~ QUANDO LA CAPITALE CATTOLICA SI OPPONEVA AL MONDO ~ ~ DAL DIARIO DI JULIEN GREEN ~
Nel paludoso terreno del Nuovo Mondo fondato principalmente sulle fortune pecuniarie anche la Chiesa cattolica, e già molto prima del pasticcio conciliare – lo si è visto nel precedente articolo dell’«Almanacco» con il reportage anni Trenta di Mario Soldati – cedeva ai sincretismi, ne pareva quasi costretta dai meccanismi della modernità. Però va pure sottolineato che, nei medesimi anni, l’alma città di Roma restava eroicamente al di sopra della mischia del Novecento. Nonostante che, dal 1870 in poi con l’invasione italiana del più antico stato d’Occidente, l’Urbe si spaccasse in due, nonostante la convivenza forzata della città santa con la città dei massoni prima e con la città dei fascisti dopo, nonostante l’annacquamento dell’universalismo millenario per il veleno nazionalistico iniettato nelle sue vene urbane, la Roma più piccola per estensione, asserragliata nella valle dove fu sepolto Pietro, era quella a cui si guardava da tutto il pianeta. Svettava sulle miserie dell’epoca, mostrava autorità, bellezza, saggezza, sapienza. E una dignità unica con la quale resisteva alle cadenze del nuovo, alle attrazioni del precipizio. La capitale della forma era, allora, del tutto indifferente agli espressionismi montanti.