Ma il problema vero riguarda le attività delle ong che con navi, droni e aerei si piazzano «al limite delle acque territoriali libiche ed esercitando una “ricerca attiva”» recuperano i disperati del mare per poi consegnarli «nei porti italiani»
.
Un’attività, quella delle ong, che costa. E tanto: «Chi sono i veri finanziatori, da dove giungono le loro navi, quali inconfessabili accordi potrebbero avere alcune organizzazioni»
, sono le domande che interpellano le autorità e gli inquirenti italiani, accenna infine Grignetti.
In realtà l’ipotesi che esista una concertazione tra scafisti e alcune ong non è nuova, né lo sono le domande relative a tale connection, che non può ovviamente essersi generata solo in occasione delle feste pasquali.
La tratta dei disperati è un business di rilevanza primaria, dal momento che rende più o meno quanto il commercio della droga.
Val la pena accennare che è più che probabile un’ulteriore connection tra scafisti e bande armane consegnate allo jihadismo radicale, per le quali tale traffico è fonte non trascurabile di finanziamento.
Peraltro proprio l’attivismo incontrollato dello jihadismo alimenta la destabilizzazione nel mondo arabo e in Africa, incrementando a sua volta il flusso migratorio.
Né si possono ignorare i legami, più o meno diversificati, tra jihadismo e Agenzie del Terrore, quelle per intenderci che flagellano le terre d’arabia e a volte fanno strame in Occidente.
Imprescindibili ragioni umanitarie sottendono l’accoglienza dei disperati. Ma senza il necessario discernimento e un’altrettanto necessario contrasto del meccanismo perverso che alimenta i flussi migratori si rischia solo di far dilagare ancor più il caos.
(Gv. 8, 32)
Necessaria la citazione giovannea messa a titolo del presente mio intervento, necessaria perché tacerla rende asserviti all’ignavia e impediti nella missione di predicarla. E ciò non vale soltanto per le grandi verità ma anche per quelle che si pongono come minuscole.
Di verità voglio allora parlare e, nello specifico di verità biblica, una delle tante su cui anche i più agguerriti apologeti scivolano via con sorprendente disinvoltura. Ma per fare debita ricognizione è necessario che esponga l’argomento dal quale si dirama la mia osservazione.
Recentemente, Silvio Berlusconi e la presidente della Camera dei Deputati sono apparsi sui massmedia nella posa di abbracciare un agnello. Correndo prossima la Pasqua, siffatta iconografia è parsa, oggettivamente, come un invito a dismettere la tradizione del pranzo pasquale a base di agnello. Un messaggio di innegabile filosofìa animalista e vegetariana che ha suscitato consensi da una parte, indifferenza al centro, polemiche dall’altra. E su alcuni siti sono apparsi interventi di netta posizione a favore della tradizione ‘
cattolica’ con inevitabili commenti sui citati personaggi sviluppandosi, la discussione, nel versante antropologico a sostegno della tèsi che predica l’uomo, come qualche autore ha affermato, di natura ‘
onnivora’, creato tale da Dio stesso.
Nei commenti e nelle riflessioni che mi premurai di postare, dichiarando in premessa la mia omnivoracità - escluso l’agnello – condividevo, e condivido, l’opinione dei molti che ritenevano, e ritengono, lecito mangiar carne così come confutavo, e confuto, opposte opinioni dichiarando tuttavìa di amare gli animali, di rispettarli riconoscendo nella loro presenza e nella molteplice varietà l’impronta di Dio. Ma non accettavo, come non accetto, che si definisse l’uomo “
essere omnivoro per natura”, non tanto per mia intima convinzione criptoanimalista, quanto per ben altra e più forte testimonianza.
Asserire essere, l’uomo omnivoro per natura significa dimenticare le conseguenze del peccato originale che, per come è noto, ha ribaltato in senso opposto l’ordine e l’armonìa che governavano il creato uscito puro e perfetto dalla volontà divina. Sicché l’uomo s’è trovata nemica una natura in che, prima, si muoveva senza timore, ha contratto la morte e la terra gli è diventata avara di frutti e le stesse creature viventi hanno mutato istinto conoscendo e portando ferocia e timore reciproci col divorarsi a vicenda.
Lucas Cranach il Vecchio, Adamo ed Eva nel giardino dell'Eden, 1530,
Kunsthistorisches Museum, Vienna.
Che tutto ciò non fosse nello stato primario è reso certo dalle stesse parole di Dio che, al termine del sesto giorno, creati animali, piante e uomo così dice:
“Ecco, io vi do ogni pianta che fa seme su tutta la superficie della terra, e ogni albero fruttifero che fa seme: questi vi serviranno per cibo. E a tutti gli animali della terra e a tutti gli uccelli del cielo e a tutto ciò che sulla terra si muove e che ha in sé anima vivente, io do l’erba verde per cibo. . . E Iddio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono” (Gen. 1, 29/30 -31).
Dal che appare una verità inoppugnabile: l’uomo edenico, Adamo, è creato quale essere vivente, inserito nella conciliazione degli elementi, nell’amicizia e vegetariano.
Contra verbum Dei non valet argumentum.
Si può allora e senza ombra di dubbio, indicare l’omnivoracità degli animali e dell’uomo quale diretta conseguenza del peccato originale, così come si può, legittimamente, opinare che la dieta vegetariana sia stata regola per l’uomo sino al diluvio universale al termine del quale il Signore dice a Noè e ai suoi figli:
“ Siate fecondi, moltiplicatevi e riempite la terra, e incutete paura e terrore a tutti gli animali della terra e a tutti gli uccelli del cielo. Essi sono dati in vostro potere con tutto ciò che striscia sulla terra e con tutti i pesci del mare. Tutto ciò che si muove e che ha vita vi sarà di cibo. Io vi do tutto questo come vi detti l’erba verde; solo, non mangiate carne che abbia ancora la vita sua, cioè il sangue” (Gen. 9, 1/4).
È questo il passo in cui esplicitamente Dio rende l’uomo carnivoro.
Come si faccia a sostenere l’omnivoracità dell’uomo, o degli animali, essere un dato sostanziale, innato alla natura, è cosa che resta incomprensibile a meno che, chi lo sostiene, non ritenga la Sacra Scrittura un apologo scritto per persone stupide o in malafede.