La Comunione dei Santi, primizia dell’eternità
Il mistero sublime della santità è che essa agisce anche, e soprattutto, dopo la conclusione della biografia terrena: quando la persona fisica del Santo non c’è più, la sua azione continua, anzi, si fa via via più possente, come un fiume che le cui acque s’ingrossano mano a mano che scende verso il mare. Questo avviene perché la santità è una primizia della dimensione dell’Assoluto e dell’Eterno; vivendo la loro vita in Dio, i Santi incominciano ad abbattere, già fin da ora, la barriera che separa la vita terrena dalla vita eterna. Nei Santi appare ciò che la religione cristiana ha sempre insegnato, ma che tutti, anche molti credenti, tendono a dimenticare: ossia che la morte, in se stessa, non esiste: è solo un mutamento di stato, una porta che si apre su di un’altra dimensione. Dopo aver varcato quella soglia, la persona malvagia scompare nel nulla che ha ostinatamente coltivato; il Santo continua a irradiare, per così dire, dietro di sé, il profumo della vita divina, nella quale è entrato. Il Santo continua a vivere perché vive in Dio, e aveva incominciato a farlo sin da qui, quando aveva ancora un corpo, vestiva panni, mangiava e beveva come noi tutti; ma si era allenato a sbarazzarsi del superfluo e a coltivare solo l’essenziale. Con l’evento della morte, nel Santo sopravive la sua essenzialità, cioè il suo pieno abbandono in Dio: come porterebbe cessare d’irradiare la sua luce, colui che si è annullato nella Luce infinita di Dio? Al contrario, quella luce, non più offuscata dal corpo fisico, brillerà in maniera sfolgorante. Il mistero della santità è racchiuso in questo semplice concetto: morire al mondo e farsi tutto in Dio.