Con rescritto del 3 novembre u.s., la suprema autorità della Chiesa ha emesso – secondo i termini del comunicato ufficiale – una forte riproposizione delle norme in vigore circa il ritiro dal ministero di vescovi e cardinali. A parte l’ossimoro creato dall’accostamento dell’aggettivo forte al termine riproposizione, il contenuto del testo conferma l’impressione iniziale di intervento autoritario in rafforzamento di una prassi che nell’ultimo Concilio ecumenico fu oggetto di un aspro dibattito, conclusosi – come in tanti altri casi – con il trionfo surrettizio del solito partito… dell’innovazione costi quel che costi.
Si ribadisce anzitutto la norma per la quale, compiuto il settantacinquesimo anno di età, il prelato è richiesto di presentare rinuncia al suo ufficio (sulla base del Decreto Christus Dominus al numero 21, il canone 401 del Codice – si badi bene – usa la parola rogatur, non tenetur). Si direbbe che, a quell’età, l’interessato diventasse automaticamente minus aptus al suo ufficio (o si intende forse minus habens per improvvisa demenza senile?). A parte questo, è forse frequente il caso di vescovi o cardinali renitenti o ritardatari?