Cari padri sinodali, sostenete il divorzio quando l'amore non c'è più
Ho appena finito di leggere il Vangelo che la liturgia propone alla nostra meditazione per domenica prossima e che di certo, noi e voi, proclameremo nelle celebrazioni con i nostri fedeli. Si tratta del Vangelo di Marco, capitolo 10, versetti 17-30, là dove si narra di quel giovane dalla condotta irreprensibile che corre dal Maestro e gli chiede cosa deve fare per avere una vita che non sia ostaggio della morte. Noi sappiamo come è andata a finire: all'invito di Gesù a lasciare tutto e a seguirlo, il giovane "si fece scuro in volto - narra il vangelo - e se ne andò rattristato; possedeva infatti molte ricchezze"!
Ecco: in un breve esame di coscienza mi è venuto di pensare a me prete, a voi Vescovi e Cardinali, alla Chiesa in generale, e mi si è posto un interrogativo: "Non è che anche noi, come quel giovane, ci si ritrova solitari e tristi, prigionieri delle nostre ricchezze e sordi e ciechi al richiamo dei poveri e dei nullatenenti?".