Un insieme di presupposizioni ideologiche, derivate dalla sinistra politica e radicate in alcuni filoni della teologia della liberazione, hanno plasmato sia le discussioni sinodali che il documento finale del sinodo. Un articolo di Edward Pentin pubblicato su National Catholic Register nella traduzione di Riccardo Zenobi.

Indigeni dell’Amazzonia- (Credit: Paul Haring/CNS.) via Cruz Now
Indigeni dell’Amazzonia- (Credit: Paul Haring/CNS.) via Cruz Now
Il sinodo panamazzonico che ha preso luogo lo scorso mese sottolinea un insieme di preoccupazioni sociopolitiche e ambientali che affliggono sia gli indigeni della regione che il mondo intero.
Temi comuni includono rischi ambientali, la diffusione dello sfruttamento da parte delle aziende a spese degli indigeni, e i dannosi effetti che queste industrie estrattive hanno sia sulle persone che sull’ambiente.
Ma mentre questi erano preoccupazioni reali, molte di esse recano un set di presupposizioni politiche.
Tali presupposizioni includono l’asserzione che l’origine del cambiamento climatico sia antropologica e sarebbe stata devastante come affermano le Nazioni Unite ed altri, che le aziende ed alcuni governi sono sfruttatori, e che principalmente l’occidente sia da biasimare per molta della distruzione e ingiustizia nella regione.
Il documento finale del sinodo sottolinea che la Chiesa deve ascoltare e imparare dagli indigeni e un’attitudine colonialista deve essere evitata. Nel frattempo, molti dei martiri individuati dal sinodo erano coloro che eroicamente hanno gettato le loro vite, ma spesso per resistere allo sfruttamento o combattere le ingiustizie sociali, invece di essere uccise per odium fidei – odio verso la loro fede.
Al tempo stesso, George Weigel ha osservato che i padri sinodali non hanno menzionato la “colossale corruzione dei regimi di sinistra” in Bolivia, Ecuador e Venezuela e “il molto deplorevole deterioramento dell’ambiente e delle condizioni umane” che ha preso luogo nell’Amazzonia brasiliana negli ultimi vent’anni sotto i presidenti socialisti Luiz Inácio Lula da Silva e Dilma Rousseff.
Tali prospettive, accompagnate con la presenza di politici di sinistra e comunisti, invitati dagli organizzatori sinodali ad incontri paralleli al sinodo, e il rinnovo del “Patto delle catacombe” del 1965 che ha segnato l’inizio della teologia della liberazione, facendo conseguentemente sorgere le critiche che il sinodo ha avuto su particolari focus temporali e politici, una focalizzazione decisamente di sinistra e usata come veicolo per fini politici anziché religiosi.
Su tali critiche il professor Stefano Fontana, direttore dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuan sulla Dottrina Sociale della Chiesa, concorda per due ragioni principali.
In primo luogo, ritiene che il sinodo soffra di un approccio erroneo, che parte dalla “realtà storico-politica dell’Amazzonia e da lì risale al Vangelo, anziché fare l’opposto” e “proclamare Cristo nelle realtà temporali”.
Questo ha avuto l’effetto, egli crede, di “escludere” la dottrina sociale della Chiesa, la quale “comincia dalla Rivelazione e dalla retta ragione e giunge ai problemi politici”. Ha cercato un “modello politico di coesistenza” dagli indigeni, ha dichiarato Fontana al Register, e lo ha usato per sfidare “la fede della Chiesa”.
Secondariamente, crede che il sinodo abbia agito come “catalizzatore” e base per “forze politiche legate a presenze rivoluzionarie” in America Latina – parzialmente evidente, sostiene, in espressioni come “teologia del popolo, teologia della liberazione” e “comunità di base”.
Julio Loredo dell’Istituto Plinio Correa de Oliveira con sede in Brasile, parte del movimento Tradizione, Famiglia e Proprietà fondato nel 1960 come baluardo contro il comunismo nella società e nella Chiesa, ha mosso critiche simili. Il sinodo, ha detto, era “teologico”, ma con “conseguenze politiche”, dato che è stato disseminato con indicazioni della teologia della liberazione – la dottrina degli anni ’60 e ’70, spesso basata su politiche di estrema sinistra, che puntava a liberare i poveri dall’oppressione socioeconomica.
Uno dei punti principali della teologia della liberazione è “precisamente la fusione tra fede e politica, tra teoria e prassi, tra teologia e rivoluzione”, spiega Loredo. “Il comunismo è il Regno di Dio in terra”, ha detto, citando padre Ernesto Cardenal, uno dei fondatori della teologia della liberazione a cui papa san Giovanni Paolo II ha proibito di amministrare i sacramenti ma che papa Francesco ha riabilitato quest’anno. “La loro è una utopia politica ammantata di linguaggio religioso”, ha detto Loredo.
Per quest’ultimo, il documento finale del sinodo contiene “la cartina di tornasole di una nuova Chiesa” ma anche una nuova società socialista basata sull’abolizione o l’attenuazione della “proprietà privata” e “più relazioni comunitarie”.
Il filo della teologia della liberazione
Fontana ha anche visto un trait d’union di teologia della liberazione attraversare il sinodo, una teologia, ha detto, che arriva dopo la prassi e “lotta per la giustizia” e i cui proponenti, come Leonardo Boff, si sarebbero più tardi rivolti a “questioni ambientali e addirittura cosmiche”. Il concetto di “ecologia integrale” è “molto ambiguo”, ha aggiunto Fontana, ma risulta prominente durante il sinodo, formando parte del suo tema di fondo. È stato menzionato precedentemente nell’enciclica Laudato Si di papa Francesco. “Oggigiorno la ‘pratica della liberazione’ è rimpiazzata dalla ‘pratica dell’ecologia integrale’, così la vita primitiva di un popolo pagano può divenire un modello di coesistenza universale”, ha sostenuto Fontana.
Loredo ha aggiunto che la teologia della liberazione marxista è stata abbandonata nel 1980 perché i suoi promotori dovevano trovare vie alternative per “promuovere il processo rivoluzionario”, e un mezzo è stato attraverso “la teologia ecologica” – o nelle parole di Boff: “Al pianto dei poveri abbiamo aggiunto il pianto della terra”.
Un altro proponente di questo modo di pensare marxista, il domenicano brasiliano Frei Betto, ha ammesso precedentemente quest’anno che il sinodo era un mezzo alternativo per promuovere la teologia della liberazione. “Abbiamo dinanzi a noi un’opportunità per andare avanti”, Betto ha detto ad un pubblico in Brasile. “Dobbiamo non proporre la teologia della liberazione. Spaventa molte persone. Abbiamo invece bisogno di una discussione su questioni socioeconomiche”.
Il cardinale Gerhard Müller, un esperto nella teologia della liberazione e del pensiero di uno dei suoi più famosi fondatori, il padre domenicano Gustavo Gutiérrez Merino, non sarebbe scosso dal fatto che il sinodo è stato un mezzo per promuovere una versione marxista della teologia con altri mezzi. La teologia della liberazione “in un senso buono” può porre domande e aiutare a superare “ingiuste sofferenze di fronte all’amore di Dio rivelato nella croce di Cristo”, ha detto.
Ma il prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede ha spiegato che una posizione Marxista rappresenta “la più radicale forma di anti-teologia, dove Dio è negato e l’uomo è alla mercé dell’uomo”, e ha messo in guardia che la Chiesa può peccare contro lo Spirito Santo “unendosi a questo materialismo, abbandonata da Dio”. Se lo fa, sostiene, gli uomini saranno “ingannati sulla loro fede nel Dio Triuno e in Gesù Cristo”. Quando persone “senza Dio” provano a costruire un mondo nuovo, “creano solo un inferno in terra”, ha aggiunto.
Senza dire esplicitamente che la teologia della liberazione marxista era una componente chiave del Sinodo, il cardinale Müller ha indicato che una ideologia ateistica può aver infiltrato l’incontro perché il documento finale parla di un “essere supremo” invece di “Dio Padre di Gesù Cristo” – la precedente espressione, ha notato, era usata dei “Deisti inglesi”, i massoni e coloro che “volevano sopprimere la fede cristiana in favore di una generica religione naturale, senza dogmi, principi morali e l’autorità divinamente garantita del magistero”.
Fontana ha detto che il problema con queste infiltrazioni politiche di sinistra nella teologia, e di rimando al sinodo, è che di base è una filosofia “immanentista” – focalizzata sul materiale e su questo mondo – dove i principi e le norme “evolvono”, opposta ad un focus sulla trascendenza. Tale cultura nella Chiesa accetta la secolarizzazione come parte del processo storico, ha detto. Per i proponenti di tale filosofia, la dottrina della Chiesa “è anche in evoluzione come prodotto storico”, ha spiegato, un approccio che è stato promosso da teologi come Karl Rahner con “disastrose” conseguenze.
Loredo ha detto che “molti degli attori principali del sinodo”, come il cardinale Claudio Hummes, il relatore generale, e il vescovo Erwin Kräutler, uno dei principali organizzatori, “vengono dalla teologia della liberazione marxista”, e che Boff, un ex prete che, secondo Loredo ed altri, è stato una “fonte principale di ispirazione” per Laudato Si, “non ha mai abbandonato il marxismo”.
Loredo ha affermato che la presenza di pensatori della marxista teologia della liberazione è stata particolarmente prominente nell’Articolo 36 del documento finale, dove si parla di “Comunità cristiane di base”. Queste sono il “braccio militante della teologia della liberazione”, sostiene Loredo, che in passato sono state coinvolte in attività di guerriglia. E comunità “stavano declinando”, ha detto, ma il sinodo ha dato loro “un impulso”.
La venezuelana Christine Vollmer, un ex membro della Pontifica Accademia per la Vita, ha detto che “gli stessi gruppi” che organizzarono il sinodo sono parte dei movimenti che hanno installato demagoghi di sinistra come Hugo Chavez in Venezuela ed Evo Morales in Bolivia. “Tutti lo sanno”, ha detto al Register. “Gli stessi intellettuali, gli stessi argomenti capziosi, ignorano completamente i problemi reali”.
Fontana ha detto che tali correnti politiche di sinistra hanno anticipato la teologia della liberazione ma sono sintomi di una Chiesa che “sembra essere molto orizzontale e non molto verticale”, come il cardinale Robert Sarah ed altri stanno dicendo “da molto tempo”.
“Dovete capire che molti degli organizzatori e degli attori del sinodo sono persona da lungo tempo coinvolte in attivismo rivoluzionario in America Latina”, ha detto Loredo. “In altre parole, vedono il sinodo come un momento, un passo, nello sforzo rivoluzionario che stanno portando da decenni”.
Citando il cardinale peruviano Pedro Barreto, vicepresidente del REPAM, l’organizzazione che effettivamente ha organizzato il sinodo, ha detto: “Questo sinodo porta a compimento un processo iniziato nella Chiesa latino americana 40 anni fa”.
Il movimento della teologia della liberazione “sta vivendo il sinodo come un nuovo inizio, come punto di partenza per una nuova fase del loro impegno rivoluzionario – un salto quantico, se volete”, ha detto Loredo.
“In effetti, non sono mai stati più apertamente appoggiati a così alto livello nella Chiesa”.
“Questo si rivelerà vero? Non ho una sfera di cristallo”, ha detto. “Tuttavia, la reazione che il Sinodo ha provocato nella stragrande maggioranza dei fedeli mi fa pensare che stanno affrontando una corsa più dura di quanto si aspettassero”.
Alla domanda se più enfasi si sarebbe potuta porre sul sovrannaturale e sulla salvezza delle anime invece che nel politico e nel temporale, il cardinale gesuita Michael Czerny, uno dei segretari speciali del sinodo responsabile dall’andamento e stesore del documento finale, ha detto al Register l’11 novembre che l’incontro “era aperto ad ogni proposta che cercasse di proteggere e aumentare la vita, ‘tenere gli alberi in piedi e le acque fluenti’, e provvedere la Chiesa con nuove vie pastorali”.
“Dai loro voti i vescovi hanno espresso la loro fede, speranza e carità” ha continuato. “Per me, questa è la migliore prova di equilibrio, grazie alla fedeltà al processo sinodale e docilità allo Spirito Santo”.
Il documento finale, ha detto il cardinale Czerny, “è un grande risultato di tutto ciò che è avvenuto prima, sia nella minuziosa preparazione che durante le tre settimane di sessione, ed ora stiamo guardando avanti all’esortazione apostolica del Santo Padre”.
Il cardinale Hummes, il membro della commissione per la stesura del documento finale Marcelo Sanchez Sorondo, il portavoce del REPAM Mauricio Lopez Oropeza, e il segretario generale del sinodo dei vescovi, il cardinale Lorenzo Baldisseri, hanno ricevuto domande riguardanti la focalizzazione politica e temporale del Sinodo, ma nessuno di essi ha risposto alle mail del Register.
Di admin
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Quel dialogo tra Papa Francesco e l'imam anti Israele

Papa Francesco continua a dialogare con l'imam di al-Azhar, ma i virgolettati dal tenore antisemita del secondo suscitano parecchi interrogativi


"La soluzione al terrore israeliano risiede nella proliferazione degli attacchi suicidi che diffondono terrore nel cuore dei nemici di Allah".


Il Papa della Chiesa cattolica non condividerebbe mai una frase del genere. Ma il fatto che a pronunciarla, stando a quanto riportato dall'edizione odierna di Libero, sia stato l'imam di al-Azhar, ossia Ahmed Al-Tayeb, che è uno dei principali protagonisti del dialogo interreligioso tra cattolicesimo ed islam, fa sì che le parole pronunciate in questi giorni da Jorge Mario Bergoglio, quelle contro il ritorno dell'ideologia antisemita in Europa e nel mondo, possano almeno essere comparate con quelle dell'autorità religiosa sunnita.
C'è una differenza di vedute evidente. Eppure, l'imam di al-Azhar è lo stesso con cui il pontefice argentino ha sottoscritto a febbraio scorso un documento sulla "Fratellanza Umana Universale". Tra i due c'è una sintonia abbastanza pronunciata. Lo abbiamo rimarcato in più circostanze. Al Tayeb è stato ricevuto in Santa Sede, per un'altra volta, qualche ora fa. Ma quello di ieri è solo l'ennesimo incontro tra il Santo Padre e lo sceicco islamico. Vaticano e mondo musulmano stanno anche studiando una proposta destinata all'Onu: le due confessioni religiose vorrebbero istituire una giornata mondiale in difesa della fratellanza umana universale.
Sono tutte tappe di un processo di avvicinamento. Il discorso di Ratisbona, quello firmato Joseph Ratzinger, aveva in qualche modo contribuito a tracciare un solco tra piazza San Pietro ed alcune istituzioni religiose musulmane. Poi, con l'elezione al soglio di Pietro dell'ex arcivescovo di Buenos Aires, i rapporti si sono normalizzati. E la dialettica ha iniziato a produrre dei frutti, che i più considerano positivi.
Sempre la fonte sopracitata, però, riporta altri virgolettati, che sembrano porre qualche problema e qualche interrogativo attorno all'entità di questo dialogo. L'imam di al-Azhar, in relazione agli attentati commessi contro quello che sempre Al Tayeb ritiene essere "terrore israeliano", ha anche dichiarato quanto segue: "I paesi, governanti e sovrani islamici devono sostenere questi attacchi di martirio". Un'altra dichiarazione che l'Ecclesia, il vescovo di Roma e qualunque persona di fede cattolica non possono sostenere. Ma non è tutto. Altre considerazioni sull'esistenza di un "comune nemico sionista" erano già state pronunciate dall'imam di al-Azhar. Un elemento, questo, che non può non costituire almeno un argomento di discussione attorno ai rapporti tra istituzioni cattoliche ed istituzioni islamiche.
Vale la pena segnalare, infine, come il "fronte conservatore" abbia criticato duramente il documento firmato dal Papa e da Al-Tayeb per via dell'equiparazione gerarchica tra cattolicesimo e islam. Per i tradizionalisti, non è possibile che Dio abbia voluto la diversità delle religioni.
Giuseppe Aloisi