Come la Chiesa cadde nelle mani dei neomodernisti
Studio breve: dalla teologia cattolica alla (a)teologia della neochiesa.
Dopo l’articolo di mons. Livi, L’eresia al potere, i laudatores di papa Bergoglio e delle sue “aperture” hanno cantato vittoria: secondo essi ciò prova che il magistero del pontefice regnante sia nel giusto, perché viene attaccato anche quello dei suoi predecessori. Le cose, in realtà, non stanno così. Ciò che mons. Livi denuncia è che un magistero “non dottrinale” ma squisitamente pastorale come quello di papa Francesco è l’effetto, non la causa, del fatto che la Gerarchia della Chiesa, dal Vaticano II in poi, ha voluto abbandonare la metafisica tomista, lasciando campo libero all’ambiguità… Mons. Livi, il più grande tomista italiano, spiega che (come già fece in tempi non sospetti[1]) il magistero di Benedetto XVI, come quello di Giovanni Paolo II, sono assolutamente ortodossi, in quanto non contraddicono il dogma; tuttavia, non avendo potuto — o voluto — tornare alla prassi pastorale di condannare le espressioni della falsa teologia, che rifiuta le premesse razionali della fede e la legge morale naturale, è stato facile per i modernisti impossessarsi dei posti di potere nella Chiesa e da queste posizioni diffondere l’eresia in tutte le sue forme. In questo link troverete la risposta che gentilmente lo stesso mons. Livi ci ha inviato per Voi, cari Lettori del nostro sito.