione:sul soffitto della navata centrale della Cattedrale di Vienna sono stati installati dei grandi pannelli con i nomi di diverse vittime dell’Aids. Intenzione lodevole, ma presentata a mo’ di manifesto fine a se stesso, sicuramente dall’intento rivendicativo e ideologico. In chiesa infatti la veglia è consistita con l’esecuzione del Requiem di Mozart, l’austriaco più celebre cui il cardinal Schonborn ha fatto spesso riferimento nel suo intervento e che moriva giusto ieri 217 anni fa. Poi è seguito un evento di lumini e canti “a battimani” misto tra la paraliturgia e la rivendicazione dell’orgoglio gay con proclami e qua e là qualche generica preghiera.
Tutto troppo confuso per chi vuole davvero pregare per le vittime dell’Aids.Nessuno giudica le intenzioni, ma sullo strumento utilizzato si può esprimere un giudizio netto, soprattutto perché non appartiene alla mens della Chiesa. La quale Chiesa da sempre, ritiene un suo dovere quello di pregare per i defunti, perché siano accolti tra le braccia del Salvatore. Ebbene: l’evento per eccellenza che si deve fare dentro una chiesa per i defunti è proprio la messa applicata per loro, indipendentemente dalla loro storia o dall’esito della loro vita terrena. E’ il regalo più bello e potente che Cristo ha lasciato per associarsi a lui.
Una messa dunque con la quale offrire il sacrificio perfetto per le anime che ci hanno preceduto nell’eternità e alle quali, grazie alle nostre messe in loro memoria, possiamo accorciare il tempo di permanenza in Purgatorio. E’ una verità della Chiesa che “disintegra” tutti i lumini accesi e le tante parole umane spese.
Conchita Wurst in CattedraleInvece la coreografia andata in scena a il 1 dicembre nella capitale austriaca è il risultato di una liturgia umana che ha escluso completamente Dio, la sua misericordia accompagnata al suo giudizio sulle vicende umane. Ne è una prova proprio l’utilizzo del Requiem di Mozart. Capolavoro indiscusso del maestro di Salisburgo, ma ormai cristallizzato in una bella teca che lo ha trasformato in un semplice concerto, svuotato della sua forza liturgica. Un capolavoro, ma le cui ali sono state tagliate. Invece il Requiem non è un semplice accompagnamento, ma è messa. Messa cantata, come si fa ancora secondo la forma straordinaria del Rito Romano. 
La messa da Requiem si chiama così dalla prima parola dell'antifona di introito Requiem aeternam. Dunque è musica liturgica, che nasce per la liturgia dei defunti, che nelle antifone e nei testi contenuti nel Messale trova il suo spazio e la sua dignità. Tanto più che il testo che accompagna il capolavoro di Mozart, come gli altrettanti capolavori di Verdi o di Perosi, è quello delle parti della messa, dall'introito al Communio e comprende la celebre sequenza che inizia proprio con le parole Dies Irae e prosegue con il Tuba mirum e il Lacrimosa dopo essere passata per il Confutatis maledictis. Insomma: musica e testi per la liturgia della messa dei defunti, che acquisiscono il loro valore extramusicale proprio all’interno del rito liturgico, fonte e culmine della vita cristiana.
Suonarlo a margine un evento tanto ambiguo quanto fortemente mondanizzato e svuotarlo dunque del suo contesto rappresentato dall’evento del calvario che si rivive, rappresenta lo specchio dei tempi: la confusione fra pastoralità e dottrina che si serve di un simulacro bello e affascinante, ma svuotato del suo significato o che comunque non riesce ad esprimersi al meglio per quello che è il suo scopo perché l’oggetto della lode e della preghiera non è contemplato. 
Questo utilizzo della messa in versione concertistica è un limitarne e coglierne solo l'aspetto esteriore ed estetizzante senza voler aprofondire o essere toccati dal suo conteuto e dal suo significato. E' come chi si ferma all'esteriorità di una celebrazione particolarmente appariscente o suggestiva senza capire quello che è il significato del Santo sacrificio che si riprone in maniera incruenta. Volerla vivere così è ridurre a un mero estetismo, lo stesso estetismo di cui si accusa ingiustamente i tradizionalisti attaccati alla forma straordinaria della messa. Per i profani: è uno scartare l'invlucro e non gustare il cioccolatino. 
E questo è tanto più sentito nella messa da Requiem dove il tema del peccato e della misericordia sono giocati in un dialogo drammatico e salvifico del peccatore che si vergogna della sua colpa tanto da tremare e diventare rosso di fronte al Dio. E che cosa c'è che fa vergognare di più l'uomo se non il peccato di sodomia? Utilizzare quella messa per sostenere una lotta politica secondo il consumato canovaccio dei Live Aid non soltanto significa non aver capito il signifcato della Messa da Requiem, ma è un profanare ancora una volta le cose sacre.
Andrea Zambrano